Anna ha 2 anni ed è accudita da una baby sitter, «una splendida signora che si prende cura di lei con attenzione e garbo», racconta la mamma, «organizzando anche una serie di attività con altri bambini alla ludoteca e al parco, pressoché tutti i giorni». Il padre di Anna insiste affinché la piccola frequenti il nido, sostenendo che deve stare di più con i suoi coetanei, fare attività più strutturate e acquisire maggiore autonomia. In casa si discute sul da farsi: il nido è davvero un’occasione di sviluppo per un bambino?
Francesco e Laura sono concordi nell’iscrivere il proprio figlio al nido, ma si chiedono quale sia il periodo migliore per farlo. Laura tornerà al lavoro quando il bimbo avrà 7 mesi e mezzo: è meglio iniziare l’inserimento un po’ prima, quando la mamma è ancora a casa? Oppure ritardare di qualche mese, affidando il piccolo ai nonni?
Sull’argomento dell’iscrizione all’asilo nido le domande sono molteplici e si accompagnano spesso a timori e preoccupazioni (in questo articolo parliamo di Covid-19 e inserimento a scuola). Proviamo a fare un po’ di chiarezza per aiutare i genitori a vivere i momenti di separazione dal proprio bambino con serenità.
Sono tante le emozioni in gioco, tra cui la paura di poter esporre il proprio bimbo a esperienze non adatte alla sua fase di crescita, o a traumi e sofferenze dovuti alla separazione. Tutto ciò è comprensibile: stiamo parlando di bambini molto piccoli, di cui non è immediato comprendere i bisogni e che suscitano in noi un istintivo senso di protezione. In molti casi, poi, l’ingresso al nido non è una libera scelta: spesso è legato al ritorno al lavoro della mamma e, a volte, è condizionato dall’assenza di familiari che possano prendersi cura del bambino. In questi casi il carico emotivo, accompagnato spesso da senso di colpa, insicurezza, gelosia verso le educatrici, rende ancor più difficile la decisione.
Le ricerche ci dicono che la formula “migliore” è la frequenza di un nido di qualità associata a tempo familiare altrettanto di qualità. Sappiamo bene quanto sia importante che il bambino, nei primi anni di vita, trascorra le sue giornate vicino alle figure di accudimento, con le quali creare una buona relazione di attaccamento che costituirà la sua “base sicura” per crescere ed esplorare la realtà. D’altra parte è vero che a influire positivamente sullo sviluppo del bambino è anche la “ricchezza” di quel tempo, che deve essere dedicato ad attività che favoriscano l’interazione tra adulto e bambino (per intenderci, non davanti ai cartoni o all’iPad!).
Lo stesso vale per i servizi dell’infanzia. Non tutti i nidi si equivalgono, e ciò che fa la differenza per la crescita del bambino è la qualità dell’offerta, nei suoi molteplici elementi: ambiente, spazi, arredi, materiali, formazione ed esperienza del personale, relazioni con la famiglia, progetto pedagogico.
Paragonare il tempo vissuto con le figure di accudimento con quello offerto dal nido non ha molto senso, perché si tratta di esperienze sostanzialmente diverse. Frequentare il nido offre al bambino l’opportunità di sperimentarsi in un contesto esterno ma “protetto”; ciò non significa sminuire le relazioni fondamentali con genitori e familiari che hanno caratterizzato i suoi primi mesi di vita, bensì arricchirle con nuove risorse. Le esperienze che il bambino può vivere in un nido di qualità sono diverse da quelle casalinghe: al nido l’ambiente è pensato e attrezzato in funzione del piccolo; per quanto, da genitori attenti, possiamo organizzare la casa a “misura di bambino”, avremo difficilmente l’opportunità di offrire a nostro figlio uno spazio in cui possa muoversi così liberamente, sperimentare attività di tipo sensoriale, vivere l’ambiente naturale nelle sempre più frequenti proposte di outdoor education, imparare “facendo” con materiali idonei alla sua crescita e così via. Ancor più evidenti sono gli aspetti legati alle possibilità di socializzazione, gioco, condivisione, linguaggio, vita affettiva e relazionale con altri bambini e con gli educatori come adulti significativi.
Le ricerche hanno messo in luce come la cura familiare e quella del nido non dovrebbero essere alternative ma complementari. Affinché questo si realizzi è però necessario che la scelta del nido consideri le caratteristiche specifiche di ogni bambino e ogni famiglia, nonché i servizi presenti sul territorio.
L’età ideale sarebbe tra l’anno e mezzo e i 2 anni di vita, quando i piccoli hanno acquisito una maturazione di base (fisica, cognitiva, emotiva, relazionale) che consente loro di poter godere al meglio dell’esperienza in tutte le sue potenzialità.
Non è possibile però stabilire a priori il momento “perfetto”, ed è necessario piuttosto valutare la fase di crescita, le esigenze familiari, lo stile di vita che la famiglia conduce in relazione al bambino. Sarà pertanto utile farsi domande come: «Con chi sta durante il giorno?»; «Esce di casa?»; «Che esperienze vive?»; «Quanto tempo trascorre insieme ai genitori?».
Molto dipende anche dal tipo di servizio offerto: per i piccoli sotto l’anno di età sono più adatte le strutture che accolgono pochi bambini in uno spazio confortevole e familiare (micronido, nidofamiglia o servizi educativi domiciliari), in grado di offrire contatto, affetto, sicurezza, regolarità nei ritmi quotidiani, nonché una figura di riferimento stabile.
Anche le ore di frequenza andrebbero adeguate a ogni bambino: poche ore al giorno per bimbi di pochi mesi, da aumentare eventualmente con gradualità. Spesso sono le esigenze lavorative dei genitori a “decidere” sul da farsi, e non sono pochi i bambini che trascorrono quasi tutta la giornata al nido. In questi casi sarà importante, sia per il bambino sia per i genitori, recuperare il tempo del distacco con la cura e il contatto fisico ed emotivo.
Il nido è una risorsa importante per il bambino e lo diventa ancor di più se il servizio offerto e l’ambiente familiare possono beneficiare l’uno dell’altro.
I genitori, aiutati nel loro compito dalle osservazioni qualificate del personale educativo, potranno ritrovare nel confronto costante con quest’ultimo la risposta a domande e preoccupazioni su “cos’è meglio” per il proprio bambino, su come personalizzare l’esperienza del nido e gestire i cambiamenti che il piccolo dovrà affrontare.
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione e accompagnamento alla morte e all’esperienza della perdita, si occupa di famiglie adottive e lavora come formatrice per gli operatori di nidi e scuole dell’infanzia nella provincia di Messina. È stata vicedirettrice di Uppa magazine dal 2018 e dal 2022 ne è diventata direttrice.