È ampiamente dimostrato che i primi 1000 giorni del bambino, ovvero i nove mesi di gravidanza più i primi due anni di vita, sono fondamentali per la salute psico-fisica a lungo termine del piccolo. Secondo la teoria del programming, infatti, l’ambiente e in particolare l’alimentazione condizionano già dalla fase fetale la crescita di un individuo indipendentemente dai suoi caratteri genetici. Questo aspetto può essere influenzato già prima del concepimento anche dallo stato di salute dei genitori e, per questo motivo, prima di intraprendere una gravidanza, sarà opportuno verificare in entrambi se vi sono carenze nutrizionali o squilibri metabolici.
Gli studi dimostrano che l’utilizzo di “buone pratiche” (ne parliamo anche all’interno dell’articolo Gravidanza e miti da sfatare) assieme a un buono stato di salute e a una corretta alimentazione della donna riduce il rischio di problematiche durante la gravidanza, difetti di crescita e malattie in età adulta.
Bisogna inoltre ricordare che nella donna in gravidanza avvengono modifiche legate al metabolismo, finalizzate a garantire il giusto apporto di nutrienti al feto. La dieta dunque rappresenta uno strumento indispensabile per garantire le richieste di mamma e figlio che si modificano durante i nove mesi di gestazione.
La gravidanza richiede ovviamente un apporto calorico maggiore, ma l’idea che una donna debba per forza “nutrirsi per due” è sbagliata. Per capire se e quanto è necessario “mangiare di più” bisogna valutare il proprio peso all’inizio della gestazione (lo si può fare insieme al ginecologo, calcolando il proprio indice di massa corporea). Questo ci darà un’idea sulle nostre condizioni di partenza: se il peso è adeguato o se siamo in sovrappeso o sottopeso.
Se la futura mamma è in condizioni di normopeso, nel primo trimestre di gravidanza non è necessario aumentare il fabbisogno calorico, nel secondo è sufficiente un supplemento energetico di 350 kcal, mentre nel terzo basta passare a circa 460 kcal. Nella vita quotidiana questi numeri si traducono facilmente in cibo aggiungendo uno o due spuntini nell’arco della giornata. È perciò indicato fare piccoli pasti ma frequenti e masticare bene il cibo prima di ingerirlo, sia per evitare nausea e acidità gastrica sia per aumentare il senso di sazietà.
Ecco cosa è consigliabile “sgranocchiare” tra un pasto e l’altro:
Oltre al corretto apporto calorico, se la donna è in salute e la sua gravidanza procede normalmente può continuare o iniziare un’attività fisica senza correre rischi, semplicemente usando qualche accorgimento (tra cui parlare con il proprio medico e l’ostetrica).
In condizioni normali, i carboidrati devono rappresentare il 45-60% delle calorie totali consumate dalla donna in gravidanza. È importante privilegiare carboidrati complessi, ovvero quelli che vengono assorbiti più lentamente (pasta, pane e riso possibilmente integrali) e ridurre l’assunzione di zuccheri semplici come quello classico da cucina o quello contenuto nella frutta, nel latte e nei prodotti confezionati.
Tra i grassi bisogna privilegiare le fonti di omega-3 e omega-6 come olio extravergine d’oliva (da usare a crudo), frutta oleosa e pesce azzurro di piccola taglia (sarde e alici). Importante è l’assunzione di DHA, un omega-3 fondamentale per lo sviluppo del sistema nervoso centrale e della retina nel feto. Il fabbisogno di questo particolare acido grasso essenziale aumenta soprattutto nel terzo trimestre, arrivando a circa 100-200 mg al giorno, e si può raggiungere consumando una o due volte a settimana pesce come aringa, sgombro o salmone, che pur essendo più grassi hanno un minore contenuto di contaminanti ambientali.
Nel corso dei nove mesi di gravidanza la quantità di proteine aumenta in maniera progressiva perché si tratta di costituenti fondamentali per la crescita dei tessuti materni e del feto. Fonti alimentari proteiche sono: carni magre, pesce, latte e formaggi magri, uova, legumi; per chi segue un regime vegetariano/vegano, soia e derivati e seitan.
Un problema molto comune durante la gestazione è la carenza di ferro, il cui fabbisogno sale a 30 mg al giorno (dai circa 18 mg dell’età fertile). Se nella dieta pre-concepimento vengono previste quantità sufficienti di questo elemento, l’organismo della donna avrà risorse adeguate per far fronte alla gravidanza, mentre partendo già in deficit è molto probabile che le riserve termineranno tra la 12a e la 25a settimana. In quest’ultimo caso, è fondamentale assumere cibi che contengono sia ferro eme (o bivalente) sia ferro non eme (o trivalente). Entrambe le forme sono presenti nella carne animale, mentre le fonti vegetali contengono solo ferro non eme. Il fatto che quest’ultima tipologia sia più difficile da assimilare rispetto al ferro eme, può far pensare che sia anche meno utile a soddisfare le esigenze nutrizionali dell’organismo. In realtà è sufficiente abbinare ai piatti che lo contengono alimenti ricchi di:
Dunque, non è necessario consumare solo carne e pesce ma anche fonti vegetali come timo secco, pomodori secchi, radicchio verde, fagioli dall’occhio, pistacchi, broccoletti di rapa, pasta integrale, avena in chicchi, rucola, carciofi, cioccolato fondente.
Esistono anche degli antinutrienti che ostacolano l’assorbimento del ferro, come ad esempio i tannini (contenuti in tè, caffè, cioccolato e vino), l’acido ossalico (si trova in maggiore quantità in spinaci, cereali integrali, cavoli e bietole) e l’acido fitico (ne sono ricchi cereali, mandorle, noci, nocciole e legumi, ma basta tenerli in ammollo per inattivarlo).
Per evitare che questi elementi interferiscano sarà sufficiente ridurne l’assunzione e non associarli al pasto contenente ferro. Meglio dunque consumarli nell’arco della giornata.
biologa nutrizionista, si occupa principalmente di allattamento, nutrizione in gravidanza e nella prima infanzia, e cura dell’obesità.