I rapporti tra i sessi, nella ricerca dei rispettivi ruoli, nel loro costante bisogno di ridefinirsi, assumono particolari contorni quando una coppia aspetta un bambino. Quasi sempre ormai ci si domanda come e in che misura l’aiuto reciproco si concretizzerà, quale carico di cure spetterà a ciascuno, quali nuove responsabilità si dovranno assumere.
Nella nostra cultura, l’uomo è sempre rimasto fuori: dalla camera quando il parto avveniva in casa, dalla sala parto nell’ospedale (o dalla TIN), dall’ambulatorio pediatrico, dalle cure, dai primi giochi del bambino. Entrare in sala parto ha voluto dire per l’uomo un cambiamento profondo del suo modo di porsi, a livello psichico e fisico, di fronte alla donna e al neonato. Una vera e propria uscita dallo stato di “attesa passiva”.
In passato, il fatto che biologicamente un individuo fosse donna sembrava permetterle di diventare, dal momento che concepiva, naturalmente madre (non a caso la madre che abbandonava il figlio era detta “snaturata”). Ma una madre non è tale in quanto donna e basta, bensì quando accetta di diventarlo, assumendone la consapevolezza cognitiva e affettiva. Lo stesso processo avviene per il padre: essere madre o padre quindi, non dipende esclusivamente dalla fisicità ma è correlato alla consapevolezza, socioculturale e psicologica. Per l’uomo, prepararsi alla nascita vuol dire il più delle volte cominciare ad ascoltare il proprio corpo; riconoscere il rifiuto, che può insorgere, ai cambiamenti fisici della donna; riconoscere che può vivere la gravidanza come qualche cosa che viene tolta a lui in termini di attenzione e di affetto, e avere vere crisi di gelosia.
Nell’uomo, durante la gravidanza della compagna, compaiono spesso una serie di manifestazioni psicosomatiche (disturbi che interessano la schiena, la pancia): manifestazioni che vanno riconosciute, utilizzate per una presa di coscienza del fatto che la nascita di un figlio investe anche la vita psichica del padre, che anche l’uomo si sta preparando alla nascita. Per il neonato avere un padre che si è preparato alla nascita vuol dire trovare un’altra persona, oltre la madre, attenta ai suoi bisogni, pronta a un rapporto corporeo con lui, che ha elaborato e riconosciuto le proprie debolezze e le esigenze dell’altro.
L’approccio al corpo del neonato può essere per il padre fonte di emozioni positive: la scoperta del rapporto con un’altra persona. I gesti e le posizioni nell’accudire un neonato, nel nutrirlo, i modi di sostenerlo, non sono da intendersi come modalità geneticamente femminili: di fatto si evidenziano come atteggiamenti specificamente femminili perché da sempre praticati quasi esclusivamente dalle donne (e bene lo documenta tutta l’iconografia esistente, della pittura alla scultura). Questo significa ad esempio che il modo di tenere in braccio un neonato, facendo una nicchia con le braccia, tenendolo vicino al proprio torace, guardandolo negli occhi, non è qualcosa che appartiene al sesso femminile, né deriva dall’essere donna, ma appartiene al neonato (a tal proposito, rimandiamo anche ai nostri articoli sul Babywearing e sui supporti da utilizzare per “portare” il piccolo). È un suo bisogno, legato a precise caratteristiche anatomico-funzionali, e all’esigenza di rivivere la rassicurante esperienza delle posizioni uterine, a lui note.
L’uomo che accudisce e cura “fisicamente” il figlio neonato si “neonatizza”, si adatta cioè al neonato. Certo possiamo copiare e farci raccontare dalle donne, che lo sanno già fare, come si sostiene un neonato; ma rassicura e dà più fiducia nelle proprie capacità il rendersi conto che il loro non è in assoluto un sapere ereditato, ma una cultura appresa con un prolungato e continuo dar risposta alle esigenze del cucciolo umano, cui si doveva adattare chiunque lo avesse preso in braccio, uomo o donna che fosse. In altri termini: nella relazione non c’è mai una sola direzione comunicativa, entrambi i soggetti relazionanti guidano, modificano e determinano le modalità della relazione stessa.