Il papà in TIN, tra emozioni e difficoltà

Quando un bambino viene ricoverato in terapia intensiva neonatale, anche il padre si trova ad affrontare un momento emotivamente delicato, tra grandi responsabilità e sentimenti di impotenza. Come comportarsi?

Immagine per l'autore: Sara Lanzini
Sara Lanzini , psicologa perinatale
vista dall'alto della testa di un neonato prematuro con il padre

In passato la cura e la gestione dei neonati veniva considerata una responsabilità quasi esclusivamente materna; oggi invece sappiamo che la partecipazione attiva e la condivisione emotiva dei padri nella cura dei piccoli appena nati non solo migliora l’attaccamento tra padre e figlio, con degli indubbi benefici sul bambino, ma ha anche ricadute molto positive sulla salute del padre stesso, della madre e dell’intera famiglia

Un’esperienza difficile

La situazione appare più complessa nei casi in cui un bimbo nasce prima del tempo o con patologie che richiedano, subito dopo il parto, il ricovero del piccolo nel reparto di Patologia neonatale o in quello di Terapia intensiva neonatale (TIN). 

È idea diffusa che il padre debba avere un ruolo di responsabilità e forza, e che possa sempre rappresentare un importante punto di riferimento per la madre e per i suoi bambini, soprattutto nei momenti più difficili. L’esperienza della terapia intensiva neonatale, tuttavia, stravolge spesso il percorso di genitorialità e mette a dura prova chi ne è coinvolto

Quando un neonato viene ricoverato in TIN, in genere si presta poca attenzione al ruolo paterno, ma anche il padre può provare un senso di smarrimento, paura e preoccupazione, sia per la nascita del piccolo, che è avvenuta in modo molto diverso da come se l’era immaginata, sia per la salute del bambino: spesso accade che sia proprio il papà a ricevere le notizie, a dover prendere delle decisioni e a riferire alla mamma quanto sta accadendo. Alla difficoltà della situazione si aggiunge quindi la responsabilità avvertita nei confronti della moglie, o compagna, che sta affrontando la fase del post-parto, magari particolarmente dura, e ha bisogno di sostegno pratico ed emotivo (spesso, in queste circostanze, le mamme vedono il bimbo solo in un secondo momento). Senza dimenticare gli eventuali altri figli a casa, lo stress dovuto alle richieste di informazioni di amici e parenti, e l’accresciuta solitudine di un periodo storico come quello che stiamo vivendo, in cui la pandemia di COVID-19 limita gli aiuti pratici che possono essere offerti ai neogenitori. 

Un sovraccarico di preoccupazioni

Ma che cosa accade concretamente? Il ruolo dei papà in TIN appare particolarmente impegnativo dal punto di vista emotivo, proprio a causa del grande carico di responsabilità che viene loro comunemente attribuito. Ecco quindi che la reazione tipica del padre stesso è quella di farsi carico di tutti i pensieri e di tutte le problematiche del momento, per evitare di esserne sopraffatto: questa modalità permette, all’inizio, di avere la sensazione di poter tenere tutto sotto controllo, ma con il passare del tempo la situazione può diventare più difficile da gestire.

Per quale motivo? Subito dopo la nascita il papà si trova in qualche modo obbligato a reagire “attivamente” agli eventi, per poter essere davvero un sostegno per tutti coloro che hanno bisogno di lui. Poi, quando non si è più nell’emergenza e si comincia a cercare un nuovo equilibrio, il papà tende a focalizzarsi maggiormente sul cambiamento, su ciò che è accaduto così repentinamente e sulle possibili conseguenze che tale evento potrebbe avere sulla famiglia. 

È importante, quindi, che i padri siano aggiornati e informati costantemente ‒ non solo nel periodo “emergenziale” ‒ per disporre di un piano di realtà al quale appoggiarsi. Può accadere che talvolta le comunicazioni avvengano quando il papà è assente, magari al lavoro: sarebbe invece fondamentale che gli operatori sanitari riferissero le notizie quando entrambi i genitori sono presenti, così da favorire la condivisione e la discussione, soprattutto nei casi di lunghe degenze o problemi seri. 

Gli effetti benefici del contatto pelle a pelle

Non va poi dimenticato che anche il padre può aver bisogno di sostegno. Oltre al supporto psicologico ‒ che è importante venga offerto alla coppia genitoriale e non solo alla mamma del piccolo ricoverato ‒, gli operatori, infermieri e medici, dovrebbero favorire in vari modi la vicinanza padre-bambino. È innanzitutto importante promuovere il contatto tra il papà e il bimbo, aiutando a riconoscere le risposte del piccolo: il contatto pelle a pelle ‒ la cosiddetta kangaroo care ‒, può essere praticato da entrambi i genitori. Il contatto fisico con il neonato è fonte di sentimenti molto forti, e i padri manifestano gratitudine, felicità e senso di utilità nel dedicarsi a questa abitudine, che oltretutto facilita la sintonia con le necessità del neonato

Alcuni studi riportano come spesso, dopo il contatto pelle a pelle, i padri riferiscano di sentirsi meno ansiosi e preoccupati, e più coinvolti nella cura del proprio bambino e della compagna. E sono osservabili benefici anche nel piccolo, come avviene con il contatto materno: migliorano la temperatura corporea e il livello glicemico e del cortisolo, e il bambino appare nel complesso più tranquillo e rilassato. Dal contatto diretto con i bambini, quindi, i padri possono trarre importanti benefici per sé stessi e per i neonati, imparando nel contempo a diventare dei caregiver autonomi per i propri figli.

Uno spazio per i padri

Infine, sarebbe importante promuovere e favorire l’incontro tra i padri che hanno figli ricoverati in terapia intensiva neonatale, come già avviene per le madri, in modo da offrire loro uno spazio di discussione e di sostegno reciproco. La maniera di affrontare questo momento di difficoltà, infatti, può essere differente tra madre e padre, e la possibilità di confrontarsi attivamente con qualcuno che sta vivendo la stessa situazione dalla medesima posizione può costituire un aiuto valido e concreto nella gestione della quotidianità.

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Sara Lanzini

Consegue la laurea in Scienze e tecniche psicologiche e la laurea magistrale in Psicologia dello sviluppo e dei processi educativi presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Successivamente la sua formazione si concentra sulla psicodiagnostica e sul sostegno psicologico a genitori e bambini. Membro del consiglio direttivo dell’Associazione Scientifica Italiana di Psicologia perinatale, dal 2017 lavora presso il reparto di Patologia neonatale dell’Ospedale San Raffaele fornendo supporto psicologico ai genitori dei piccoli ricoverati e presso il Day Hospital della Clinica Pediatrica De Marchi di Milano.

Bibliografia
  • Franco Baldoni, Funzione paterna e attaccamento di coppia: l’importanza di una base sicura, in Nadia Bertozzi (a cura di) «Padri & paternità. Atti del V Convegno internazionale», Edizioni Junior, Bergamo, 2005
  • Simona Di Folco e Giulio Cesare Zavattini, La relazione d’attaccamento padre-bambino: una rassegna della letteratura, «Giornale Italiano di Psicologia», XLI (1), 2014
  • Alberto Stefana, La terapia intensiva neonatale: uno spazio per i padri?, «Psicologia Clinica dello Sviluppo»,  20 (3), 2016
  • Flaviana Tenuta, Il bambino prematuro. Programmi di intervento e sostegno psicologico, Carocci, Roma, 2007
  • Stefania Ulivieri Stiozzi, Pensarsi padri. Narrazioni nel corso del tempo, Guerini scientifica, Milano, 2008
Articolo pubblicato il 08/01/2021 e aggiornato il 22/09/2022
Immagine in apertura manonallard / iStock

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