A dirlo è l’Organizzazione Mondiale della Sanità: «Che abbiano o no un’infezione confermata da SARS-CoV-2, tutte le donne hanno diritto a un’esperienza di parto sicura e positiva». E tra i diritti – non gli optional – che vanno garantiti alle partorienti ci sono rispetto e dignità, comunicazione chiara da parte dello staff, sollievo al dolore, libertà, se possibile, di muoversi durante il travaglio e di scegliere la posizione per il parto, ma anche la presenza di un’altra persona a sua scelta. Quest’ultimo aspetto «non è un lusso», come scrivevano su un blog del BMJ tre esperti a settembre 2020, ma, ripeto, un diritto della donna e, in caso vi sia un partner, un diritto della coppia.
Durante la pandemia, in Italia come in altri Paesi questo diritto non è stato rispettato. Anzi. In molti ospedali l’accesso al partner è stato proibito durante diverse fasi del travaglio e del parto, così come in occasione di visite ed esami. È mancata a molti uomini la gioia di vedere per la prima volta le immagini della propria figlia o figlio durante l’ecografia, o la possibilità di partecipare con le donne ai momenti più difficili, quelli che possono cambiare una vita, come le notizie di gravi malformazioni o di una gestazione, magari tanto attesa, eppure andata male. Anche dopo la nascita, l’impossibilità per la donna di ricevere aiuto nell’accudimento del piccolo, e per il partner di stabilire un primo contatto con il bebè, comporta in alcuni reparti la rinuncia al rooming-in, che ormai dovrebbe essere garantito ovunque.
La norma che entrerà in vigore il 10 marzo grazie all’impegno di alcuni parlamentari guidati da Annamaria Parente, Presidente della Commissione igiene e sanità del Senato, costringerà primari e direttori sanitari a consentire almeno 45 minuti di visita al giorno a tutti i degenti, anche quelli ricoverati nei reparti più critici, come quelli di terapia intensiva, ma non riguarda e non andrà a incidere molto sulla situazione che grava sulle coppie in attesa, per le quali si chiede molto di più.
Non significa ignorare i rischi legati alla circolazione di SARS-CoV-2, che è ancora significativa, ma solo riconoscere le priorità, che non sono solo quelle legate alla pandemia. In quest’ottica, l’OMS e tutte le principali società scientifiche del mondo raccomandano di non separare mamma e bambino nemmeno se la prima fosse positiva al tampone, purché adotti norme igieniche di base e tenga la mascherina mentre allatta il piccolo. Il rapporto tra rischi e benefici è a vantaggio della vicinanza, così come lo è in tutte le circostanze in cui è possibile che la coppia affronti insieme il percorso della gravidanza e della nascita. In una situazione in cui si pone una seria questione di sicurezza, questa deve essere considerata un’eccezione e come tale deve essere chiaramente giustificata. Il quadro a macchia di leopardo per cui diversi ospedali in diverse parti d’Italia – a volte addirittura strutture della stessa città – adottano protocolli differenti conferma che dietro alle scelte politiche prese non ci sono evidenze scientifiche, ma ragioni organizzative o posizioni personali dei vari responsabili.
Non è giusto e non è tollerabile. Per questo Uppa si impegna a sollecitare le istituzioni affinché, come già ottenuto con riferimento al diritto alle visite, si agisca al più presto per consentire alle coppie di vivere insieme, nel modo migliore, il viaggio che li trasformerà o riconfermerà genitori.
Laureata in medicina e chirurgia, da trent’anni è giornalista scientifica sui temi della salute. È autrice di libri e collabora con varie testate come Le Scienze e Wired, dopo aver contribuito per oltre vent’anni alle pagine di Salute del Corriere della Sera. Dal 2022 è direttrice di Uppa magazine.