Settembre 2021. «Buongiorno preside, mia figlia è ancora in un profondo disagio post-Covid. Dice che non ce la fa a rientrare a scuola. Possiamo avere la didattica a distanza?». «La Dad si attiva di fronte alla presentazione di certificazioni mediche o psicologiche che attestano uno stato oggettivo. Tutti i ragazzi avranno difficoltà a ritornare in presenza, a ritrovare la misura delle relazioni, a riprendere il filo della vita scolastica ordinaria. Ma chi non ha patologie conclamate deve provarci. Deve fare uno sforzo. Altrimenti sarà sempre più difficile uscire dalla zona di comfort che si sono creati nelle loro camerette».
La mamma prende atto della posizione della scuola ed esce perplessa dalla presidenza. Qualche mese dopo ritorna per ringraziare. Racconta che la figlia all’inizio ha fatto un po’ fatica, ma adesso è serena, felice di essere rientrata in classe e di aver ritrovato i suoi compagni e i suoi professori. Ecco, a settembre 2022 ci troveremo in una situazione simile a quella dello scorso anno.
Rispetto all’emergenza Covid, il Paese sembra tornato alla normalità. Anche nella scuola non saranno adottate altre misure di emergenza. Non ci saranno più obblighi relativi ai vaccini, all’utilizzo di mascherine, ai distanziamenti e quant’altro. Ma i problemi non sono affatto finiti. Dovremo gestire una sorta di emergenza post-Covid, che per certi aspetti sarà ancora più difficile. Famiglie e scuole dovranno accompagnare ragazze e ragazzi a riprendere la loro vita, facendo i conti con i danni emotivi, sociali e scolastici conseguenti a quello che hanno vissuto.
Noi adulti avremo davanti una generazione nuova, diversa, che ha avuto un percorso di crescita irregolare, che reagirà agli eventi in un modo imprevedibile. Dovremo tutti metterci in gioco, acquisire competenze nuove, osservare, capire. Soprattutto dovremo evitare di utilizzare formule preconfezionate, soluzioni adatte ad altri momenti, ad altri contesti. Dovremo accettare di navigare in mare aperto e di cercare strade insieme ai nostri figli/studenti.
Una delle cose con cui dovremo fare i conti sarà l’incertezza del futuro. Vivremo non sapendo cosa accadrà nei prossimi mesi, se riprecipiteremo nella situazione di questi anni, anche se speriamo tutti che, qualora capitasse, ci sarà una diversa gestione che, ad esempio, possa garantire la scuola in presenza. Perché la precarietà logora. Mentalmente, fisicamente.
Gli psicologi hanno raccontato molte volte il malessere dei ragazzi rispetto a questa condizione. Il futuro, a cui dovrebbero guardare con fiducia e speranza, diventa un elemento che invece li destabilizza. Oltretutto spesso si sottovaluta che bambini e adolescenti devono fare i conti, oltre che con la loro incertezza personale, anche con quella delle proprie famiglie. Genitori che perdono il lavoro, che si trovano in difficoltà economiche o che entrano in crisi di coppia e a volte si separano. Sarà importante stare vicino ai nostri ai ragazzi, capire come vivono questa fase ed eventualmente farsi aiutare, noi e loro, da psicologi o altri professionisti.
In molti di noi poi è rimasta la paura. Soprattutto quella del contatto fisico, connessa al timore di essere di nuovo contagiati. Alcuni terranno ancora la mascherina, nonostante non sia più obbligatoria. E comunque tutti inconsciamente conserveremo una preoccupazione istintiva nell’avvicinarci agli altri. Darsi un bacio o abbracciarsi rischiano di diventare gesti rari, atti di coraggio per qualcuno, di incoscienza per altri. Un fatto umanamente terribile, sul quale bisognerà lavorare per ricostruire il senso del nostro essere persone, la possibilità di rimanere comunità.
Anche le scuole e le famiglie dovranno fare la loro parte, per evitare che un timore legittimo spezzi i legami sociali, diventi diffidenza generalizzata verso l’altro e ci trasformi in monadi non comunicanti, chiusi nelle nostre case a fidarci solo dei nostri familiari (e a volte nemmeno di quelli).
Inoltre, ci sono le esperienze mancate. Bambini e ragazzi hanno fatto meno sport, meno musica, meno attività ricreative e sociali. E poi hanno fatto meno amicizie, si sono conosciuti di meno, innamorati di meno. E hanno avuto meno conflitti relazionali da gestire. Questo impatterà sulla loro crescita.
Ci saranno dei ritardi. Avremo comunque ragazzi con percorsi diversi da quelli delle generazioni precedenti. Per questo è importante che le scuole e le famiglie restituiscano loro la possibilità di fare esperienze, cercando ambiti in cui possano incontrare il piacere e il desiderio. E servirà anche molta pazienza, bisognerà attendere i loro tempi.
Non possiamo pretendere che un ragazzo di 16 anni di oggi, dopo due anni di pandemia, abbia le stesse competenze e segua lo stesso “cronoprogramma di vita” dei suoi coetanei del passato. Per questo dovremo accoglierli, con i loro limiti e le loro difficoltà, evitando di aggiungere stress a quelli che già avranno per conto loro nell’affrontare situazioni nelle quali alcuni non avranno comprensione e chiederanno loro prestazioni che non possono dare. Oltretutto sarebbe importante, per relazionarsi correttamente con i nostri figli e i nostri studenti, che anche noi adulti cercassimo in modo onesto di fare i conti con i danni emotivi e sociali che ci ha prodotto la pandemia. Senza nascondere le nostre debolezze e le nostre crisi.
Serviranno famiglie e scuole diverse. Che osservino e ascoltino di più. Che cerchino soluzioni nuove. Che spingano i ragazzi verso l’autonomia senza lasciarli soli. Una partita complessa, sulla quale si gioca il destino delle nuove generazioni e anche il futuro della nostra società. Una partita che possiamo vincere solo insieme. Se ci aiutiamo gli uni con gli altri, se valorizziamo le nostre intelligenze cognitive ed emotive, possiamo trovare nuovi equilibri relazionali. Non sarà facile, ma le sfide che nascono dai momenti di crisi sono anche le più affascinanti.