Ci avete fatto caso? Viviamo immersi in un mondo lineare, in cui tutto si muove “verso” qualcosa. Lo spazio è lineare: quando ci spostiamo, lo facciamo verso una meta. Anche il tempo ci appare lineare; i fisici ci dicono che non lo è, ma non è semplice afferrare questo concetto. Ciò che noi sperimentiamo, infatti, è che ci sono un prima e un dopo, uno “ieri” e un “domani”.
Parliamo di evoluzione della specie, di progressi della scienza, e finiamo per essere convinti che ciò che viene dopo sia necessariamente meglio di quanto veniva prima, e che tornare indietro sia qualcosa di negativo. È davvero così?
I genitori sono continuamente in attesa di un “dopo”: il futuro è il tempo più utilizzato nei loro discorsi sui bambini. «Quando nascerà; quando dirà le prime parole; quando camminerà; quando andrà a scuola; quando imparerà a leggere. Quando sarà grande…».
Parlare dei progressi del bambino rende orgogliosi: «Sai che Martino ha già cominciato a camminare da solo?»; «Sai che Laura legge già le insegne?». Ma cosa accade se il bambino non fa solo passi in avanti?
«Aveva iniziato a usare il vasino, poi chissà cosa è successo, ma vuole di nuovo il pannolino…»; «Dormiva tranquillo nella sua cameretta già da tre mesi; ora, non sappiamo perché, non vuole più starci, dorme solo nel lettone».
«Cosa è successo?» e «Chissà perché?» sono le domande che si pongono i genitori quando sembra che un bambino interrompa il normale percorso che prevede un continuo “di più” – nuove conquiste, nuovi traguardi – e “torna indietro”.
Sono domande che danno per scontato che quel tornare indietro sia anomalo e negativo, e che debba esserci una causa che ha impedito il naturale processo in avanti, l’unico buono e accettabile.
Il mondo in cui un bambino cresce non corrisponde a questa semplificazione: è un mondo complesso, che gli trasmette stimoli e richieste, sensazioni ed emozioni, segnali non sempre facili da comprendere, che lo incuriosisce e al tempo stesso lo preoccupa. Anche il suo corpo è complesso; acquisisce improvvisamente nuove capacità che gli aprono nuove emozionanti possibilità: camminare, raggiungere da solo gli oggetti, parlare, far succedere cose con le parole (come ottenere qualche cosa nominandola).
Non siamo abituati a pensare che ognuna di queste conquiste, ognuno di questi cambiamenti “in avanti” che ci riempiono di orgoglio, richieda un nuovo assestamento del bambino nel mondo complesso in cui è inserito. E a volte, l’assestamento comporta uno o due passi indietro.
Proviamo a immaginare la famiglia come un sistema. Questo termine poco usuale indica che le persone che ne fanno parte non si limitano a condividere spazi e tempi di vita, ma sono legate da relazioni molto particolari. Se un elemento della famiglia cambia in qualche modo (nei comportamenti, nelle richieste…), produce cambiamenti in tutti gli altri. Quali cambiamenti produca, però, non può saperlo nessuno: ogni sistema reagisce in modo diverso ai mutamenti delle persone che ne fanno parte.
Martino che «cammina già da solo», ad esempio, può essere incoraggiato e facilitato nelle sue avventure motorie (e disavventure) se genitori e nonni non temono eventuali lividi e bernoccoli, se non gli fanno continue richieste di «stare attento», non allontanarsi, non toccare, non cadere; se la sua conquistata indipendenza, insomma, non provoca in loro ansia e preoccupazione.
Stiamo affermando che se i genitori sono ansiosi, Martino potrebbe rallentare nel suo sviluppo, e addirittura tornare indietro rispetto ai progressi nel camminare da solo?
Per fortuna non è così, ed è questa la meravigliosa caratteristica dei sistemi umani: sono sistemi viventi, composti da esseri che reagiscono in modi diversi e imprevedibili. In risposta alle raccomandazioni preoccupate dei genitori, Martino potrebbe diventare più cauto, magari tornare “per sicurezza” a gattonare per un po’, ma potrebbe anche imparare ad aggirare le ansie degli adulti riservando le sue avventure più audaci ai momenti in cui è sicuro di non essere visto.
Tutto il periodo della crescita di un bambino è un susseguirsi di cambiamenti, reazioni a quei cambiamenti, ricerca di un nuovo equilibrio che “vada bene” per il bambino e per la famiglia. Molte delle cosiddette regressioni possono essere viste come la ricerca di un equilibrio più adatto a un nuovo momento della vita del bambino.
Pensiamo ad esempio a quei ragazzini che hanno la reputazione di “studenti modello”: studiosi, intelligenti, impegnati, elogiati da genitori e insegnanti. Cosa succede se il loro rendimento cala? Se non tengono fede all’immagine che piaceva così tanto a tutti?
In genere, si cerca – quasi sempre senza successo – di trovare la “causa” di quel cambiamento; non siamo abituati, invece, a chiederci “a cosa può servire” a quel bambino, in quel momento, permettersi di essere un po’ meno bravo a scuola: forse a liberare spazio mentale ed energie per nuovi compiti e nuovi obiettivi di vita. Forse soltanto a lasciarsi alle spalle un’immagine troppo impegnativa in cui non si riconosce più.
Anche un bambino che non vuole più dormire da solo, che ricomincia a succhiarsi il dito, che perde delle competenze che aveva acquisito può essere visto come un bambino alle prese con la ricerca di un equilibrio più adatto a quel momento della sua crescita. Come possiamo aiutarlo?
Per prima cosa, meglio evitare che l’attenzione di tutta la famiglia si concentri su quel “problema” e sulla ricerca delle cause o delle soluzioni migliori per superarlo al più presto; al tempo stesso, il cambiamento non va ignorato. Si può parlarne serenamente con il bambino, come di qualcosa che sta succedendo, ma senza giudizi negativi: «Ci accorgiamo che la scuola ti interessa meno in questo periodo»; «Ti serve di nuovo il dito per dormire e quando sei triste». Inoltre, si può riflettere sugli altri cambiamenti in corso: nuovi interessi, nuove richieste, nuovi modi di relazionarsi con i fratelli o con gli adulti.
Tutto questo può servire per rendersi conto che la crescita è fatta di moltissimi cambiamenti di cui spesso non ci accorgiamo, mentre ci concentriamo su quelli che sembrano passi indietro. E per prendere atto che non c’è niente che i genitori possano fare, se non accettare l’imprevedibilità del percorso di crescita del loro bambino, consentendogli di procedere a modo suo, con balzi in avanti, soste e passi indietro, assicurandogli uno sguardo attento e la disponibilità ad aiutarlo, ma senza forzare il passo: quando si sta cercando l’equilibrio, i movimenti bruschi non sono di aiuto.
psicologa, psicoterapeuta della famiglia e docente di counselling alla Scuola di specializzazione in Pediatria dell’Università di Torino, ha elaborato il metodo del counselling sistemico narrativo, che utilizza nella formazione dei professionisti e negli interventi per lo sviluppo delle competenze genitoriali. Ha fondato la scuola di comunicazione e counselling CHANGE di Torino.