Durante la gravidanza la donna viene sottoposta, già nel primo trimestre, al test di Coombs indiretto, prescritto con gli esami del sangue dal proprio medico. Lo scopo è quello di verificare l’eventuale presenza di anticorpi che, con il passaggio di sangue attraverso la placenta, possono causare la malattia emolitica nel feto e nel neonato (MEFN). Si cercano principalmente gli anticorpi diretti contro l’antigene D del fattore Rh. Per questo è importante capire la correlazione con il gruppo sanguigno e comprendere il significato del risultato del test di Coombs.
Molte donne, nel corso della gestazione, si chiedono cos’è e a che serve il test di Coombs. Il test, definito anche come test dell’antiglobulina, è un esame di laboratorio di tipo immunologico, usato per rilevare la presenza di anticorpi rivolti contro i globuli rossi circolanti nel corpo, che quindi possono attaccarli e provocare emolisi.
Il test di Coombs può essere di due tipi, diretto o indiretto, e viene eseguito attraverso un semplice esame del sangue, con un prelievo venoso dal braccio, senza alcuna preparazione. Questo tipo di esame in gravidanza serve per verificare la compatibilità del gruppo sanguigno della madre con quello del feto. Il test di Coombs viene effettuato anche al di fuori della gravidanza per valutare la compatibilità tra donatore e ricevente prima di una trasfusione di sangue oppure, in caso di reazione avversa a una trasfusione, per diagnosticare alcune forme di anemia.
Nel caso della gravidanza, il test di Coombs indiretto è utile per valutare la presenza di anticorpi anti-Rh, o antigeni anti-D, così da prevenire la malattia emolitica del neonato e programmare le eventuali procedure profilattiche e di controllo del feto prima e dopo il parto, soprattutto nelle donne che hanno un gruppo sanguigno con fattore Rh negativo.
La Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia (SIMTI) ha elaborato raccomandazioni, considerate fondamentali per tutte le donne in gravidanza, per prevenire le problematiche relative alla positività del test di Coombs. Tra le raccomandazioni si deve ricordare che:
Tutte le donne in gravidanza, che presentano anticorpi anomali in misura clinicamente rilevante, dovrebbero avere la possibilità di effettuare una consulenza in un centro specializzato e ricevere informazioni precise sull’assistenza successiva, sia durante la gravidanza in atto, sia nel caso di successive gestazioni.
Il test di Coombs indiretto, accompagnato dal test per identificare il gruppo sanguigno materno e l’eventuale presenza del fattore Rh, viene eseguito in gravidanza per accertarsi che non vi sia e che non possa verificarsi in futuro un’eventuale incompatibilità tra il sangue della madre e quello del feto. Come si evidenzia anche nelle Linee Guida della Gravidanza fisiologica, il test dell’antiglobulina indiretto è l’esame di riferimento standard per la diagnosi di anticorpi anti-Rh(D) in donne sensibilizzate verso sangue Rh(D) positivo, ma identifica anche la presenza di altri anticorpi materni responsabili della malattia emolitica fetale e neonatale.
Nel caso di uno scambio di sangue con il feto, le donne in gravidanza possono infatti sviluppare una risposta immunitaria, ovvero produrre anticorpi contro i globuli rossi del feto che l’organismo materno identifica come estranei, perché diversi dai propri. A causa del passaggio, attraverso la placenta, degli anticorpi IgG materni, il feto risulta a rischio, poiché questi anticorpi possono attaccare i suoi globuli rossi: la possibile conseguenza è un’anemia, nota come malattia emolitica del neonato, che può causare lievi sintomi come l’ittero fino a danni gravi quali: anemia, edema diffuso, idrope e morte fetale.
Gli anticorpi coinvolti possono essere diversi (anti-D, anti-Kell, anti-C, anti-E), essere diretti contro antigeni del gruppo Rh, ma anche verso antigeni irregolari dei sistemi non Rh.
Il caso relativamente più frequente però riguarda il fattore Rh e si verifica quando il gruppo sanguigno della madre è Rh negativo (esempio A negativo), quello del padre Rh positivo (esempio B positivo) e il feto è Rh positivo (esempio AB positivo). In questo caso l’organismo materno può sviluppare anticorpi contro l’antigene Rh, chiamati appunto anticorpi anti-Rh o anti-D. In genere il problema si pone per le gravidanze successive poiché l’organismo materno sviluppa dopo il parto gli anticorpi che potrebbero attaccare un feto successivo. La risposta immunitaria non si manifesta invece nel caso di feto con gruppo sanguigno Rh negativo e quindi compatibile con quello della madre.
Il test di Coombs può essere eseguito secondo due modalità diverse che corrispondono a due esami specifici con scopi differenti: test di Coombs diretto o test di Coombs indiretto.
Come abbiamo visto il test di Coombs indiretto in gravidanza può essere utilizzato per valutare la presenza di anticorpi contro il fattore Rh nel sangue della madre. In questo caso:
Le conseguenze di un test di Coombs positivo non sono sempre prevedibili. Il test da solo non indica l’entità del danno che si è verificato per il feto o che è probabile che si verifichi nel neonato. Se i risultati del test mostrano che le quantità di anticorpi aumentano durante la gravidanza, il feto potrebbe essere maggiormente a rischio di subire ripercussioni sulla sua salute. Un feto Rh negativo non subirà danni, anche se la madre ha un test di Coombs positivo, tuttavia sarà importante fare approfondimenti sulle ragioni della positività.
È importante ricordare che, dopo l’esecuzione dell’immunoprofilassi anti-D prevista per le donne Rh negative, il test di Coombs risulterà positivo per alcune settimane dopo la somministrazione, ma questo risultato non è assolutamente patologico.
La lettura e l’interpretazione dei risultati del test di Coombs in gravidanza devono sempre essere affidati al proprio medico. È fondamentale eseguire ulteriori esami in un centro specializzato nel caso di dubbi o di positività del test, ma è importante allo stesso tempo non allarmarsi. Non sempre un risultato anomalo porterà conseguenze per la propria gravidanza e per il proprio bambino.
Seguire le raccomandazioni di personale qualificato e aggiornato in merito alle raccomandazioni sulla profilassi e la prevenzione, relative a questo tema, ha permesso di ridurre in modo significativo il rischio di immunizzazione materna e quindi le conseguenze per la salute del nascituro.
Ostetrica e giornalista scientifica, lavora attualmente nella Sala Parto dell’Ospedale Santi Giovanni e Paolo di Venezia, dove si occupa dell’assistenza al travaglio e al parto fisiologici e dell’assistenza neonatale e nel puerperio.