Bilancio di salute: l’espressione può risultare un po’ inquietante, perché un bilancio fa pensare a dei punteggi, a un responso positivo o negativo… «Cosa dirà il pediatra del nostro bambino?»; «Che giudizio avrà su di noi?»; «Saremo stati abbastanza bravi in questi primi mesi?».
L’appuntamento con il pediatra per i primi bilanci di salute dovrebbe essere il momento iniziale di una relazione di collaborazione e di reciproca fiducia, che accompagnerà i genitori nel percorso di crescita del loro bambino. Viverlo come una prova da superare non facilita la nascita di una relazione serena: si rischia di attribuire al pediatra il ruolo di giudice, o di esperto che “sa” e ci dirà cosa fare, e non di persona a cui raccontare, descrivere, domandare per decidere insieme scelte e comportamenti.
La relazione di cura, e quella di cura del bambino in particolare, ha il suo luogo naturale nella famiglia: la vicinanza stretta e intima con il piccolo permette alla mamma di percepire il benessere o il malessere del bambino, di interpretare i segnali che indicano che tutto va bene o che qualcosa non va. Il confronto con le altre donne della famiglia mette a disposizione della nuova coppia di genitori l’esperienza delle nonne, delle zie: quando ciò accade in modo non competitivo («Chi di noi è più brava?») la coppia si sente ben presto competente nella cura del piccolo e pronta ad affrontare le inevitabili difficoltà del percorso di crescita.
Il pediatra ha lo stesso obiettivo: mettere a disposizione dei genitori la sua esperienza e la sua competenza per renderli sempre più sicuri e autonomi nell’accudimento del bambino, e più capaci di chiedere il suo aiuto nei momenti di reale difficoltà.
Perché il confronto con il pediatra sia davvero utile, è necessario che i genitori sappiano raccontare e ascoltare; che sappiano fare domande ed esprimere le proprie esigenze. Durante un incontro di gruppo con altri genitori, Anna, mamma di Diego, si dice delusa dal colloquio con la pediatra per il bilancio di salute del quarto mese: «Mi ha parlato di percentili. Diego, per lei, è al 75°. Non me lo aspettavo proprio. In confronto ai cuginetti, Diego è cresciuto molto di più, lo vedo dalle tutine: gli vanno bene quelle che loro mettevano a 6 o anche 8 mesi, com’è possibile che abbia un percentile così basso? E poi non mi ha detto come aiutarlo nella crescita, ha detto che va tutto benissimo e di continuare così. Forse ha ragione mia cognata, dovrei portarlo da un privato…».
Cosa è mancato in questo incontro fra mamma e pediatra? È semplice: la pediatra non ha spiegato bene che “75° percentile” significa una crescita al di sopra della media… non si è accorta che la mamma era delusa e forse si sarebbe aspettata un “punteggio pieno”. Proviamo allora a guardare questa situazione dal punto di vista del genitore: cosa può fare per rendere più efficace e costruttivo l’incontro con il pediatra?
Anna, di fronte agli altri genitori, ha spontaneamente raccontato qualcosa della sua esperienza – il confronto con i cuginetti, le tutine “da 8 mesi” – ma niente di tutto ciò è stato riferito alla pediatra. Ha parlato della sua reazione alla comunicazione sui percentili: «Non me lo aspettavo proprio…», ma anche delusione e preoccupazione sono rimaste inespresse. «Non mi ha detto come aiutarlo nella crescita», ha aggiunto, tuttavia la sua esigenza non si è trasformata in una richiesta rivolta alla specialista.
Viene allora da domandarsi perché aspetti così significativi (esperienze, emozioni, richieste) spesso non entrino nello scambio di comunicazioni con il pediatra. In realtà, è fondamentale che alla voce del pediatra si aggiunga l’esperienza quotidiana dei genitori: ciò che sanno, osservano, pensano riguardo alla crescita e alla salute del loro bambino deve essere condiviso, raccontato, trasformato in domande che permetteranno al pediatra di dare le informazioni più utili: non generiche ma specifiche, adatte alle esigenze di quei particolari genitori.
psicologa, psicoterapeuta della famiglia e docente di counselling alla Scuola di specializzazione in Pediatria dell’Università di Torino, ha elaborato il metodo del counselling sistemico narrativo, che utilizza nella formazione dei professionisti e negli interventi per lo sviluppo delle competenze genitoriali. Ha fondato la scuola di comunicazione e counselling CHANGE di Torino.