Molti genitori si chiedono, oggi più che mai, come possono gestire l’emergenza legata al Coronavirus senza che questa lasci nei bambini dei ricordi e delle emozioni spiacevoli.
Tuttavia, va considerato che i nostri bambini sono molto più flessibili di noi e si adattano meglio al cambiamento. Per tanti di loro è più stressante dover uscire continuamente, vestirsi e prepararsi, venire sballottati tra i mille impegni in cui quotidianamente li catapultiamo. E già questo dovrebbe tranquillizzarvi: in periodo di confinamento tra le mura domestiche, se vivono un clima emotivo adeguato a casa, non si annoieranno e non vi faranno annoiare!
Ma dobbiamo saper canalizzare le loro energie per non esserne sopraffatti, anche perché ci sono molti genitori che lavorano da casa e non sempre è facile gestire, nello stesso luogo e nello stesso tempo, le esigenze lavorative e le attività scolastiche o di movimento e intrattenimento. Senza contare che molti di noi sono oggettivamente preoccupati per la situazione che stiamo vivendo.
I nostri bambini hanno paura di quello che fa paura a noi, fin da piccoli si sono abituati a valutare le situazioni attraverso il filtro delle nostre reazioni emotive.
Noi siamo la loro “finestra sul mondo” semplicemente perché, soprattutto quando hanno meno di 6-7 anni, siamo i loro supereroi. È quindi implicito che, se c’è qualcosa che spaventa la mamma o il papà, anche loro ne saranno spaventati. Solo quando diventano più grandi imparano a separare la propria percezione personale degli eventi dalla nostra.
E noi adulti abbiamo spesso paura, a volte motivatamente e a volte in maniera un po’ esagerata, perché anche noi siamo stati bambini e abbiamo avuto nei nostri genitori dei modelli non sempre ottimali di gestione emotiva, modelli che in qualche misura abbiamo interiorizzato e che ci portiamo dietro.
Cosa possiamo fare, allora, noi adulti, giustamente preoccupati e impensieriti dalla situazione che stiamo vivendo? Dovremmo forse fingere una serenità che in questo momento non proviamo?
La risposta è no, perché dissimulare le nostre emozioni richiede una buona dose di quello che chiamiamo “lavoro emozionale”, che può risultare particolarmente stressante. E non possiamo permetterci di aggiungere ulteriore stress a quello che stiamo già vivendo.
La nostra tenuta emotiva è fondamentale, perché se cediamo psicologicamente non potremo essere di alcun aiuto ai nostri bambini.
C’è una metafora che utilizzo da sempre nel mio lavoro sull’intelligenza emotiva e che è particolarmente adatta ai genitori (e oggi appare tristemente calzante, anche se non è nata per questa circostanza!): è la metafora della mascherina d’ossigeno.
Avrete presente che all’inizio di un viaggio in aereo gli assistenti di volo vi indicano tutte le norme di sicurezza e vi raccomandano, in caso di emergenza, di indossare per primi la vostra mascherina e poi di aiutare i vostri bambini a indossare la loro. Ricordo che, quando da giovane mamma, sentii questa indicazione, rimasi per un attimo perplessa, perché è chiaro che per un genitore la salute dei propri figli viene prima di ogni altra cosa. Si tratta tuttavia di una raccomandazione estremamente utile, perché se nelle situazioni critiche noi adulti non rimaniamo vigili e lucidi, non saremo in grado di aiutare né i nostri bambini né nessun altro.
La metafora della mascherina mi sembra molto efficace per spiegare come sia necessario, per non rendere il periodo di emergenza legato al Coronavirus troppo spiacevole e faticoso, avere cura in primo luogo del nostro stato emotivo, oltre che fisico.
Un altro errore sarebbe trasformare la nostra mascherina in maschera, e dissimulare quello che proviamo. La prima abilità emotiva che i bambini sviluppano è proprio il riconoscimento delle emozioni attraverso le espressioni facciali, e i primi volti che esaminano con attenzione sono quelli dei genitori. Loro ci scoprono subito! Nascondere o sopprimere le nostre emozioni in presenza dei bambini è spesso uno sforzo inutile.
Peraltro, fingere davanti ai nostri figli implica un’interruzione del rapporto di fiducia che dobbiamo sempre cercare di instaurare con loro. Fingendo, non riusciremmo a dissimulare le nostre emozioni in maniera costante e continuativa, e alterneremmo quindi momenti di calma apparente a momenti di “esplosione emotiva”. I nostri bambini ne sarebbero disorientati e alla fine non riuscirebbero più a capire quando il nostro segnale di paura e preoccupazione è un segnale significativo e quando non lo è. E riconoscere i segnali emotivi in modo corretto è un’abilità importantissima che servirà loro per tutta la vita.
Vi chiederete quindi come fare a mantenere con i bambini lo status di supereroi, adesso che ci vedono così ansiosi e spaventati. Non c’è da preoccuparsi: ogni supereroe che si rispetti, da Achille con il suo tallone fino agli eroi della Marvel, ha il proprio lato debole e umano, e generalmente è quello che i bambini amano di più.
Cosa fare, allora? L’unica strada è quella di cercare di esprimere le nostre emozioni in maniera consapevole, trasparente e sincera, provando sempre a spiegare anche a parole il nostro stato d’animo e lo stato delle cose, in modo semplice e diretto, senza entrare in dettagli troppo evocativi che potrebbero disturbare i sogni dei bambini, ma al contempo costruendo con loro un’alleanza emotiva.
Riporto l’esempio di una richiesta di aiuto che, proprio in questi giorni di rapporti “a distanza”, mi è arrivata per messaggio da una giovane mamma (alla quale ho spedito in anteprima questo articolo e che ha acconsentito all’uso della sua storia). La mamma scrive: «In questi giorni in cui siamo costretti in casa ho avuto modo di vivere con le mie bambine ventiquattr’ore su ventiquattro e ho paura di trasmettere loro un messaggio sbagliato e di influenzarne negativamente lo sviluppo.
Inizialmente le giornate sono trascorse con alti e bassi; specialmente con la grande (4 anni) abbiamo svolto tante attività. Adesso, in questi ultimi giorni, sia io che lei siamo più nervose. Mi capita di urlare spesso, di perdere la pazienza e di darle qualche sculacciata in più (subito dopo me ne pento sempre). La piccola (13 mesi) percepisce questo disagio e spesso urla e rimprovera sua sorella, come faccio io. Come posso rispondere al comportamento nervoso e irruento della mia figlia più grande? Oggi mi ha lanciato un foglio, nervosissima, dicendomi “maiale”, soltanto perché secondo lei ero stata io a strapparglielo dalle mani. Siccome non è la prima volta che me lo dice, ho risposto con un ceffone e le ho gridato di non permettersi mai più di rivolgersi alla mamma in questo modo. Però non mi sento tranquilla, non credo sia il modo giusto. Se può, mi dia dei consigli».
Ecco la mia risposta: «Buongiorno, le questioni che mi pone non sono di quelle a cui si possa rispondere con un semplice messaggio, ma ci provo: l’unica cosa che mi sento di dirle è che le bambine seguono il suo esempio. Se lei è nervosa, loro risponderanno di conseguenza. Ovviamente questo non significa che lei deve fingere la calma che non prova, perché questo le causerebbe troppo “lavoro emozionale”, ma magari può cercare di spiegare alla più grande come si sente in questo momento, chiederle a sua volta di esprimere le sue emozioni e trovare insieme un modo per aiutarvi a vicenda. Se vi alleate emotivamente, magari sia lei che sua figlia ritroverete l’armonia e avrete colto l’occasione per sviluppare un po’ di empatia reciproca. Poi potrete provare a fare lo stesso con la piccola. L’alleanza emotiva è sempre la scelta più efficace».
Il mio suggerimento nasce dalla grande fiducia che nutro nei confronti delle abilità emotive dei bambini. Affermo spesso che noi adulti non dobbiamo educare i bambini alle emozioni, dovremmo piuttosto evitare di dis-educarli. Perché loro hanno un potenziale emotivo che noi adulti abbiamo spesso dimenticato o sotterrato sotto strati di “buona educazione” che spesso mostra tutta la sua fragilità, rivelandosi tutt’altro che “buona”.
Lo sviluppo dell’empatia dei bambini procede da una fase di indifferenziazione, in cui non percepiscono la differenza tra sé e gli altri e sono particolarmente sensibili al contagio emotivo (dallo sbadiglio al pianto), verso una progressiva differenziazione, che li porta progressivamente a comprendere la differenza tra la loro emozione e quella dell’altro e li rende meno sensibili al contagio emotivo, ma non per questo meno empatici. Come esseri umani, ci basterebbe riuscire a fermarci lì, in quella fase magica in cui il bambino è al contempo un individuo e una comunità. Noi adulti, invece, continuiamo a oltranza il nostro percorso di distanziamento emotivo, e non per via dell’emergenza da Coronavirus.
Quindi, credetemi, i nostri bambini sono più bravi di noi. Se viviamo con loro le nostre emozioni, tra una risata e un momento di preoccupazione, saranno essi stessi ad aiutarci a costruire quella alleanza emotiva di cui tutto il mondo ha bisogno. Soprattutto in questi tempi di necessario distanziamento fisico.
Ph. D. in Psicologia, è ricercatrice e Professoressa Aggregata presso il Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche dell’Esercizio Fisico e della Formazione dell'Università degli Studi di Palermo. Da diversi anni si occupa di Intelligenza Emotiva ed è autrice di diversi articoli di ricerca e libri sul tema.