Cos’è lo screening neonatale? Quali esami vengono effettuati? Cosa mostra questa profilassi? Prima di entrare nel dettaglio, occorre fare un po’ di chiarezza sui termini che vengono usati quando si parla di screening neonatale. Si definisce profilassi una qualsiasi procedura medica che ha lo scopo di prevenire il sorgere di una malattia o un problema di salute; quando questa strategia viene applicata alla popolazione generale o a un gruppo a rischio, si parla di screening.
Lo screening è giustificato (per costo, impegno ed effetti collaterali) quando la malattia che si cerca di evitare è importante, frequente e curabile. Si deve però sottolineare che questa tipologia di esame non ha scopo diagnostico, ma permette di individuare i soggetti da sottoporre a esami o accertamenti più approfonditi.
Quanto spiegato vale quindi anche per gli screening neonatali che vengono effettuati sui piccoli proprio per riuscire a individuare i soggetti a rischio, che quindi andranno sottoposti a ulteriori approfondimenti. Uno screening neonatale positivo (come approfondiremo in seguito) non è quindi una diagnosi, ma solo l’indicazione che dovranno essere svolti esami più approfonditi.
In ambito neonatale lo screening più importante è quello metabolico, eseguito a livello nazionale dal 1992 ma già presente in alcune regioni dal 1980. Questa procedura, assolutamente non invasiva, permette di diagnosticare prima della comparsa dei sintomi alcune rare malattie genetiche particolarmente invalidanti, in grado cioè di determinare gravi deficit mentali e, in alcuni casi, anche il decesso. In questi casi, il trattamento precoce attraverso farmaci o una dieta specifica è in grado di annullare o limitare in maniera significativa i danni.
Elenchiamo di seguito i nomi di queste malattie, indicando tra parentesi anche la loro incidenza, in alcuni casi davvero elevata:
Tra queste, l’ipotiroidismo congenito è la più preoccupante. Si tratta del mancato funzionamento della tiroide, causa di un importante deficit mentale permanente, ma con la diagnosi precoce e la terapia quotidiana a base di ormone sostitutivo (una piccola compressa da assumere per bocca) il bambino presenterà un normale e regolare sviluppo cognitivo.
Dal 2016 (in alcune Regioni dal 2011) vengono ricercate altre 19 malattie metaboliche, più rare di quelle già elencate ma altrettanto importanti. Per questo esame occorre prelevare alcune gocce di sangue attraverso la puntura del tallone nel corso del terzo giorno di vita, cioè dopo 48 ore dalla nascita e prima della dimissione dall’ospedale.
Un altro screening è quello acustico, che permette di individuare precocemente la sordità congenita, un difetto che colpisce due-tre neonati ogni 1.000. La diagnosi precoce permette di attuare interventi correttivi limitando, oltre al deficit uditivo, anche i conseguenti disturbi del linguaggio.
Lo screening neonatale acustico utilizza la tecnica delle otoemissioni (suoni di debole intensità emessi dalle cellule ciliate esterne della coclea dell’orecchio, prodotti spontaneamente o evocati da suoni) e una strumentazione non invasiva, priva di effetti collaterali, impiegata generalmente mentre il bambino dorme. I neonati che risultano positivi al test vengono sottoposti a ulteriori accertamenti presso il centro audiologico di riferimento.
È utile sapere che nei primi giorni di vita la presenza di liquido nel condotto uditivo può impedire al segnale acustico di essere rilevato dalla strumentazione; in questi casi è importante che i genitori non si preoccupino inutilmente, dal momento che spesso basta ripetere dopo alcuni giorni la procedura per superare il test.
Un altro screening di routine, veloce e non invasivo, utilizza una luce per visualizzare il riflesso rosso prodotto dalla retina (l’effetto che spesso si riscontra nelle fotografie con il flash). L’assenza di “pupilla rossa” individua i neonati da indirizzare all’oculista per un esame più approfondito. Lo scopo è quello di identificare i gravi (anche se rari) difetti visivi congeniti, per i quali esiste possibilità di correzione chirurgica, evitando la comparsa di danni permanenti alla vista.
In questi casi, le terapie utilizzate come profilassi (da eseguire nelle prime ore dopo la nascita) sono la vitamina K e il collirio antibiotico, interventi a bassa invasività, con effetti collaterali minimi e grandi benefici per la salute e lo sviluppo dei nostri bambini.
La vitamina K serve alla coagulazione del sangue, ma essendo scarsamente trasportata dalla placenta (nonché presente in quantità limitate nel latte materno) alla nascita i suoi livelli nel plasma risultano bassi. Il neonato con deficit di vitamina K può dunque presentare nei primi giorni di vita sanguinamenti, generalmente a livello dello stomaco e dell’intestino.
Esiste anche una forma più rara di emorragia tardiva, che può presentarsi con sanguinamenti gravi, anche cerebrali. In assenza di profilassi con vitamina K, l’incidenza della forma precoce di emorragia è di un caso su 100, mentre la forma tardiva più rara colpisce tra i quattro e i sette neonati ogni 100.000.
Sono considerate efficaci sia la somministrazione per bocca sia intramuscolo; la somministrazione attraverso puntura è maggiormente raccomandata perché ha un’azione più duratura (di alcune settimane).
Il collirio antibiotico viene invece sempre somministrato nelle prime ore di vita, ma serve per evitare il rischio di infezione da gonococco, un germe che può essere contratto dal neonato nel passaggio dal canale del parto e può provocare infezioni oculari con possibile diffusione ad altri organi. A tal proposito si calcola che circa il 2% delle mamme sono portatrici sane e che il rischio di trasmissione è del 30-50%.
Questa profilassi è attuata attraverso collirio o pomata antibiotica somministrata in un’unica dose. Attualmente, oltre che sul gonococco, si utilizza un collirio antibiotico attivo anche sulla clamidia, un germe in grado di provocare la polmonite.
Si deve tener conto che a volte l’esame di screening può sbagliare: parliamo infatti di “falso negativo” quando il test non riesce a individuare una malattia che invece è presente; al contrario, quando i risultati mostrano un problema che in realtà non c’è, si parla di “falso positivo”.
Si deve inoltre fare attenzione a ricordare che, come abbiamo accennato, non sempre un esito positivo allo screening significa malattia. Il test può risultare positivo per differenti motivi e generare i “falsi positivi”.
Un buon programma di screening non deve produrre falsi negativi (o averne pochissimi) e ridurre al minimo la quota di falsi positivi. Infatti, segnalare una malattia che in seguito a verifica non viene confermata, oltre a comportare costi sanitari e un impiego di risorse inutili, può rappresentare un motivo di preoccupazione o di vero e proprio stress per le persone coinvolte.
a cura di Giulia Costagliola, pediatra
Nei giorni successivi alla nascita il neonato (che appena venuto al mondo è già stato valutato in base all’indice di Apgar) viene sottoposto a una serie di accertamenti, detti screening, volti a individuare eventuali condizioni non immediatamente rilevabili con la visita medica, ma che devono essere rapidamente riconosciute per poter garantire la migliore assistenza possibile al bambino.
Fra questi accertamenti lo screening per le malattie metaboliche è quello che ha subito più modifiche nel corso degli anni, grazie all’avanzamento della conoscenza delle patologie e al progresso delle tecniche di analisi. In Italia lo screening neonatale è gratuito e obbligatorio sin dal 1992 grazie alla legge 104/1992.
La legge 167/2016 ha esteso lo screening neonatale obbligatorio ad altre 46 malattie metaboliche ereditarie (ragione per cui si parla di screening neonatale esteso, SNE): queste patologie, chiamate anche “errori congeniti del metabolismo”, costituiscono una categoria importante di malattie genetiche rare. Sono causate dall’alterato funzionamento di una specifica via metabolica, vale a dire di uno di quei processi che portano l’organismo a utilizzare l’energia presente nei cibi come “carburante” per le cellule: un malfunzionamento rischia di portare a un accumulo di sostanza che non viene smaltita correttamente e può diventare tossica per alcuni apparati, primo fra tutti il sistema nervoso.
Gli errori congeniti del metabolismo comprendono oltre 700 diverse patologie che, prese singolarmente, hanno una bassa prevalenza, ma nel loro insieme presentano un’incidenza cumulativa che varia da 1 su 500 a 1 su 4.000 nati vivi.
In conclusione, al momento attuale con un singolo prelievo si cercano contemporaneamente 49 patologie: questo è possibile grazie a una metodica di laboratorio chiamata “Spettrometria di Massa Tandem”.
La procedura è sempre la stessa: fra le 36 e le 72 ore di vita il neonato viene sottoposto a una puntura sul tallone, da cui si estraggono poche gocce di sangue che vengono raccolte su carta assorbente (Cartina di Guthrie). È bene specificare che questa indicazione temporale vale per il nato a termine sano: in altre evenienze (ad esempio in caso di nascita pretermine o di necessità di trasfusione o nutrizione parenterale) le tempistiche del prelievo sono diverse.
Lo stesso prelievo viene utilizzato per individuare tutte le patologie sopra indicate.
Prima del test un operatore o un medico del Centro Nascita consegna alla famiglia un foglio illustrativo (chiamato “informativa”) che spiega le finalità e le modalità del test e le malattie cercate.
Non esistono controindicazioni: il test non è invasivo e non può danneggiare in alcun modo il bambino.
La cartina viene poi inviata al laboratorio di riferimento; i risultati sono disponibili dopo circa un mese. Generalmente non vengono comunicati alle famiglie gli esiti negativi (ovvero l’assenza di malattia), ma solo i casi che potrebbero essere a rischio di patologia, denominati “profili di rischio positivi”.
In caso di positività del test la famiglia viene ricontattata con tempi e modi diversi a seconda del tipo di patologia sospettata. Se la malattia richiede un intervento immediato, il bambino viene inviato tempestivamente al Centro Clinico di riferimento, dove si procede alla conferma del sospetto diagnostico e al conseguente trattamento.
La diagnosi vera e propria avviene infatti attraverso l’utilizzo di metodiche di analisi specifiche per la malattia sospettata; in questo caso si richiede prima ai genitori il proprio consenso informato.
In alcune regioni è inoltre possibile conservare il campione presso il laboratorio anche per alcuni anni dopo la nascita: in questo modo, in caso di necessità, si può risalire alla cartina neonatale per effettuare indagini più accurate o, più semplicemente, per effettuare test che non erano ancora disponibili al momento della nascita del bambino. Nelle regioni in cui questo è possibile i genitori devono indicare il loro consenso alla conservazione del prelievo.
pediatra neonatologo, è direttore del programma materno infantile dell’ASL di Reggio Emilia e formatore per il personale sanitario sull’allattamento al seno e il sostegno alla genitorialità. È autore di oltre 70 pubblicazioni scientifiche e dei libri Apgar12, Nascere genitori, Mi è nato un papà, Crescere un figlio e L’allattamento spiegato ai papà.