È un antico augurio, da sempre una sorta di investimento, di condizionamento del futuro da piegare alle proprie ambizioni. “Nome omen”, nel nome il destino (omen = destino) dicevano i Romani, e per loro sbagliare la scelta del nome poteva voler dire esporre il figlio a una vita triste e povera. Del resto anche oggi non mancano le conferme della scienza: secondo la New York University e l’Università dell’Indiana le regole sono le stesse del mercato azionario: più un nome trasmette successo e più continuerà ad averne.
Uno studio del 2009 condotto dagli psicologi tedeschi Julia Kube e Astrid Kaiser ha dimostrato che i nomi degli alunni delle elementari influiscono sulla valutazione delle loro capacità da parte degli insegnanti. Basandosi su dati statistici, Leif Nelson dell’Università della California e Joseph Simmons di quella di Yale sono riusciti a dimostrare che le iniziali di nome e cognome riescono a influenzare comportamenti e scelte che arrivano addirittura alla qualità della resa scolastica. Sono stati analizzati i risultati scolastici (che negli Usa vengono espressi con le lettere da A a D) di una facoltà di economia degli ultimi 15 anni. Il risultato è stato che gli studenti i cui nomi o cognomi iniziavano per C e D prendevano effettivamente i voti corrispondenti a queste lettere (i voti più bassi dunque) con una frequenza più alta rispetto agli altri.
Nella scelta del nome entrano in gioco tanti fattori, la cultura dei genitori, le loro passioni, i ricordi, le aspettative. Ci sono stati tempi in cui si sceglievano i nomi soprattutto nel rispetto di una tradizione familiare: come omaggio ai parenti si conferiva lo stesso nome dei nonni, degli zii o, se maschio, del padre, con numero romano annesso (II, III, e così via) o magari “junior”. Questo ha fatto sì che per anni si siano costretti i figli a sostenere per la vita nomi come Ermenegilda o Evaristo. Oggi questa tradizione è pressoché abbandonata e resta baluardo solo delle famiglie più “storiche”, quelle dai nobili natali. Dal dopoguerra in poi la gran parte dei ceti sociali abbandona la regola del dovuto rispetto della tradizione familiare e il criterio dominante che governa e trattiene la fantasia genitoriale diviene l’obbligo, non scritto ma corrente, di scegliere nomi che siano “portabili” e di cui il figlio da grande non debba imbarazzarsi o vergognarsi. Governati da questa saggezza, dal senso della misura e soprattutto dal dovuto rispetto per i figli, abbiamo generato negli anni passati pletore di Francesco, Giulia, Paolo, Giovanni, Maria, Alessandro, ecc. Pochi osavano trasgredire questa regola azzardando estrosità, subito comunque criticate e deplorate dal giudizio popolare.
Se andiamo a vedere quali sono i nomi più rappresentati in Italia vediamo che ai primi posti si trovano Giuseppe e Maria, seguiti da Giovanni e Anna.
A giudicare dai dati 2016, che vedono Francesco e Sofia seguiti da Alessandro e Aurora come i nomi più scelti, sembra prevalere ancora il saggio criterio della portabilità del nome. Anzi, oggi i nomi preferiti per i neonati virano addirittura al classico, con riminiscenze letterarie e storiche sempre più frequenti. Ma in un recente sondaggio condotto da questo stesso sito, alla domanda «Cosa è più importante nella scelta del nome del figlio?», il 32% risponde che è importante il significato del nome , il 30% dà invece importanza al suono del nome; ma un altro 31% ritiene importante che il nome sia originale e unico. Solo il 4% chiede che ricordi un parente e un misero 3% si preoccupa che piaccia ad amici e parenti. Insomma, un terzo circa dei neogenitori si dichiara a caccia dell’originalità, unicità, visibilità, in barba a ogni convenzione. Del resto se guardiamo alla società l’imperativo esistenziale inderogabile di oggi sembra quello di dover apparire, emergere, farsi notare o quanto meno vedere o potersi vantare «che sì, c’eravamo anche noi».
Un fenomeno in aumento è il pentimento che assale i genitori dopo aver battezzato il figlio in modo non adatto o “ingombrante”. Secondo un recente sondaggio, circa l’8% dei genitori si pente di aver scelto un nome troppo comune o troppo originale e il rimorso nasce quasi sempre dai commenti negativi degli altri.
La legge ci prova a proteggere i bambini. Nel 2008 un giudice ha vietato a una coppia di italiani di chiamare il loro bambino Venerdì, considerando che il nome – tratto dal romanzo Robinson Crusoe – avrebbe potuto influire negativamente sulla vita sociale del bambino. I giudici italiani possono intervenire ogni volta che il nome dato a un bambino può limitarne l’interazione sociale e creare insicurezza nella vita di tutti i giorni. A Torino è stato perfino respinto Andrea per una bambina, modificato poi in Emma, dato che questo nome è considerato da noi esclusivamente maschile.
Questo controllo della legge esiste in molti altri paesi. È il decreto del presidente della Repubblica numero 396 del 2000 a dettare le linee guida in materia di nomi e cognomi. Innanzitutto vi è divieto assoluto di imporre lo stesso nome del padre, di un fratello o di una sorella vivente, ma anche cognomi come nomi o nomi ridicoli o che possano “procurare vergogna”. La normativa del 2000, che modifica il Regio Decreto del 1939, nega anche la possibilità di mettere cognome Esposito ad orfani e trovatelli, perché il comma 3 dell’articolo 34 del Dpr 396 proibisce di imporre «nomi o cognomi che facciano intendere l’origine naturale, o cognomi di importanza storica o appartenenti a famiglie particolarmente conosciute nel luogo in cui l’atto di nascita formato», per quanto concerne figli di cui non sono conosciuti i genitori. Va detto comunque che l’Anagrafe non può vietare un nome: il comma 4 dell’articolo 34 del D.P.R. 396/2000 prevede che, di fronte ad un genitore ostinato, l’ufficiale, dopo aver informato il dichiarante, può trasmettere gli atti al Procuratore della Repubblica che, a sua discrezione, può attivarsi per chiedere una sentenza di rettifica del nome.
Tra le citazioni letterarie ardite (Gulliver, il figlio di Gary Oldman) e le mele (Apple, la figlia di Gwyneth Paltrow) attrici e attori ce la mettono tutta per stupire, per distinguersi rilanciando a ogni nuovo figlio i nomi più improbabili. A volte i nomi strani sono parole che nulla hanno a che vedere con la consuetudine dei nomi propri (oggetti, città, animali), altre volte sono nomi inventati di sana pianta, magari parole fino ad allora inesistenti. E allora non è strano che ci siano genitori che privilegiano nomi esotici, stranieri, attori, protagonisti di soap opera o di “grandi fratelli”: e allora Chanel (casa Totti), Fucsia (la figlia di Sting), Nathan Falco (il piccolo Briatore), Maelle (figlia di Antonella Clerici), Oceano e Leone (figli di John Elkan e Lavinia Borromeo). Per il neonato diventa essenziale poter sbucare dall’indistinta affollata schiera di anonimi altri neonati? Ci pensa il genitore a dargli una mano, con un bel nome sul cartellino che “buchi lo schermo”: è questa la nuova “saggezza” popolare e il nascituro non può certo sfuggire a questa regola. Ultimamente va di moda anche dare al bambino più grande la possibilità di scegliere il nome del nuovo arrivato, con l’idea che questo riduca la gelosia. Chi sa quanti fratellini maggiori ce l’hanno messa tutta per “vendicarsi” del nuovo intruso assegnandoli un nome insostenibile!
Tra le categorie di nomi particolari, gli aristocratici (Gherardo, Lodovico, Allegra, Leopoldo, Tancredi), gli intellettuali (Orso, Olmo, Asia), quelli proiettati verso il mondo della moda e dello spettacolo (Deborah, Katia, Michelle) e quelli da “uomini veri” (Attila, Ivan, Igor).
Tante scelte diverse, tutte grandi aspettative, tutte promesse difficili da mantenere affidate a un semplice logo: il nome. Purtroppo la vita insegna che troppe volte gli “auguri” e le ambizioni genitoriali, portate per anni sotto forma di nomi come spade di Damocle sulle teste dei figli, vengono miseramente tradite se non addirittura sovvertite dal crudele imprevedibile destino. Conosciamo molte Allegre tristissime, Serene più che agitate, Chiare tormentatissime, Deborah impiegate lontano dagli schermi televisivi e Tancredi assai poco nobili. Anche nella scelta dei nomi dovremmo veramente pensare ai figli e non al nostro esibizionismo o alle nostre frustrazioni. Non si possono usare i figli come abbellimento o contrappunto alle nostre vite. In fondo non c’è neanche bisogno di cadere nel banale, basterebbe scegliere un nome normale, pur conservando quel sano senso augurale che il nome assegnato al nostro neonato da sempre si porta dentro.