Mi scrivono due genitori, rattristati e preoccupati perché la loro bambina di otto anni e mezzo è sovrappeso, e le compagne e soprattutto i compagni di scuola la prendono in giro, chiamandola “Balena” e “Tricheca”. Hanno già consultato un servizio di dietologia, che ha fatto tutti gli esami del caso, riscontrando un alto tasso di trigliceridi e di colesterolo, e ha impostato una dieta adeguata, che però la bambina non riesce a seguire, per continue, consistenti trasgressioni impulsive, di giorno e di notte.
Apre il frigo e fa man bassa di quello che trova. Sembra avere sempre fame. Mangia di tutto: merendine, cioccolata, formaggi, salumi e soprattutto tantissimo pane.
La bambina si vergogna moltissimo e tende a evitare i contatti con i coetanei, isolandosi. Spesso è triste. Passa ore da sola in camera a far finta di leggere o a scambiare messaggini con una sua amica che s’è trasferita in un’altra città.
I genitori hanno paura di insistere troppo per la dieta: temono che la bambina sviluppi una fissazione e diventi anoressica. Però vorrebbero anche aiutarla a eliminare la sua grassezza, che è la fonte delle sue difficoltà e della sua sofferenza. Hanno l’impressione di averle provate tutte, dalla persuasione alle minacce; dal farle paura mostrandole l’esito degli esami di laboratorio, agli incoraggiamenti pressanti. Mi chiedono che cosa possono fare.
Sia i genitori che la bambina si sentono frustrati, perché non riescono a modificare le cose secondo il loro desiderio, che è condiviso. Tutti e tre hanno a che fare con un ostacolo che si presenta come insormontabile: le irresistibili micro-abbuffate della bambina, che vanificano la costanza di tutti gli sforzi per mantenere una dieta adeguata. Sembrano irrefrenabili guizzi del diavolo, che all’improvviso prende il sopravvento. Vediamo di cosa si tratta.
Se guardiamo l’esperienza soggettiva, nessun animale libero, compreso l’Homo sapiens, mangia per motivi dietetici, ma solo per il piacere di mangiare.
Si tratta di un piacere di base, che si realizza fin dall’inizio della vita, come piacere corporeo, piacere mentale e piacere relazionale. È un piacere composito, fatto di tanti piaceri, fra cui i principali, per quello che qui interessa, sono tre:
Quello che la bambina vive, allora, è un conflitto fra un piacere mentale, relazionale e dilazionato (essere e sentirsi gradevole e apprezzata dagli altri), da un lato; e dall’altro lato un piacere sensuale, corporeo e immediato (percepirsi concretamente dall’interno: quasi con una specie di abbraccio, una specie di carezza, dall’interno del proprio corpo). Due piaceri dall’impatto sproporzionato. È difficile far prevalere il primo. È impossibile abolire il secondo.
Per il benessere di ognuno di noi, è importante il mantenimento di un adeguato equilibrio dei piaceri, per il quale vale la seguente regola generale: non è possibile abolire un piacere senza sostituirlo con altri piaceri pressappoco equivalenti. Non ci si riesce. Se vogliamo riuscire a diminuire il ricorso a un piacere, dobbiamo fare un programma di aumento di altri piaceri, per mantenere appropriato l’equilibrio dei piaceri. Una dieta restrittiva tende a imbrigliare un piacere di base, ed è vissuta come una serie di provvedimenti che obbligano alla rinuncia di quel piacere.
La cosa può riuscire solo nella misura in cui quel piacere (per quantità, intensità, estensione, forza) viene sostituito da altri piaceri anch’essi di base, quasi biologici, quali correre, saltare, giocare, rotolarsi nella neve o nei prati, esplorare, incontrarsi… Fare, insomma, quello che fanno i cuccioli dei mammiferi.
Sovente i bambini obesi (come gli adulti obesi, del resto) sono soliti vivere una “povertà di piaceri”, magari ridotti a guardare la televisione e mangiare, così che l’uso dei piaceri di base per loro ha una funzione, per così dire, anti-depressiva, anti-frustrazione, anti-noia, più che realizzativa di sé.
Una specie di consolazione rapida, a scorciatoia, per una vita sentita come poco piacevole e poco realizzativa di sé. Consolazione che sul momento può dare un certo sollievo, ma che sostanzialmente delude, dato che non comporta né realizzazioni di sé né espansioni della propria storia. L’esigenza di consolarsi anche da questa delusione può indurre a ricorrere nuovamente al mangiare, cosa che comporterà nuova delusione e nuovo bisogno di consolazione, col rischio di attivare un circolo chiuso.
Per aprire uno sbocco, l’unica via è quella di aumentare e differenziare i piaceri: come numero, come frequenza, come tipologia. Piaceri non anti-qualche cosa (anti-frustrazione, anti-noia, anti-solitudine, anti-depressione), ma realizzativi di sé. Cercare, semplicemente, di togliere i piaceri “anti” equivale a strappare il salvagente dalle mani di un naufrago dell’esistenza, per cui si otterrà l’effetto opposto: vi si aggrapperà ancor più. Si tratta, invece, di favorire che altri piaceri realmente praticabili vengano trovati, realizzati, sviluppati.
Fare movimento, dunque, non finalizzato soltanto all’aumento del consumo calorico, ma finalizzato principalmente alla realizzazione di piacere. Agli impegni in palestra, quindi, di solito sono da preferire tutti i giochi sociali di movimento. È importante che la bambina riesca a trovare molti modi, tra loro differenziati, di vivere il piacere.
Bisognerà fare attenzione a non prescriverli come fossero medicine o penitenze. Bisogna fare attenzione a farla incontrare con molteplici differenti proposte, con qualche piccola spintarella che le consenta di sperimentare nuovi piaceri. Non è necessario che i piaceri da aumentare siano tutti tali da comportare dispendio di calorie. Per esempio, potrebbe essere sensato anche accompagnarla a ritrovare l’amica che si è trasferita. L’importante è che siano piaceri che arricchiscano la vita.