Sono le sette del mattino, Silvia beve un caffè e controlla il registro elettronico di suo figlio. Oggi ci sono storia, arte e matematica. Quindi: due video e due schede di storia; un video di arte e un disegno; due video e due schede di matematica. Guarda i video di storia per capire in che sequenza vanno visti e come sono abbinate le schede. Nel frattempo le scrive una mamma che, come lei, sta controllando il registro: non riesce ad aprire un video… no, ecco, si apre! Ma il dramma è che la sua stampante ha finito la cartuccia. Allora le chiede se per favore le stampa le schede, può appenderle al cancello e più tardi passa a prenderle. Va bene, quando stamperà quello di suo figlio le stamperà doppie.
Sono le otto e Silvia ha preparato solo il materiale di storia.
Per fortuna suo figlio non si è ancora svegliato. Procede con matematica.
Controlla il telefono, la chat di classe è muta. Scrive: «Ehi ragazze, come va?». Prima il silenzio e poi una pioggia di faccine: saluti, rabbia, risate, donna che corre… Pensa che, probabilmente, tutte le mamme stanno facendo la stessa cosa e sono tutte di corsa, come lei.
Col passare dei giorni inizia a emergere l’insofferenza. Non è facile seguire i bambini. Sarebbe necessario affiancarli nelle spiegazioni, nella visione dei video, nella scrittura. Alcuni genitori lavorano e durante il giorno non ci sono. I bambini sono con i nonni, che non hanno molta dimestichezza con la tecnologia. I genitori sono preoccupati, consapevoli del fatto che il loro bambino resterà indietro.
Altri ritengono che non sia giusto affiancare i figli nell’esecuzione di tutti i compiti e suggeriscono che gli insegnanti dovrebbero fare in modo che i bambini possano svolgere da soli quanto loro assegnato. Ma questo non è possibile nei primi anni della primaria. Infatti, se ci pensiamo bene, i bambini sono costantemente seguiti per tutto il tempo in cui rimangono a scuola: l’insegnante è sempre presente, li guida alla scoperta della conoscenza e nell’esecuzione degli esercizi. Adesso, in sostanza, i genitori sono diventati i sostituti fisici degli insegnanti, che sembra si limitino a preparare il materiale. Ma non è vero: lo cercano o lo costruiscono, lo preparano e poi lo correggono. Tutto. Con una mole di lavoro che non si vede ma che è importante.
La didattica a distanza è percepita dalle famiglie come homeschooling. I genitori, soprattutto per i bambini della primaria, sono diventati parte attiva nel processo di insegnamento. E, giusto o sbagliato che sia, quando una persona è parte attiva si riconosce anche il diritto di esprimere il proprio parere, sia in merito a quello che si fa, sia in merito a come vengono organizzati e proposti gli argomenti e i materiali.
Emergono con una certa evidenza sia i punti di forza sia quelli di debolezza, non solo degli insegnanti, ma anche dei genitori e, inevitabilmente, dell’istituzione scolastica. E cominciano come al solito le grandi analisi. Sono passati più di due mesi dall’inizio della pandemia e i genitori iniziano ad avanzare richieste, a volte a torto e altre a ragione.
Gli e le insegnanti vengono giudicati, e questa volta con presunta cognizione di causa: tutti i genitori vedono con quanto impegno e in quale modo ogni insegnante sta affrontando la situazione. C’è chi si sta reinventando, ma c’è anche chi è scomparso.
Contemporaneamente vengono giudicate anche le famiglie: genitori presenti, assenti, disponibili, arroganti, presuntuosi, umili, culturalmente preparati o totalmente inadeguati.
Sono le sette del mattino anche a casa di Grazia. Mentre beve il caffè, accende il computer per controllare se i genitori hanno inviato tutti i compiti del giorno prima. Sono passati più di due mesi dalla chiusura della scuola. Un sospiro. Le mancano i suoi alunni. Un insegnante senza bambini è come un aereo senza passeggeri. Come si fa a insegnare senza un sorriso, senza guardare negli occhi, senza incoraggiare, senza vedere lo sguardo di chi ascolta, di chi comincia a capire o di chi corruga la fronte per l’impegno?
“Guarda guarda – pensa Grazia – i disegni di Lucia, sempre così belli. E quelli di Marco? Ha sempre fatto dei disegni bruttini e ora sono diventati opere d’arte. Qui ci sarà la mano di mamma o papà. Ah ecco, vediamo la risposta di Giulia… questa, sicuro, non l’ha pensata lei”. E così Grazia riflette: adesso, ogni suo alunno ha un insegnante diverso. In questo momento a insegnare, a seguire i bambini, a spronare, a incoraggiare sono i genitori, forse i nonni, oppure la baby sitter.
“Accidenti, i compiti di Tommaso non sono arrivati neanche questa volta. E nemmeno quelli di Hussem. Li sto perdendo. Cosa posso fare? Ho già caricato tutto per oggi? Controllo: il video con la spiegazione c’è, il racconto c’è, la scheda c’è. Oggi ci sarà anche la videolezione”.
Insegnanti e genitori si sono trovati ad affrontare la stessa realtà, ma da due punti di vista diversi. Gli uni costretti a muoversi su un terreno che conoscono poco e gli altri privati della parte più attiva ed efficace della loro professionalità.
C’è ancora qualche settimana e, perché no, anche l’estate per cercare di costruire le strategie adeguate. Per testare metodologie nuove in vista di una riapertura della scuola, a settembre, di cui ancora non si conosce la modalità. Nel frattempo, i bambini hanno perso la motivazione. La scuola, per molti, si è tradotta in una montagna di compiti da fare, per altri in una gimcana continua per riuscire a collegarsi.
Ci sono insegnanti che per propria volontà, o per direttiva del dirigente scolastico, hanno iniziato fin da subito a trasformare la loro didattica, inventandosi nuove strategie. Ci sono bambini che sono stati coinvolti nell’esplorazione di un modo diverso di imparare, in cui l’insegnante per primo si è messo in gioco, senza aver paura di misurarsi su un territorio mai esplorato.
Jean Piaget scrisse: «L’obiettivo principale della scuola è quello di creare uomini che sono capaci di fare cose nuove, e non semplicemente ripetere quello che altre generazioni hanno fatto».
Si parla tanto e da troppo tempo di ripensare la scuola, ripensare la didattica, ed ecco qua un’occasione per sconvolgere e scardinare un sistema che ha bisogno di innovazione, non nei contenuti, ma nei metodi.
I bambini sono tutti a casa: hanno, potenzialmente, un laboratorio intero sempre a loro disposizione. Le insegnanti potrebbero partire dall’esperienza per introdurre o approfondire qualunque argomento. Perché è vero che ci sono insegnanti che hanno cominciato subito le lezioni on line, ma molte di esse hanno semplicemente trasferito in un video ciò che facevano in classe. E questa non è didattica a distanza. Ripensare la didattica, ora, significa uscire dai soliti schemi, uscire dalle schede e dai libri ed entrare nella casa di ciascun bambino. Entrare nella cucina e studiare, per esempio, le equivalenze usando la bilancia e la farina.
Basta visitare il sito della “Reggio Emilia Approach” per prendere qualche spunto, oppure tuffarsi nei libri di Maria Montessori per riscoprire quanto insegni la quotidianità. Certo è che, adesso, genitori e insegnanti dovrebbero essere spinti a cercare un’alleanza.
Credo che tutti abbiamo avuto il tempo per capire cosa ci sta succedendo, ora resta da accordarsi su come proseguire insieme, nel massimo rispetto del bambino, per scoprire che, pur con tutti i suoi limiti, la didattica a distanza ha anche delle potenzialità.
L’unico aspetto che non è sostituibile e che manca a tutti i bambini è lo stare insieme. Ridere, giocare, scherzare, combinare qualche marachella e poi essere ripresi.
La didattica a distanza non sarà mai in grado di ricreare la relazione, che è elemento essenziale per la crescita dell’individuo.
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita nell’educazione allo studio di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione ambientale ed extrascolastica e lavora come formatrice per genitori nella provincia di Padova. Dal 2018 scrive per Uppa.