Una serie di studi dell’Università del Sussex mette in evidenza alcuni aspetti ai quali spesso non si pone sufficiente attenzione: il ruolo importantissimo delle famiglie, insieme a quello dell’ambiente scolastico, nel favorire un atteggiamento positivo verso una specifica disciplina di studio, la matematica. In queste ricerche gli scienziati hanno avuto modo, per esempio, di osservare che il livello di istruzione dei genitori è un importante fattore predittivo del successo in matematica, suggerendo l’importanza, a livello sociale, di sostenere campagne a favore del rafforzamento delle competenze matematiche e, in generale, dell’istruzione anche negli adulti, e hanno, inoltre, osservato come le bambine e i bambini che percepiscono la materia come interessante e utile riescano a ottenere risultati significativamente migliori.
Anche l’ambiente scolastico ha il suo peso, per esempio quando gli studenti percepiscono negli insegnanti un atteggiamento equo nei riguardi di tutti gli alunni e, in generale, sentono il contesto scuola come accogliente e positivo. Naturalmente, studi successivi contribuiranno nel tempo a precisare o correggere questi risultati, che appaiono, comunque, interessanti.
A un buon rapporto con la matematica contribuisce, quindi, un complesso di fattori, nei quali anche le famiglie rappresentano un tassello importante.
Nonostante gli ultimi dati evidenzino alcuni segnali positivi, in Italia l’ostilità verso questa disciplina, che costituisce una base culturale fondamentale e irrinunciabile, è ancora diffusa. La “paura della matematica”, il sentimento di inadeguatezza di fronte alla sua presunta incomprensibilità, ha forse un equivalente solo nella fobia verso le lingue classiche, ingiustamente considerate “materie per secchioni”. In un suo celebre saggio [1] , il matematico e neuroscienziato francese Stanislas Dehaene ha dimostrato come quello del “pallino della matematica” sia un mito che non ha basi scientifiche e che, quindi, scuole e famiglie non dovrebbero alimentare. Non è necessario essere dei geni o essere particolarmente predisposti per conseguire buoni risultati in questa materia, che può essere affrontata in modo positivo da parte di tutti.
Quali sono gli stereotipi che tengono lontani bambine e bambini da un sereno apprendimento della matematica? Secondo Sandra Lucente, docente di Analisi matematica all’Università di Bari e divulgatrice scientifica, un possibile ostacolo è, per esempio, un fraintendimento di base: «La matematica – ci ha detto – è un linguaggio, e come tale per apprenderlo ci vuole impegno e tempo. Invece si considera come una disciplina per la quale dobbiamo essere “portati”. Fare le operazioni e dimostrare un teorema sono due livelli linguistici diversi, non ci si deve scoraggiare se non si apprende subito un livello».
Continua Lucente: «L’espressione “essere portati” per la matematica non ha senso, se lo studio è una danza, siamo noi a “portare” l’attenzione ai contenuti. Per esempio, la geometria è completamente innata in noi, si sviluppa potenziando lo sguardo sulle cose. Dal punto di vista didattico, non amo i distrattori del pensiero logico di cui sono invece pieni i testi. Se un bambino sta imparando le somme, all’inizio vanno bene le penne colorate per gli ordini di grandezza, ma poi deve anche potersi concentrare sulla somma, non sul colore delle penne. E deve anche potersi ribellare e capire che se le centinaia non fossero verdi ma rosse non accadrebbe nulla all’operazione. L’astrazione non è la difficoltà della matematica, è la sua libertà. La paura della matematica è quella verso una gabbia di regole».
In questo senso, il ruolo delle famiglie si fa cruciale. Sottolinea l’esperta: «Il genitore che dice: “Non ci ho mai capito niente” cerca di portare il figlio in quella gabbia. Chi tira in ballo la predisposizione taglia rami su cui i bimbi stanno come gemme a imparare; quindi niente frasi del tipo: “Non sei portato, hai preso dal tuo prozio”. Nemmeno il mito del docente mago favorisce la scoperta della matematica: “Non sa la matematica perché ha avuto un professore terribile”. Il docente è importante ma non può sottrarre capacità, quindi si deve capovolgere la situazione pensando che questa materia si può studiare nonostante le difficoltà che chiunque incontra nello spiegarla».
Ma un genitore che desidera accendere nel figlio curiosità e buona disposizione verso questa materia deve per forza essere un esperto? Oppure esistono strategie alla portata di tutti? Sandra Lucente è di questo avviso: «La matematica è il linguaggio della complessità. Il genitore che voglia parlare di matematica con i propri ragazzi deve porsi al solo livello possibile davanti ai problemi: la domanda condivisa. Una domanda curiosa stimola i ragazzi a cercare. Per esempio, nell’urbanistica della propria città o mentre si viaggia si possono far notare le tante strutture geometriche presenti. Oppure si può porre la domanda di sfida, come l’esercizio enigmistico, ascoltando prima la risposta del figlio, che quasi certamente è più immediata di quella dei genitori; oppure, ancora, si possono porre domande sulla storia dei matematici e dei problemi famosi. Leggere libri divulgativi, anche solo lasciarli in giro, sin da quando i figli sono piccolissimi, può far sì che i bambini e le bambine trovino l’entusiasmo e il desiderio di sviluppare le proprie capacità logiche. Insomma, i non esperti devono porre al bambino domande e cercare con loro risposte. La sola domanda per cui un genitore deve essere pronto è: “Perché la matematica è bella?”. Io conosco la risposta, ma è più divertente lasciarla come libero esercizio a tutti!», conclude l’esperta.
Divulgatrice scientifica, è socia effettiva e presidente della sezione pugliese del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e membro del direttivo dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM. Scrive per diverse riviste cartacee e online, tra le quali Le Scienze, Mind, Uppa, Focus Scuola, Wired.it, Wonder Why, Scientificast.