Come fanno i bambini a imparare a parlare nell’arco di pochi anni? Per apprendere una nuova lingua, un adulto impiega molto tempo e nella grande maggioranza dei casi conserverà sempre incertezze nella pronuncia e qualche errore nel discorso. I bambini, invece, in un tempo relativamente breve raggiungono una competenza raffinata della loro lingua madre e, se vivono in un ambiente bilingue, riescono a imparare perfettamente entrambe. Questa sorprendente abilità per l’acquisizione di un codice così complesso come è il linguaggio ha suscitato l’interesse di molti studiosi che, da diversi decenni, si interrogano su quale sia il ruolo della dotazione innata e quale quello dell’ambiente educativo; un dibattito tuttora aperto.
I bambini, alla nascita, non sono una tabula rasa ma possiedono una predisposizione di partenza fondamentale per l’apprendimento linguistico e possono contare su capacità sorprendenti, messe in luce da molte ricerche sulle risposte neuronali e sulle reazioni comportamentali. Già a poche ore di vita i neonati sono in grado di distinguere il parlato da altri tipi di stimoli uditivi, e di percepire le differenze tra i diversi suoni di molte lingue. Sanno inoltre riconoscere i suoni caratteristici della lingua materna – che hanno sentito durante la vita intrauterina – da quelli di altre lingue. Queste notevoli capacità, però, possono svilupparsi solo nel momento in cui il bambino è immerso nell’ambiente. L’esposizione a un preciso ambiente linguistico gli permette di “specializzarsi” e di diventare sempre più abile a riconoscere le caratteristiche delle parole e dei suoni tipici di quella specifica lingua.
Tutto ciò richiede un’adeguata funzionalità uditiva che permette al bambino di cogliere i suoni e di costruire delle “categorie percettive”, cioè dei modelli mentali con cui confrontare i dati sensoriali per poterli identificare. In questo modo, intorno agli 8 mesi, i bambini imparano a distinguere alcune parole. Occorre notare che, nella maggior parte dei casi, gli adulti si rivolgono ai loro piccoli interlocutori con discorsi fatti di frasi, dove le parole non sono separate l’una dall’altra ma sono in rapida sequenza e strettamente collegate tra loro; ciononostante i bambini riescono a individuarne alcune che ricorrono con più frequenza.
Parallelamente a questa spiccata propensione per i codici linguistici, i bambini mostrano altrettanto precocemente importanti capacità di relazione con l’ambiente e le persone circostanti. Già a pochi mesi sono in grado di utilizzare la direzione dello sguardo dell’interlocutore come suggerimento per orientare l’attenzione, sintonizzando la propria con quella dell’altro, e dai 9 mesi possono incanalare l’attenzione altrui verso un preciso oggetto.
Intorno all’anno di vita cominciano a imitare ciò che fa l’altra persona, ad esempio nell’uso di alcuni oggetti (i libri da sfogliare, le costruzioni da impilare, il trenino da trainare) e nei gesti comunicativi (fare “ciao” per andare via, girare il dito sulla guancia per dire “buono”, aprire le mani per esprimere “non c’è più”), gesti che preannunciano lo sviluppo delle parole e sono un importante motore dell’evoluzione linguistica. Si tratta di abilità talmente radicate nel nostro modo di relazionarci con l’ambiente da apparire banali, ma sono fondamentali per poter intessere rapporti con gli altri: un deficit di queste abilità, come accade in alcune situazioni patologiche, mina gravemente la possibilità di interagire con le persone e con il mondo circostante.
Anche gli studi sulle differenze di genere sono molto interessanti per comprendere quale sia il ruolo della dotazione innata. Durante il secondo anno di vita, le bambine sono più abili dei bambini nella produzione (ma non nella comprensione) del linguaggio: rispetto ai maschi, possiedono un repertorio più esteso di gesti comunicativi e di parole, le loro frasi sono più complete e complesse, i loro racconti più elaborati. Ma verso i 3 anni queste disparità vanno via via scemando, fino a scomparire intorno ai 5 anni; anzi le cose si capovolgono durante la seconda infanzia, periodo in cui i maschi si mostrano più abili delle femmine in alcuni aspetti linguistici.
A queste osservazioni vanno aggiunte quelle che provengono dalle situazioni patologiche. Rispetto alle femmine, i maschi hanno più probabilità di manifestare qualche ritardo nelle tappe dello sviluppo linguistico e sono più frequentemente colpiti dai disordini di linguaggio e di apprendimento scolastico. Inoltre, questi disturbi interessano spesso più membri della stessa famiglia, anche se si possono presentare con manifestazioni e gravità parzialmente diverse.
Le osservazioni sulla predisposizione al linguaggio e all’interazione con l’ambiente, insieme a quelle sulla maggior incidenza delle patologie nei maschi, corroborano le ipotesi che il linguaggio sia legato a fattori genetici. E, tuttavia, mostrano anche che la dotazione innata è una condizione necessaria ma non sufficiente allo sviluppo linguistico. Infatti, anche se i bambini sono geneticamente predisposti a distinguere i suoni del linguaggio, per esercitare e affinare queste abilità devono essere immersi in un contesto linguistico.
Allo stesso modo, la propensione a mettersi in relazione con l’ambiente si può sviluppare solo se le persone che si occupano del bambino interagiscono con lui, adeguandosi fin dai primi momenti alle sue necessità e modalità di comunicazione. Così, ogni genitore sa cullare il bimbo che piange cantando o facendo discorsi in cui la melodia della voce ha un potere consolatorio; sa aspettarlo quando produce i primi balbettii, alternandosi con lui in una sorta di conversazione; sa usare frasi molto brevi che danno il nome alle cose quando il bambino esplora il mondo oggettuale che gli sta intorno.
Anche se le madri non hanno alcuna intenzione di insegnare parole e frasi, di fatto gli accorgimenti che adottano – modulando la voce, regolando la lunghezza dei loro discorsi ed entrando nel focus attentivo del bambino – sono un supporto fondamentale per lo sviluppo del linguaggio. E questi stessi accorgimenti sono ancora più importanti nei casi in cui la dotazione di partenza sia per qualche motivo insufficiente: rappresenteranno infatti il motore per superare tale carenza o mitigarne gli effetti negativi.
Ambiente e dotazione genetica, insomma, interagiscono fin dalla nascita e durante tutta la crescita: la dotazione genetica risponde alla stimolazione ambientale e la stimolazione ambientale influenza la dotazione genetica, affinandola e orientandola nel corso dello sviluppo.