Mario Lodi, nella sua vita da maestro, non ha mai assegnato compiti a casa. La sua scuola si faceva in classe tutti insieme perché l’insegnamento non poteva prescindere dall’esperienza reale.
Con la chiusura e la riapertura delle scuole, il dibattito sui compiti a casa torna ciclicamente, senza però che si arrivi a una soluzione che trovi tutti d’accordo. Nell’analisi del problema si dovrebbe tenere sempre a mente la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989), perché la scuola rappresenta proprio il suo campo di applicazione per eccellenza. L’articolo della Convenzione che si relaziona con forza alla questione del tempo libero è l’art. 31 che riconosce al bambino il diritto al riposo, al tempo libero e di dedicarsi al gioco.
Ma questo diritto, quanto viene promosso e garantito in realtà dalla scuola?
La scuola è un’istituzione sociale che fa capo a un Ministero (l’attuale MIM, ex MIUR) e per regolamentarla vengono disposti dei decreti e delle circolari su tutto il territorio nazionale, pur ricordando che vige l’autonomia scolastica regionale. Per questo ogni istituto scolastico gestisce la propria indipendenza sull’insegnamento e su altro, come nel caso dei compiti.
Tre sono le principali circolari ministeriali (C.M.) sulla questione:
Non solo, si raccomanda anche di non assegnare i compiti per il giorno dopo considerando che il tempo pieno nella primaria si svolge su un totale di 40 ore settimanali.
Lo scopo delle CM è chiaramente quello di segnare dei confini tra il tempo che si trascorre a scuola e quello extrascolastico, che va rispettato così da garantire allo studente il diritto al riposo e allo svago.
Il punto chiave del dibattito sulla “giusta” quantità di compiti e sulle ore da dedicare allo studio si collega anche all’interrogativo sulla reale efficacia dei compiti intesi come strumenti per completare e approfondire l’apprendimento scolastico e per potenziare le personali competenze dell’alunno.
In una ricerca condotta da Ozicare Insurance (“Homework around the world”, 2016), su 12 Paesi esaminati emerge che in Italia la media delle ore settimanali che uno studente dedica ai compiti è di 8,7 ore e per questo si posiziona al penultimo posto della classifica, seguita solo dalla Russia (9,7 ore settimanali), mentre la Finlandia (2,8 ore) occupa il primo posto.
In un altro studio del 2019, condotto da Timss (Trends in International Mathematics and Science Study) su alunni di quarta elementare e terza media, risulta che in Italia i compiti assegnati sono 3,3 volte superiori a quelli assegnati in Francia e il 50% in più della Spagna e della Finlandia.
Il sistema scolastico finlandese è uno dei migliori al mondo, infatti secondo la valutazione delle competenze degli studenti di 15 anni condotta nel 2018 dal PISA (Programme for International Student Assessment) gli studenti finlandesi sono secondi solo agli estoni sul piano delle competenze, mentre gli italiani si classificano al 34esimo posto. Inoltre, secondo il rapporto Ocse (2022), gli studenti finlandesi risultano quelli con il punteggio più alto nella lettura e hanno dichiarato di avere meno paura di sbagliare una prova perché non stressati.
Un altro aspetto rilevante, sottolineato dall’American Psychological Association (APA), è che il problema compiti evidenzia le disuguaglianze sociali perché colpisce maggiormente gli studenti di famiglie meno abbienti che non hanno la possibilità di offrire ai figli un supporto (ad esempio un computer o un tutor).
La questione compiti è vissuta direttamente e quotidianamente dagli alunni di ogni ordine e grado scolastico, ma sono poche le ricerche che forniscono dati su questo tema ottenuti ascoltando direttamente la voce degli studenti.
L’ascolto dei bambini è una delle finalità principali del progetto internazionale “La città dei bambini” dell’ISTC-CNR (Roma). Per questo, il gruppo di ricerca del progetto, ha ideato, in collaborazione con un gruppo di pediatri dell’Associazione Culturale Pediatri del Lazio, un brevissimo questionario per ottenere una fotografia sui compiti assegnati nel tempo pomeridiano e per il fine settimana. Il questionario, anonimo, è stato distribuito, senza l’interferenza dei genitori, negli studi pediatrici a bambini/e delle scuole primarie di Roma e provincia che frequentano il tempo pieno, per un totale di 143 scuole nel periodo marzo-maggio 2023.
Il questionario includeva le seguenti domande e possibili risposte.
I 449 soggetti (età media 8,24 anni), di cui il 57,8% bambine, hanno fornito le seguenti risposte: il 40,4% dichiara che non vengono “mai” assegnati i compiti per il giorno dopo, mentre il 59,6% indica le altre due risposte (29,6% “a volte” e 29,6% “quasi sempre”).
Inoltre, il 22,6% dichiara di averne “pochi o nessuno” nel fine settimana, il 58,7% “abbastanza” e il 18,7% “troppi”. Altro dato interessante è che quattro bambini su 10 di prima elementare dichiarano di avere compiti a casa, e questi aumentano con la classe scolastica, col risultato che i bambini di quinta risultano quelli con più compiti assegnati.
I compiti a casa occupano tempo che i bambini dovrebbero dedicare ad altre attività di apprendimento personale come la gestione del proprio tempo libero, la socializzazione tra pari soprattutto nel quartiere di appartenenza, lo stare in famiglia e il giocare liberamente. Questi ultimi sono compiti importanti che fanno bene alla salute dei bambini.
nato a Roma, dove si specializza in Pediatria e frequenta il dottorato di ricerca. È membro dell’Associazione Culturale Pediatri e del gruppo Pediatri per Un Mondo Possibile. È coautore dei libri “Il bambino disattento e iperattivo” (Franco Angeli) e “Mangiare per crescere. Consigli per genitori in gamba” (Il Pensiero Scientifico).