Sviluppo cognitivo del bambino: come avviene e come favorirlo

I primi anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo cognitivo del bambino, che conquista in poco tempo abilità complesse grazie all’interazione dinamica e continua con l’ambiente fisico e sociale. Qual è il ruolo degli adulti in questo processo e cosa possono fare per favorirlo?

Giulia Chiari , psicologa perinatale, IBCLC
mamma gioca con bambino per aumentare sviluppo cognitivo

Alla nascita di una bambina o di un bambino, le preoccupazioni più comuni dei genitori sono rivolte al suo stato di salute e al suo benessere fisico, ovvero a tutto ciò che riguarda l’avvio dell’allattamento, l’andamento della crescita, il sonno, eventuali pianti o fastidi… Rispondere ai bisogni primari del piccolo è fondamentale per la sua sopravvivenza.

Tuttavia, nei primi mesi di vita il neonato acquisisce anche capacità di interazione, movimento, linguaggio. È frequente quindi che l’attenzione degli adulti, precedentemente rivolta solo alla crescita “fisica”, si sposti sullo sviluppo cognitivo del bambino. La preoccupazione che il piccolo riesca a raggiungere nei “tempi giusti” le tappe fondamentali dello sviluppo, e l’ansia del confronto con gli altri, rischia però di distogliere i genitori dal piacere di osservare il bambino nelle sue scoperte, nella sua naturale curiosità e spinta verso la crescita e l’autonomia.

Ma come avviene esattamente lo sviluppo cognitivo dei bambini? Quale può essere il ruolo dei genitori in questa fase della crescita?

Cos’è e come funziona lo sviluppo cognitivo del bambino?

Per capire cosa si intende per sviluppo cognitivo, possiamo fare riferimento agli studi di Jean Piaget, che individua due elementi fondanti:

  1. Un insieme di funzioni dette “invarianti”, le stesse per il bambino e per l’adulto, che consentono di ottenere informazioni dall’ambiente, comprenderle, elaborarle, memorizzarle e utilizzarle in momenti successivi grazie all’elasticità presente nell’utilizzo degli schemi mentali.
  2. Le strutture cognitive, che si creano grazie all’interazione continua fra i processi mentali innati della persona e l’ambiente fisico e sociale, e si modificano durante la crescita per far fronte a nuovi bisogni.

Il bambino non è un soggetto passivo, bensì è in grado di costruire attivamente le proprie conoscenze grazie allo scambio con l’ambiente, sia fisico sia relazionale: i dati che raccoglie attraverso l’esperienza vengono assimilati dai suoi schemi mentali preesistenti, che a loro volta si modificano per adattarsi alle nuove informazioni ricevute. Non si tratta quindi solo di acquisire gradualmente nuove abilità: il bambino è attivo nell’interazione con l’ambiente e nella costruzione e trasformazione delle proprie capacità.

Studiosi successivi a Piaget hanno riconosciuto l’importanza del contesto sociale e culturale nello sviluppo cognitivo del bambino, in particolare l’interazione precoce con gli adulti di riferimento. Negli scambi comunicativi quotidiani, infatti, il bambino impara a dare un’intenzione alle proprie azioni e a comprendere quelle dell’altro.

Altri studi hanno poi sottolineato l’importanza delle relazioni affettive per lo sviluppo cognitivo del bambino. Attraverso di esse, il piccolo sperimenta l’interazione tra sé e l’altro, che sarà alla base delle sue relazioni future. 

I fattori affettivi e cognitivi interagiscono e si influenzano reciprocamente: lo sviluppo è un processo relazionale in cui le cure prossimali e le interazioni tra il bambino e chi si prende cura di lui hanno un ruolo fondamentale. Tutto ciò aiuterà il piccolo a interpretare le informazioni e attribuire un significato alla realtà, capire i comportamenti e le reazioni altrui e mettersi in relazione con il mondo esterno.

Ora che abbiamo chiarito cos’è lo sviluppo cognitivo vediamo più nel dettaglio le principali acquisizioni che lo caratterizzano.

Quali sono le tappe dello sviluppo cognitivo?

Prima di introdurre questo argomento, è importante fare una premessa: parlare di “tappe dello sviluppo cognitivo” come traguardi obbligatori che il bambino deve raggiungere entro determinati periodi di tempo non è un approccio corretto. Lo sviluppo cognitivo infatti dipende dalle caratteristiche individuali di ogni bambino e non può certo essere incasellato all’interno di uno schema. 

Facciamo l’esempio concreto di due bambine della stessa età, Elena e Marta, entrambe con uno sviluppo sano. Elena impara più velocemente a camminare rispetto a Marta, ma quest’ultima è più rapida nell’articolare le sue prime parole.

Ecco perché sarebbe bene evitare il confronto tra i traguardi raggiunti dal proprio figlio e quelli altrui, o peggio ancora tra fratelli e sorelle di una stessa famiglia, abitudine che potrebbe portare ad ansie immotivate e indurre a inutili pressioni sul piccolo. Tali pressioni inoltre potrebbero avere l’effetto controproducente di sostituire alla curiosità e alla gioia della scoperta personale di nuove abilità la ricerca di compiacere l’adulto, con effetti negativi a lungo termine sull’autostima e sull’assunzione di responsabilità.

È importante anche considerare che lo sviluppo non è un processo lineare, ma discontinuo, caratterizzato da balzi evolutivi, apparenti regressioni, conquiste e assestamenti.
In base alla teoria sullo sviluppo cognitivo di Piaget è possibile identificare degli “stadi di sviluppo”. Il passaggio da uno stadio all’altro può essere graduale, e l’età in cui vengono raggiunti può variare, ma la sequenza è universale: i bambini acquisiscono i concetti fondamentali con lo stesso ordine.

Secondo lo psicologo svizzero i quattro stadi che attraversa il bambino dalla nascita all’adolescenza sono:

  1. Stadio sensomotorio (dalla nascita ai 2 anni), fase in cui la conoscenza del mondo avviene attraverso l’azione. Nel bambino lo sviluppo cognitivo e lo sviluppo motorio sono strettamente interconnessi. Fin dalla nascita il neonato possiede le capacità percettive che gli consentono di recepire i primi messaggi sensoriali e riconoscere alcuni oggetti. In pochi mesi passa dall’applicazione inconsapevole di riflessi innati alla ripetizione volontaria di gesti e azioni, riproducendo ciò che ha scoperto per caso sul proprio corpo (1-4 mesi), nell’ambiente circostante (4-8 mesi), applicando schemi noti a situazioni nuove (8-12 mesi) e, infine, variando volutamente le azioni per sperimentare attivamente gli effetti (12-18 mesi). Solo alla fine di questo stadio il bambino non procede più per prove ed errori ma inizia ad anticipare l’effetto delle sue azioni: si costruisce una prima rappresentazione della realtà. Per comprendere possiamo fare un esempio e pensare a cosa succede quando un oggetto viene nascosto: intorno ai 6-7 mesi il bambino cerca con lo sguardo l’oggetto che ha lanciato, ma ciò non accade se l’oggetto, in seguito, risulta completamente nascosto (dietro al divano, sotto un mobile…). La situazione cambia intorno all’anno di età, quando il bambino riesce a seguire gli spostamenti di un oggetto da un nascondiglio all’altro e cerca con lo sguardo dietro a quest’ultimo (ciò si verifica solo se ha avuto modo di osservare la sequenza). Solo intorno ai 18 mesi il bambino cerca anche in seguito a spostamenti non visti o percepiti ed è in grado di rappresentarsi mentalmente gli oggetti.
    Nello stadio sensomotorio il bambino reagisce solo al presente immediato, non fa progetti e non si propone scopi.
  2. Stadio preoperatorio (dai 2 ai 6 anni), in cui il bambino passa dalle azioni manifeste alle azioni interiorizzate. La presenza della capacità rappresentativa è segnalata dalla permanenza dell’oggetto, dall’imitazione, dal gioco simbolico e dal linguaggio, che evocano una realtà non percepita nel presente, ma conosciuta in precedenza. Dagli “schemi di azione” dello stadio precedente si passa agli “schemi mentali”.
    Caratteristico di questo stadio è l’egocentrismo infantile: il bambino guarda le cose dalla sua prospettiva, non rendendosi conto che esistono molteplici punti di vista. Questo aspetto è molto evidente nel linguaggio o nella conversazione, dove il piccolo non tiene conto dell’interlocutore, come se l’altro conoscesse il suo pensiero. La consapevolezza che i punti di vista variano viene raggiunta solo nel corso dello stadio successivo;
  3. Stadio operatorio concreto (dai 6-7 ai 10-11 anni), in cui inizia il pensiero logico e il bambino inserisce le azioni interiorizzate in una struttura organizzata.
    Un’altra conquista cognitiva che caratterizza il periodo operatorio concreto è la capacità di inclusione in classi.
  4. Stadio operatorio formale (dai 10-11 anni in poi). Consente di compiere operazioni logiche su premesse puramente ipotetiche, ovvero: il bambino formula ipotesi e conduce verifiche per individuare quale fra quelle possibili si riscontra nei dati di fatto.

Aspetto fondamentale per lo sviluppo del bambino fin dalla nascita è una relazione continua e stabile con i genitori o con altri adulti di riferimento. La percezione che il piccolo avrà di sé stesso e del mondo circostante, infatti, dipende in gran parte dal modo in cui verrà ascoltato e “visto” dagli adulti che si prendono cura di lui e dalle loro reazioni. In altre parole: il bambino si rispecchia nell’adulto, che media la sua comprensione del mondo.

Dunque lo scopo non è quello di raggiungere a ogni costo le tappe dello sviluppo cognitivo, ma piuttosto favorire una relazione basata sull’accudimento. Nei primi mesi di vita i sistemi di regolazione del bambino (temperatura, respirazione, ritmo cardiaco) dipendono dal contatto con la madre. Prima dell’anno di vita però questa simbiosi lascia il posto a esperienze di separazione e ricongiungimento tra il piccolo e la figura materna: il bambino inizia così il suo processo di individuazione.

In questo delicato passaggio, è importante mantenere un equilibrio tra la scoperta e il bisogno di rassicurazione. Ad esempio, intorno all’ottavo mese, cioè in prossimità di un forte scatto motorio che gli consente di cominciare a muoversi in autonomia nell’ambiente, il bambino manifesta la cosiddetta “ansia da separazione” e la “paura dell’estraneo”: non si tratta di un passo indietro, ma del bisogno di rassicurazione necessario a dar seguito a questa forte spinta in direzione dell’autonomia e della crescita.

Abbiamo visto come avviene lo sviluppo cognitivo nel bambino e quanto sia importante la relazione affettiva con le figure di accudimento. Ma come possono i genitori stimolare lo sviluppo cognitivo dei propri figli?

Come stimolare lo sviluppo cognitivo nel bambino 

Comprendere il funzionamento dello sviluppo cognitivo nei bambini è importante per relazionarsi con il proprio figlio in modo coerente, per arrivare, ad esempio, a privilegiare tutto ciò che tenga conto della natura attiva del pensiero e del bisogno di movimento nei primi anni di vita.

Conoscere le caratteristiche del pensiero infantile è inoltre fondamentale per non attribuire ai bambini intenzioni che non possono avere nella fase di sviluppo in cui si trovano. Un esempio è la preoccupazione di alcuni genitori che i loro figli possano voler “manipolare” o “sfidare” l’adulto per ottenere ciò che desiderano. Gli studi scientifici ci dicono che solo intorno ai 4 anni i bambini sviluppano la capacità di comprendere che gli altri hanno stati mentali diversi dai propri. 

Come possiamo quindi stimolare lo sviluppo cognitivo dei bambini in modo coerente?
Fondamentale in tal senso è il rispetto dei tempi del piccolo. Non è necessario intervenire o cercare di affrettare quella che abbiamo visto essere un’evoluzione spontanea; piuttosto possiamo creare le condizioni materiali e affettive che consentano al bambino l’esplorazione dell’ambiente, la sperimentazione, la scoperta delle proprie capacità corporee.

In sostanza, l’adulto non dovrebbe intervenire sul bambino (bloccandolo nei movimenti o imponendogli dei divieti) ma sull’ambiente circostante, che deve consentire una piena libertà di movimento e, al contempo, garantire sicurezza. Si tratta quindi di accompagnare lo sviluppo psicomotorio piuttosto che guidarlo. Le osservazioni di Maria Montessori e Emmi Pikler ci hanno infatti insegnato l’importanza di non sostituirsi al bambino, ma di osservarlo e sostenerlo nel “fare da solo”, avendo fiducia nella sua capacità di sviluppo e rispetto per la sua autonomia.

Ecco quindi alcuni consigli per favorire lo sviluppo motorio nei primi due anni di vita:

  • Predisporre spazi e arredi adeguati che permettano al bambino di muoversi liberamente (ad esempio scendere e salire da solo dal letto o dalle sedie, poter toccare tutto quello che è alla propria portata senza pericolo, avere a disposizione spazi inizialmente contenuti e poi gradualmente più ampi).
  • Scegliere un abbigliamento che non ostacoli il suo movimento (ad esempio lasciare che possa camminare scalzo per favorire la consapevolezza e la sicurezza del proprio corpo).
  • Favorire giochi adeguati all’età. Il bambino impara giocando, e per questo è importante la scelta di attività che lo aiutino a concentrarsi e a sperimentare attivamente, in cui siano coinvolti giocattoli in numero ridotto e possibilmente fatti di materie naturali, piuttosto che riempire la casa di oggetti che rischiano di confonderlo, renderlo passivo o causare sovrastimolazione.
  • Osservare il bambino da vicino evitando il più possibile di bloccarne l’esplorazione (poiché in questo modo si mostrerebbe sfiducia nelle sue capacità) o al contrario di spingerlo a compiere movimenti che da solo non sarebbe ancora in grado di fare.

Man mano che il bambino cresce e raggiunge stadi successivi di sviluppo, possiamo continuare a sostenerlo prediligendo attività per lo sviluppo cognitivo adeguate alla sua età, tenendo conto di quanto sia effettivamente in grado di acquisire ed evitando di imporre l’apprendimento di nozioni che non può ancora comprendere.
Da non trascurare il ruolo delle emozioni nell’apprendimento e la relazione inscindibile tra sviluppo affettivo e cognitivo.

Bibliografia
  • Jean Piaget, L’epistemologia genetica, Studium, Roma, 2016
  • Emmi Pikler, Per una crescita libera. L’importanza di non interferire nella libertà di movimento dei bambini fin dal primo anno di vita, Cortina, Torino, 2004.
  • Emmi Pikler, Datemi tempo. Lo sviluppo autonomo dei movimenti nei primi anni di vita del bambino, CSIFRA, Bologna, 2015.
  • Ordine degli Psicologi del Lazio, Gruppo di lavoro ‘Psicologia e salute perinatale’, Tra i 6 e i 12 mesi: la fine dell’esogestazione, «ordinepsicologilazio.it», maggio 2019.
  • Daniela Lucangeli, Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere, Erickson, Trento, 2019.
Articolo pubblicato il 10/06/2022 e aggiornato il 14/11/2024
Immagine in apertura AleksandarNakic / iStock

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