I “sì” e i “no” che i genitori pronunciano ogni giorno hanno per i bambini una fondamentale funzione regolativa. Se utilizzati con consapevolezza ed espressione di intenzionalità educativa, entrambi sono essenziali alla crescita: grazie a essi infatti offriamo loro delle informazioni chiare e puntuali che gli consentono di orientarsi nel mondo e regolare efficacemente la propria condotta. Nonostante questo, molti genitori incontrano difficoltà nella gestione dei “sì” e dei “no”.
Storicamente, la nostra società è passata da un modello patriarcale, in cui le relazioni genitori-figli erano improntate alla rigidità e al rispetto cieco dell’autorità, a un modello empatico e incentrato sull’ascolto dei bisogni, in cui spesso però, nel timore di ferire i bambini, gli adulti fanno fatica a definire dei limiti stabili o a pronunciare dei “no”. Magari si desidera evitare di dar loro delusioni o ancora si teme di affrontare delle situazioni conflittuali che da essi potrebbero derivare. Qualunque sia la ragione di fondo, l’adulto preda di queste dinamiche si ingegna nella produzione di elaborate spiegazioni nel tentativo di opporsi alle richieste del figlio, senza però riuscire a pronunciare un chiaro e comprensibile rifiuto. È di fondamentale importanza comprendere invece che, se ben utilizzato, il “no”, al pari del “sì”, costituisce un aiuto prezioso per il bambino. Un divieto giusto e intelligente può infatti rappresentare un sostegno nell’esercizio della libertà individuale e aiutare il piccolo a sviluppare la capacità di tollerare la frustrazione, senza che il tutto pregiudichi la qualità della relazione.
Un ruolo fondamentale è assunto, infatti, dalle strategie comunicative prescelte. Tendenzialmente associamo il “sì” a un’espressione del viso rilassata, sorridente, a una voce gentile. Il “no” evoca invece subito alla mente un viso contratto, la voce dura, uno sguardo severo. In realtà, tanto i “sì” quanto i “no” possono essere pronunciati in maniera rispettosa e pacata. Può sembrare difficile mantenere un certo controllo espressivo in determinate situazioni, ma è bene tener presente che una voce calma ma ferma e decisa è assai più efficace di qualsiasi sgridata. Nel primo caso, infatti, diamo la possibilità al bambino di ascoltare con attenzione ciò che diciamo, trasmettendo contemporaneamente tutta la serietà del messaggio mediante il tono di voce utilizzato. Occorre ricordare che quello pronunciato deve essere sempre un “no” a uno specifico comportamento/richiesta, e mai alla relazione. Salvaguardare il legame con il bambino, anche nelle situazioni di stress o di conflitto, permette di mantenere attivo quel collegamento a lui indispensabile per sentirsi compreso (pur se “ostacolato”) e di superare così la frustrazione momentanea, nella certezza di essere sempre amato.
È bene sottolineare però che l’eccesso di “no” è pericoloso tanto quanto quello di “sì”. Se il bambino si sente rivolgere continui dinieghi, essi rischiano di perdere significato e valore. Molto spesso si tende a dire “no” al bambino a priori, in maniera automatica o arbitraria. Nella vita quotidiana la stanchezza, i ritmi frenetici e gli impegni non sempre consentono di avere il tempo per soffermarsi quanto necessario ad agire con la dovuta consapevolezza. Si finisce così per porre più o meno forti divieti, che però spesso (magari a seguito delle insistenze del bambino e del senso di colpa da esse scaturito) finiscono per tramutarsi in breve tempo in concessioni. Se l’adulto stesso non è sicuro delle ragioni del “no”, come può sostenerlo di fronte al bambino? Invece di rispondere in maniera automatica, sarebbe bene concedersi qualche istante e chiedersi: «Cosa mi spinge a dire di sì/no alla sua richiesta?». L’invito è dunque a valutare con attenzione, situazione per situazione, quando dire “sì” e quando invece “no”.
A determinare la risposta dovrà essere non tanto il desiderio di accontentare il bambino, quanto un’effettiva analisi del contesto, delle competenze di cui egli è in possesso e della eventuale, reale, pericolosità dell’azione. Meglio riservare il “no” per quei momenti in cui esso è davvero necessario, ad esempio quando le azioni del bambino rischiano di arrecare danno alla sua stessa persona, agli altri o all’ambiente. Se, ad esempio, vediamo il nostro bambino di quindici mesi tentare di infilare un oggetto nella presa elettrica, non ha senso intervenire con lunghe e articolate spiegazioni in merito alla pericolosità della corrente, troppo complesse per essere comprese a quell’età. Meglio interrompere quell’azione in maniera ferma ma pur sempre amabile, accettando e accompagnando l’eventuale frustrazione scatenata dal divieto, ma senza cedere data l’importanza dello stesso.
Non è possibile impedire che i bambini reagiscano in maniera negativa di fronte al divieto di fare ciò che desiderano. È però possibile sostenerli nell’accettare il “no” e il sentimento che ne deriva, utilizzando un linguaggio empatico e competente, fermo ma rispettoso, sicuramente mai aggressivo. Se a un attraversamento pedonale un bambino di due anni manifesta la volontà di attraversare la strada da solo, sarà dovere del genitore capire che ciò non è possibile per questioni di sicurezza personale e vietarlo in maniera calma ma assolutamente ferma: «No. Capisco che tu sia arrabbiato ma non posso permetterti di fare questo». A far mutare i “no” in “sì” e viceversa dovrà essere non la volubilità dell’adulto, bensì la consapevolezza che il bambino ha compiuto dei progressi e può quindi gestire in maniera competente la situazione (come ad esempio quella dell’attraversamento pedonale). Onere fondamentale dell’adulto è dunque quello di essere per il bambino una guida responsabile, capace di valutare le situazioni in maniera efficace e di offrire limiti adeguati e costanti nel tempo.
Coerenza è la parola chiave. Prima di esprimersi è sempre bene che il genitore abbia un’idea chiara di ciò che può essere permesso e di cosa, invece, non può essere concesso. In generale i genitori possono discutere di questo a priori, lavorando molto anche alla predisposizione dell’ambiente del bambino, affinché sia sicuro e a sua misura (limitando così la necessità di continui “no”). È bene che i limiti stabiliti, per quanto possibile, siano mantenuti fissi nel tempo e condivisi da tutte le persone che si occupano di accudire il bambino (non solo i genitori ma anche i nonni, la tata…), in modo da rispondere al bisogno fondamentale di ordine e di orientamento dei bambini piccoli.
Come Maria Montessori insegna, il bambino libero non è quello nella condizione di fare tutto ciò che vuole. Questa interpretazione errata del concetto di libertà rischia di gettare la relazione educativa nel caos, impedendo al genitore di esercitare la propria funzione di guida responsabile e al bambino di sviluppare adeguatamente la volontà e l’autodisciplina. Attraverso dei limiti giusti e coerenti i genitori possono guidare i propri bambini determinando i confini delle esperienze, fino a quando, progressivamente, essi non diverranno in grado di autoregolarsi. Libertà e limiti: questo il delicato equilibrio su cui si fonda una buona relazione educativa. Lavorarci ogni giorno, con coerenza, dedizione e pazienza, è possibile. Lasciate che il bambino sia il vostro maestro.
Dopo la laurea in Scienze dell’educazione si specializza nel Metodo Montessori per la prima infanzia presso l’Opera Nazionale Montessori e successivamente con il Centro Nascita Montessori. Nel 2016 fonda “Aiutami a fare da me”, sito che ha lo scopo di divulgare il pensiero di Maria Montessori, e nel 2019 si trasferisce in Germania continuando il suo lavoro di educatrice presso un asilo nido di ispirazione Reggio Children. Collabora con numerose riviste specializzate e sostiene i genitori con percorsi individuali di parent coaching.