Sin dai primi giorni di vita, il processo di costruzione della mente si basa sulla capacità del neonato di riconoscere ciò che accade intorno a lui. All’inizio il piccolo ha un ruolo prevalentemente passivo e si limita a notare una serie di movimenti e azioni che hanno lo scopo di preservare il suo benessere, e che, in generale, hanno conseguenze positive su di lui: le carezze soddisfano la necessità di un contatto fisico, il cibo appaga la fame, i gesti e le parole della mamma rispondono alla sua curiosità e necessità di esplorare il mondo. Un adulto che si avvicina, che gli parla, che gli sorride, che lo culla, che lo sfama: questo è il mondo iniziale del neonato, fatto dei movimenti dell’adulto che generano nella sua mente nessi temporali (il prima e il dopo), e nessi causali, che saranno alla base del suo sviluppo (motorio come del linguaggio).
Ben presto, però, è il neonato stesso, con i suoi movimenti sempre più affinati e selettivi, a produrre azioni che comportano modifiche nell’ambiente che lo circonda: azioni che si arricchiscono ben presto di complesse sequenze muscolari volte a imitare le espressioni facciali dell’adulto. Queste prime memorie motorie avranno un impatto sulle altre esperienze, su altre memorie non necessariamente legate ai movimenti. In sostanza, innescheranno tutte le funzioni della memoria nel suo complesso. Queste memorie procedurali, o corporee, saranno le basi dei successivi apprendimenti linguistici, anch’essi basati sull’organizzazione di quei movimenti legati alla produzione di sequenze di suoni.
I segnali provenienti dal corpo esercitano un ruolo importante nel processo di costruzione della mente del bambino, anche perché contribuiscono alla formazione di mappe logiche e di rapporti quali prima-dopo, alto-basso, e così via. Gli stati di tensione muscolare e il ritmo cardiaco, per esempio, costituiscono una serie di percezioni che contribuiscono a rappresentare il mondo esterno. La mente deve tenere conto del nostro corpo, dei suoi movimenti, delle loro conseguenze, di ciò che faremo in seguito.
Le avanzate tecniche di visualizzazione cerebrale (brain imaging) hanno contribuito negli ultimi anni alla conoscenza degli schemi motori attivati nel nostro cervello: se si chiede a una persona di pensare di muovere la mano, come se volesse afferrare un oggetto, la sua corteccia premotoria, situata anteriormente alla corteccia motoria, nel lobo frontale del cervello, si attiva. Questo sta a indicare che esistono aree del cervello che predispongono il movimento e aree che lo realizzano.
I complessi schemi motori da cui dipende la sequenza di attivazione dei muscoli di un arto non sono altro che una memoria procedurale: una memoria distribuita tra i circuiti che formano il cervello e che, attraverso prove ed errori, registrerà correzioni e perfezionamenti fino a quando si trasformerà in una memoria stabile che codifica lo schema del movimento e ne consente la realizzazione in forma stereotipata, fluida. Il cervello controlla i movimenti attraverso diverse strutture sottoposte a un controllo finale da parte della corteccia cerebrale: tra queste occupano un posto importante i cosiddetti gangli della base, che controllano attività cognitive come le memorie spaziali, le componenti motivazionali dell’apprendimento e l’esecuzione di azioni motorie in un determinato contesto. Corteccia e gangli della base sono strettamente allacciati tra di loro e intervengono anche nelle memorie relative alla produzione dei suoni del linguaggio, memorie che portano man mano il bambino a pronunciare un sempre più crescente numero di parole compiendo i necessari movimenti delle corde vocali, delle labbra e della lingua.
Gli studi sui rapporti tra aree cerebrali e linguaggio indicano che quest’ultimo dipende dalle nostre immediate percezioni e azioni, e dalle memorie di oggetti e altre azioni. Ciò significa che le aree della corteccia cerebrale che elaborano le informazioni sensoriali e controllano i movimenti sono coinvolte anche in diversi aspetti delle memorie linguistiche: per esempio, pronunciare parole relative a un colore (rosso, blu, giallo) attivano quelle aree della corteccia temporale ventrale che sono responsabili della percezione dei colori, mentre parole relative ai movimenti (correre, battere, avvitare) attivano le aree situate anteriormente a quelle coinvolte nella percezione dei movimenti, così come le aree motorie della corteccia frontale.
Il ruolo esercitato dalle funzioni motorie sottolinea come, nella sua fase iniziale, la mente infantile sia soprattutto concreta, ossia basata sull’interazione diretta e su una serie di tentativi, anche infruttuosi, promossi dal bambino e non prestabiliti da un programma genetico. La mente tiene conto del corpo, dei suoi movimenti e delle loro conseguenze, così come tiene conto dei segnali che la informano, per esempio, del cambiamento del ritmo cardiaco che si verifica in seguito a un’emozione. Il corpo, insomma, è una componente essenziale della mente ed è ben difficile che esistano funzioni simboliche che non richiedano, dipendano o siano regolate in qualche modo dallo scambio di informazione con esso.
Sin dai tempi di Maria Montessori è noto che i bambini hanno bisogno di fare esperienze dirette, motorie, concrete: oggi, invece, si verifica una contrazione dei giochi all’aria aperta, della partecipazione motoria, del coinvolgimento di altri bambini e ragazzi a favore di una “virtualizzazione” delle esperienze ludiche. Ma i giochi di movimento e di gruppo sono un momento importante e irrinunciabile per strutturare la mente, le emozioni e la socialità. A questa costruzione della mente del bambino, poi, contribuisce l’adulto che lo accudisce: il piccolo ne rispecchia le azioni e lo imita, formando con lui una diade vincente.
professore emerito di Psicobiologia presso l’Università Sapienza di Roma, ha lavorato in numerosi istituti di ricerca internazionali. Dal 1976 al 2002 ha diretto l'Istituto di psicobiologia e psicofarmacologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche. È autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche, di saggi professionali, didattici e di divulgazione.