Gli strumenti per collegarsi a Internet, primo fra tutti lo smartphone, sono parte integrante della vita di molti minori, anche in età infantile e preadolescenziale. Spesso la sicurezza del loro uso solleva forti preoccupazioni nei genitori e negli educatori, anche in seguito a tragici episodi di cronaca, purtroppo spesso raccontati dai media in modo irresponsabile, poco rispettoso delle persone coinvolte e potenzialmente pericoloso.
Il 9 febbraio ricorre il Safer Internet Day 2021 (la Giornata per una rete più sicura), promosso dalla Commissione Europea per fare il punto sulla sicurezza e l’uso positivo del web, in cui si riflette con particolare attenzione sui dati relativi a bambini e adolescenti, presentando i risultati di importanti ricerche eseguite a livello internazionale.
Che cosa possono fare i genitori e gli educatori per contribuire al benessere e alla sicurezza di bambine e bambini, ragazze e ragazzi nella loro vita online? Si tratta di una domanda molto diffusa e certamente complessa, e per cercare di orientarci abbiamo chiesto l’aiuto di due esperti.
«Nel corso del tempo si sono moltiplicati gli studi che monitorano il comportamento e le esperienze dei minori online, consentendoci di avere un quadro via via più chiaro e definito dell’evoluzione del fenomeno e permettendoci di valutare se alcune idee diffuse siano corrispondenti alla realtà oppure no», ci ha detto Giovanna Mascheroni, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università Cattolica di Milano, attivamente coinvolta in importanti progetti europei che riguardano lo studio della vita in rete di bambine e bambini. Tra questi studi ricordiamo EU Kids Online, un’estesa e autorevole ricerca sui bambini e i ragazzi di 19 nazioni europee, tra cui l’Italia.
Per quanto riguarda nello specifico i minori nel nostro Paese, emerge che lo smartphone è lo strumento privilegiato per collegarsi a Internet. Viene usato quotidianamente dal 97% degli adolescenti di 15-17 anni e dal 51% dei bambini di 9-10 anni. Nel corso del tempo è cresciuto significativamente il numero di bambini e ragazzi tra i 9 e i 17 anni che hanno avuto in rete esperienze che li hanno turbati o fatti sentire a disagio: si è passati dal 6% del 2013 al 13% del 2017. Continuano ad aumentare i contenuti inappropriati, legati per esempio a ostilità e razzismo, i discorsi d’odio, l’esposizione a contenuti pornografici e il sexting (ovvero lo scambio di messaggi con contenuto sessuale). Resta stabile il dato relativo al bullismo, che rimane l’esperienza che procura maggiore sofferenza. I più piccoli e le ragazze sembrano soffrire in modo più intenso per le esperienze negative vissute in rete. Un terzo dei minori coinvolti, di fronte a queste situazioni, assume un atteggiamento passivo: cerca di ignorare il problema e spera che passi da solo.
Sottolinea Giovanna Mascheroni: «È molto importante riflettere su alcuni concetti che vengono spesso confusi e banalizzati, come quello di “rischi” e dell’esposizione agli stessi e quello di potenziali “danni”. Le ricerche mostrano con grande chiarezza che i minori che usano di più Internet sono più esposti al rischio di vivere esperienze negative, ma questo non si traduce automaticamente in una maggiore vulnerabilità. L’uso della rete, infatti, rende anche più competenti e conferisce maggiori strumenti per difendersi, e i dati lo stanno via via mettendo in luce».
Nel saper fronteggiare i pericoli e le conseguenze delle esperienze spiacevoli vissute in rete concorrono una serie di fattori, legati agli aspetti psicologici, alla vita di relazione e all’ambiente familiare. «Abbiamo osservato – evidenzia Mascheroni – come bambini e ragazzi che mostrano maggiore fragilità nella vita offline siano anche quelli che si espongono a maggiori rischi in rete. Internet funge spesso da fattore di amplificazione delle disuguaglianze e delle vulnerabilità individuali. Pensiamo, per esempio, a bambine e bambini con fragilità di tipo psicologico ed emotivo, che tendono a isolarsi o vengono emarginati. In molti casi le difficoltà di socializzazione nella vita offline possono spingere a cercare amicizie online, senza però avere gli strumenti critici per difendersi da eventuali pericoli. Questa amplificazione delle disuguaglianze si traduce anche in un aumento dei possibili attacchi online, perché bambine e bambini con fragilità possono essere più spesso bersaglio di cyberbullismo in quanto percepiti come diversi».
«Nel corso del tempo sono state monitorate le competenze mostrate nella vita online da bambine e bambini, ragazze e ragazzi, per esempio attraverso ricerche come quelle del progetto ySKILLS», continua Mascheroni. «Spesso si sottolinea come bambini e adolescenti abbiano talvolta competenze tecniche e operative maggiori rispetto a quelle dei genitori, mostrando disinvoltura nel rapportarsi con gli strumenti di connessione. Questo, però, non significa che possiedano altre competenze necessarie per garantirsi una vita online serena e positiva. Possono, per esempio, essere sprovvisti di capacità critiche che consentano loro di distinguere le notizie vere da quelle false, di capire quale sia una fonte affidabile e quale no. Spesso non hanno ancora competenze di tipo comunicativo e sociale che permettano loro di avere un atteggiamento e adoperare un linguaggio adeguato ai diversi contesti di comunicazione, oppure, ancora, non sanno che cosa sia giusto condividere e quali informazioni vadano, invece, protette con grande attenzione, per non correre rischi. Inoltre, potrebbero non avere idee chiare su come comportarsi di fronte ad atteggiamenti che li mettono a disagio o causano loro sofferenza», continua l’esperta.
Come sottolinea Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta ed esperto di dipendenze tecnologiche, non bisogna neppure dimenticare che l’impreparazione di bambini e ragazzi a gestire queste situazioni ha anche specifiche ragioni fisiologiche: «Durante l’adolescenza lo sviluppo cerebrale non è ancora completo e non c’è una comunicazione efficace tra le varie regioni cerebrali. Accade quindi che le emozioni possano emergere in maniera rapida e intensa senza che le funzioni esecutive presenti nella corteccia prefrontale, in via di sviluppo, riescano a fungere da regolatori. Ecco perché gli adolescenti sono spesso governati dall’azione più che dalla riflessione e dall’emozione più che dalla ragione. Questo già di per sé li espone proprio fisiologicamente a maggiori rischi, per via del ridotto senso del limite e del pericolo», ricorda l’esperto.
Continua Giovanna Mascheroni: «Le indagini internazionali hanno messo in evidenza il problema dei bambini e degli adolescenti che accedono al web prima, e non dopo, di aver conseguito tutte le necessarie competenze. Proprio per questo è fondamentale che gli adulti di riferimento, in particolar modo i genitori, non li lascino da soli e forniscano loro il sostegno necessario». Spesso i genitori sono frenati dal fatto di sentirsi meno competenti dei figli negli aspetti puramente tecnici della gestione delle app più usate dai figli, ma l’esperta sottolinea che si tratta di un problema secondario: «Conoscere gli spazi web frequentati da bambini e ragazzi è senz’altro importante e, naturalmente, lo è informarsi in maniera adeguata, ma bisogna anche ricordare che i genitori sono un aiuto fondamentale non nelle competenze tecniche, ma in quelle relazionali, comunicative, di gestione del mezzo e dei potenziali rischi».
Non bisogna mai rinunciare, quindi, al proprio ruolo di educatori, ricordando che gli strumenti di connessione non sono giocattoli e non sono pensati per bambini e ragazzi. Sottolinea Lavenia: «È importante che i genitori cambino cultura rispetto all’utilizzo della tecnologia da parte di bambini e adolescenti. È necessario avere e costruire consapevolezza digitale. Si danno sempre più presto a bambine e bambini smartphone o strumenti tecnologici connessi alla rete: l’età media del primo smartphone è ormai molto bassa, 10 anni. A volte questi strumenti vengono affidati ai minori senza che si abbia la consapevolezza di che cosa si sta regalando.
La rete e lo smartphone sono uno spazio e uno strumento nati per gli adulti, ma che vengono lasciati in mano a un bambino. Inoltre si regala lo smartphone e si ritiene di poter stare tranquilli perché i figli sono in casa e, anche se li si vede fissi su uno schermo, non ci si interessa, irresponsabilmente, di che cosa facciano e del loro mondo online. È invece fondamentale costruire una relazione su questo tema. Se proprio non si riesce ad attendere almeno i 14 anni del figlio per consentirgli di scaricare i primi social, è importante chiedere come è andata la sua giornata online, oltre alla sua giornata offline. Informarsi sul suo mondo virtuale, fare domande, è la prima strada per prendersi cura del minore». Non bisogna perdere di vista il fatto che ciò che avviene nel web può avere conseguenze anche pesanti e gravi sulla vita “reale”, perché la dimensione online è parte effettiva dell’interazione umana, della vita di relazione e della comunicazione.
Purtroppo la mancanza di consapevolezza digitale e le lacune sulla sicurezza nel web sono un problema diffusissimo anche tra gli adulti. Talvolta sono gli stessi genitori a diffondere indiscriminatamente nel web immagini e dati personali relativi ai figli, sottovalutando con leggerezza le possibili conseguenze di questo comportamento e senza tenere adeguatamente in considerazione l’estrema difficoltà (se non l’impossibilità) di rimuovere davvero dalla rete del materiale che vi circoli. Anche gli adulti, inoltre, mostrano di frequente segni di dipendenza dall’uso di strumenti di connessione e difficoltà a staccarvisi nel corso della giornata, come pure può capitare che cadano in comportamenti inappropriati o poco sicuri nell’uso dei social e del web. Se vogliamo insegnare a bambini e adolescenti a usare Internet in modo positivo, non dimentichiamo l’importanza di dare loro il buon esempio.
Il ruolo dell’educatore comporta anche aiutare il bambino o l’adolescente a comprendere l’importanza di seguire delle regole, che riguardano, per esempio, lo stabilire dei limiti all’utilizzo degli strumenti di connessione, spiegandone le ragioni. Suggerisce Lavenia: «Stabiliamo regole chiare, elaboriamo un contratto di utilizzo dello smartphone e delle sue applicazioni, che il ragazzo dovrà rispettare e il genitore dovrà avere l’autorevolezza di far osservare. La prima regola deve essere la condivisione delle password del telefono e delle app, perché fino alla maggiore età sono gli adulti a essere responsabili di che cosa i figli fanno e dicono online. Magari non andremo mai a verificare, ma bambini e ragazzi devono sapere che abbiamo la possibilità di farlo quando lo riteniamo necessario e allo scopo di proteggerli».
Un utile riferimento possono essere i consigli forniti ai genitori dalla Polizia Postale per una navigazione sicura e consapevole dei minori su Internet.
Aggiunge Mascheroni: «Nel monitoraggio dell’attività online dei minori, accanto alle regole condivise, possono essere utili sistemi di parental control calibrati all’età. È bene, però, ricordare che, come mostrano le ricerche, le restrizioni da sole non sono sufficienti se non sono accompagnate dagli elementi più importanti, che sono il dialogo, la presenza, la condivisione, e anzi possono essere nocive, perché limitano le opportunità e le competenze digitali. I genitori possono affiancare i figli e domandare loro che cosa fanno online, quali app intendono scaricare e adoperare, quali usano e per fare che cosa, accertandosi che abbiano consapevolezza delle conseguenze del proprio comportamento online.
Un buon punto di partenza è mostrarsi aperti e chiedere a bambini e ragazzi di spiegare loro la struttura e il funzionamento dei mondi virtuali con cui interagiscono, portando poi il proprio punto di vista di persona adulta e in grado di gestire i problemi con maturità. Mentre risponde alle domande degli adulti, il bambino ha modo di riflettere sulle sue scelte. Il dialogo educativo è senza dubbio l’elemento centrale». Nel frattempo, i genitori e gli educatori si manterranno pronti a cogliere eventuali segnali di disagio, come cambiamenti nel comportamento, chiusura, atteggiamenti di autoisolamento, problemi nel ciclo del sonno, peggioramento del rendimento scolastico, comportamenti autolesionistici e altro.
Le ricerche evidenziano anche l’importanza di insegnare a reagire in modo non passivo di fronte alle esperienze spiacevoli. Aggiunge Mascheroni: «Insegniamo a bambini e adolescenti a rivolgersi ai genitori e agli adulti di riferimento quando si sentono a disagio o qualcosa li fa stare male, così come ad assumere comportamenti proattivi, come bloccare i contatti indesiderati e segnalare i contenuti inappropriati. Si sono dimostrate utili anche le forme di sostegno tra pari, per esempio gestite da associazioni, spesso coinvolte in progetti scolastici, in cui coetanei o ragazzi un po’ più grandi insegnano agli altri come evitare forme di bullismo o altri tipi di molestie e quali strategie impiegare».
È comunque importante ricordare che il problema non è nello strumento Internet in sé, ma nel suo utilizzo in modo sbagliato. «Sono stati avviati, per esempio, lodevoli progetti, come la 5Rigths Foundation, che si propone di rendere il web un posto in cui bambini e adolescenti possano navigare in modo sicuro e senza rischi, potenziando le proprie competenze. Da questa iniziativa è partita l’idea del Commento Generale 25 in merito all’ambiente digitale, che dovrebbe garantire che la Convenzione ONU sui Diritti dell’infanzia venga rispettata anche nel web. Oggi l’universo virtuale non è ancora strutturato nel rispetto dei diritti di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, ma speriamo che possa diventarlo in futuro», conclude Mascheroni. Nel frattempo, facciamo in modo che bambini e adolescenti possano sempre contare sull’aiuto degli educatori.
Divulgatrice scientifica, è socia effettiva e presidente della sezione pugliese del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e membro del direttivo dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM. Scrive per diverse riviste cartacee e online, tra le quali Le Scienze, Mind, Uppa, Focus Scuola, Wired.it, Wonder Why, Scientificast.