Qualche volta il parto non procede come ci si è immaginato. Sapere cos’è un parto distocico e che cosa può “andare storto” aiuta ad accettare gli imprevisti e a concentrarsi sulle proprie risorse per superare le difficoltà (delle difficoltà legate a un parto podalico, invece, abbiamo parlato in questo articolo).
Il parto distocico per definizione è un parto difficoltoso che devia dalla fisiologia (del parto naturale abbiamo parlato in questo articolo). Richiede l’intervento ostetrico, manuale o strumentale, poiché la donna o il bambino si trovano in una condizione potenzialmente pericolosa.
I motivi per cui si presentano delle distocie del parto sono riconducibili a due grandi ordini di ragioni. Si parla di “distocia dinamica” quando la causa sta in un’alterazione della capacità dell’utero di contrarsi. Si parla di “distocia meccanica” quando il bambino ha difficoltà a passare attraverso il canale del parto per via della sproporzione tra il piccolo, la pelvi (cioè la parte ossea del bacino che racchiude il bambino) e gli organi perineali della donna (vulva, vagina, collo dell’utero).
Nella distocia dinamica l’utero può presentare contrazioni a frequenza o intensità alterate rispetto a quelle necessarie a permettere al bambino di nascere. Questa condizione si verifica soprattutto nelle donne multipare o in età avanzata.
Il “tracciato cardiotocografico” (o semplicemente “tracciato”) è un esame non invasivo in grado di fornire molte informazioni utili: viene praticato applicando all’addome della donna una sorta di “cintura” che registra contemporaneamente vari parametri, tra cui le contrazioni uterine e il battito cardiaco del feto, principale indicatore del suo benessere. Attraverso il tracciato si possono quindi valutare la frequenza e l’intensità delle contrazioni per diagnosticare eventuali alterazioni e proporre un trattamento appropriato.
A seconda della situazione, si possono adottare alcune semplici misure di sostegno alla donna (idratazione adeguata, farmaci antidolorifici, cambio di posizione, svuotamento della vescica), oppure potrebbe rendersi necessaria la rottura delle membrane amniotiche, nel caso in cui non si fossero ancora “rotte le acque”.
Possono inoltre venire somministrati dei farmaci, tra cui l’ossitocina, un ormone che è prodotto dall’organismo e serve a sostenere le contrazioni dell’utero, se si contrae troppo debolmente.
Le distocie meccaniche, come abbiamo detto, si verificano in caso di sproporzione fra le strutture materne (bacino, utero, vulva) e il feto: il piccolo avrà allora difficoltà a passare attraverso il canale del parto. Una situazione del genere è di solito impossibile da predire prima del parto, per cui non sono raccomandati accertamenti ulteriori oltre a quelli già consigliati per tutte le gravidanze.
Quando il bambino ha dimensioni molto grandi o si trova in una posizione che porta a un parto difficoltoso si parla di distocia fetale. Il feto normalmente ha la testa flessa sul tronco, e la parte posteriore del cranio (vertice) è la prima parte del corpo a presentarsi all’esterno, seguita poi dalle spalle.
Se il piccolo ha dimensioni superiori alla norma (che i medici stimano attraverso i percentili di crescita fetali), può avere difficoltà a passare con le spalle: si tratta di una “distocia di spalla” e può rendere necessarie manovre ostetriche oppure, se queste risultano inefficaci, il parto cesareo, al fine di garantire la massima sicurezza di donna e bambino.
Anche la distocia fetale non è prevedibile prima del parto. Come già accennato, il principale fattore di rischio è l’alto peso del neonato, parametro che non può essere stimato accuratamente prima della nascita, ma che è più frequente se la donna soffre di diabete o di obesità. Quando tali condizioni vengono adeguatamente trattate in gravidanza, il rischio di distocia fetale scende notevolmente.
Talvolta la sproporzione fra le dimensioni del feto e del bacino materno prolungano la durata della fase espulsiva del parto, con conseguente stanchezza estrema della donna e possibile sofferenza del piccolo, che viene stimata attraverso il tracciato cardiotocografico. Il ginecologo può quindi proporre l’utilizzo della ventosa per il parto distocico, uno strumento in plastica a forma di campana o coppa che si applica sulla testa del piccolo e permette di esercitare una trazione per facilitarne l’uscita.
Prima di utilizzarla il ginecologo chiede il consenso alla donna e chiama il pediatra o il neonatologo per assistere il neonato in caso di necessità. La donna viene poi invitata a svuotare la vescica e a mettersi sul lettino a pancia in su (nella posizione detta litotomica).
Per risultare efficaci, le trazioni effettuate dal ginecologo devono essere concomitanti alla contrazione uterina e alla spinta: è quindi importante essere informate sulla possibilità dell’utilizzo della ventosa in modo tale da recepire meglio le informazioni e le istruzioni che verranno date in sala parto.
Come ogni procedura, anche l’utilizzo della ventosa comporta dei rischi: il neonato potrebbe presentare delle emorragie, che nella grande maggioranza dei casi si verificano a livello dello scalpo creando un cefaloematoma, vale a dire un livido sotto il cuoio capelluto che si riassorbirà spontaneamente nei giorni successivi.
La donna, invece, potrebbe andare incontro a ematomi e lacerazioni nella zona genitale. D’altro canto, bisogna considerare che un parto distocico non trattato presenta rischi ben maggiori per la salute di madre e bambino.
Dopo un parto distocico sarebbe importante organizzare un incontro con gli operatori che lo hanno seguito, per ripercorrere insieme l’esperienza e avviare così un percorso di rielaborazione positiva, in modo da evitare che maturino frustrazioni o recriminazioni. Questi incontri non sono una routine in tutti i punti nascita, ma possono essere esplicitamente richiesti durante il ricovero.
pediatra presso la Struttura Complessa di Pediatria dell'Ospedale di Chivasso (TO), ha approfondito la Medicina del Sonno in età pediatrica con particolare attenzione alla prevenzione della SIDS (Sudden Infant Death Syndrome). Membro del comitato scientifico dell'Associazione SUID & SIDS Italia Onlus e dell'ISPID (International Society for the Study and Prevention of Perinatal and Infant Death).