Cos’è il rinforzo positivo e come usarlo nell’educazione del bambino

Questa tecnica educativa usa il sistema dei premi per incentivare comportamenti desiderati nei bambini. Ma è realmente vantaggiosa? Se da un lato motiva i piccoli, dall’altro, un uso eccessivo rischia di renderli dipendenti dalle ricompense

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Francesca Perica , educatrice montessoriana
Bambina mangia il gelato

«Se mangi tutte le verdure ti compro il gelato», «Se ti lavi i denti ottieni una bella stellina d’oro»…

Molti adulti, quasi per riflesso automatico, tendono a ricorrere a lodi, sistemi a premi o sticker per far sì che i bambini “si comportino bene”, per motivarli a fare meglio o a ripetere una condotta ritenuta giusta o necessaria. Si tratta quindi di strategie di modificazione dei comportamenti basate sul ricorso ai cosiddetti “rinforzi positivi”.

Ma in cosa consiste esattamente il rinforzo positivo e in cosa si distingue dal rinforzo negativo? Quanti tipi di rinforzi esistono e, soprattutto, è giusto utilizzarli con i nostri bambini?

In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande e di comprendere l’effetto che l’utilizzo continuo di rinforzi può avere sull’educazione dei piccoli.

Cos’è il rinforzo positivo?

A teorizzare il concetto di rinforzo è stato lo psicologo statunitense comportamentista Burrhus Skinner, che lo definì come uno stimolo utile ad aumentare la possibilità che un certo comportamento venga messo in atto e ripetuto. Skinner operò anche una distinzione fondamentale tra due tipologie di rinforzi: positivi e negativi.  

Cos’è il rinforzo positivo? Si tratta di offrire al bambino uno stimolo o una conseguenza piacevole in risposta a una sua condotta, con lo scopo di aumentarla in termini di frequenza. 

Possiamo comprendere meglio il concetto di rinforzo positivo analizzando la cosiddetta “tecnica dell’economia dei Token” (anche nota come “sistema di rinforzo a gettoni”). Questa tecnica prevede che i bambini vengano ricompensati con un adesivo o una stellina da apporre su un tabellone ogni qualvolta mettono in atto la condotta desiderata dall’adulto. Al raggiungimento di un determinato punteggio, i bambini ricevono una ricompensa di qualche tipo, come un riconoscimento o un premio.

Lo scopo di questa tecnica educativa è quindi di motivare i bambini a conquistare gli adesivi attraverso la messa in atto dei comportamenti considerati corretti, scongiurando al tempo stesso le condotte viste invece come problematiche.

Il rinforzo negativo, invece, ha sempre l’obiettivo di incrementare il comportamento desiderato, ma attraverso l’eliminazione di comportamenti ritenuti spiacevoli. 

Quando parliamo di rinforzo positivo e differenze con il rinforzo negativo, dunque, va detto che queste ultime riguardano essenzialmente la modalità con cui viene creata l’associazione tra comportamento e relative conseguenze:

  • Rinforzo positivo: si ha l’aggiunta di qualcosa di positivo per il bambino (ad esempio, un riconoscimento o un premio).
  • Rinforzo negativo: si ha la sottrazione di qualcosa di negativo (ad esempio, togliere una limitazione se il bambino fa i compiti).

Per poter sortire un effetto, però, tanto il rinforzo positivo quanto quello negativo devono possedere una serie di caratteristiche. I rinforzi devono infatti essere:

  • Personali e significativi, in modo che siano abbastanza forti da indurre il piccolo a modificare la propria condotta.
  • Immediati, che arrivano cioè subito dopo il comportamento del bambino affinché la creazione dell’associazione sia possibile.
  • Non accessibili per il bambino, ovvero devono essere o rappresentare qualcosa che il piccolo non è in grado di procurarsi autonomamente; solo in questo caso, infatti, il rinforzo rappresenterà un incentivo sufficiente per attuare una determinata condotta.

Quali sono i rinforzi positivi e come si inseriscono nell’educazione?

È importante operare una distinzione tra le diverse tipologie di rinforzi positivi.

La prima categoria riguarda i cosiddetti rinforzi primari, che soddisfano i bisogni fondamentali dei bambini. Un esempio di rinforzo positivo primario è il cibo, altri sono il calore e il contatto fisico.

Esistono poi i rinforzi positivi di tipo socio-affettivo, come ad esempio lodi, elogi e complimenti, che fanno leva sui bisogni profondi di approvazione e attenzione da parte degli adulti.

Infine, i rinforzi tangibili, ovvero oggetti concreti (un giocattolo, del denaro, un premio, eccetera).

Secondo i sostenitori dell’approccio, tutte queste tipologie di rinforzo possono essere utilizzate sistematicamente per creare associazioni tra condotte e risposte e indurre così nei bambini i cambiamenti comportamentali desiderati.

Sebbene in tema di educazione il rinforzo positivo venga presentato da molti come un’alternativa migliore rispetto al metodo delle punizioni, il ricorso a questa strategia presenta non poche criticità e rischi. Vediamoli insieme.

Quali sono i reali benefici del rinforzo positivo?

Il ricorso a meccanismi di rinforzo positivo nell’educazione dei bambini comporta davvero dei benefici? Nel breve termine, apparentemente sì. 

Tra i pro indicati dai sostenitori del rinforzo positivo vi è il fatto che si tratterebbe di una tecnica semplice e rapida da attuare, utile soprattutto nei momenti critici (come nel corso di un “capriccio”), per risolvere comportamenti problematici.

Grazie all’offerta degli incentivi o dei premi desiderati (una caramella, un gelato, un giocattolo), la condotta dei piccoli sembra in effetti migliorare velocemente e i comportamenti auspicati farsi più frequenti. Ma il ricorso ai rinforzi positivi in maniera sistematica è davvero utile? E quali sono gli effetti di questa pratica nel tempo? 

Una prima problematica si riscontra nella necessità di cambiare o incrementare costantemente l’entità del rinforzo. 

Esattamente come nel caso delle punizioni, infatti, entra in gioco un meccanismo di assuefazione: il bambino “si abitua” a un dato livello di rinforzo, questo significa che l’adulto dovrà quindi mantenere vivo il suo interesse alzando di volta in volta l’asticella del premio.

Un secondo problema sta nel fatto che l’associazione tra comportamento e ricompensa diviene talmente forte che nel momento in cui il premio o il riconoscimento vengono a mancare anche la condotta desiderata si estingue. Immaginiamo, ad esempio, un bambino che ogni sera si lava i denti, ma lo fa solo perché sa che alla fine riceverà un adesivo come riconoscimento. Finché il sistema di ricompense è attivo, il piccolo è motivato e compie l’azione con entusiasmo. Tuttavia, se un giorno l’adesivo smette di essere offerto, il bambino potrebbe rifiutarsi di lavarsi i denti, mostrando disinteresse o addirittura esprimendo frustrazione. Questo perché non ha interiorizzato l’importanza del gesto, ma si è limitato a compierlo per ottenere un vantaggio esterno.

Il ricorso continuo ai rinforzi positivi alimenta infatti la cosiddetta “motivazione estrinseca”: il bambino non mette in atto il comportamento auspicato dall’adulto perché conscio della sua adeguatezza o necessità, ma solo ed esclusivamente perché motivato dalla possibilità di ottenere il riconoscimento esterno. Non appena la ricompensa sparisce, dunque, scompare anche l’effetto benefico che aveva, fino a quel momento, generato. 

Ben diverso quando, invece, il bambino compie un’attività o attua un comportamento perché lo trova di per sé motivante, perché gli dà soddisfazione o perché ne comprende la correttezza o necessità. 

Tornando al caso del lavaggio dei denti, se il genitore aiuta il bambino a capire l’importanza dell’igiene orale, ad esempio coinvolgendolo giocosamente nel processo e trasmettendogli quanto buona sia questa abitudine per la sua salute, è più probabile che il bambino sviluppi una motivazione interna, sperimentando la soddisfazione derivante dal prendersi cura di sé, senza bisogno che vi sia un premio esterno. In questo caso possiamo parlare di “motivazione intrinseca”, ovvero proveniente dall’interno, decisamente più importante in un’ottica di crescita personale sul lungo periodo.

Prendiamo ad esempio il sistema dei voti applicato nelle scuole, che purtroppo induce tanti studenti a “studiare per il voto”: a contare è più il riconoscimento estrinseco (il voto appunto) che la soddisfazione o l’appagamento derivanti dagli apprendimenti acquisiti.

Per concludere, dovremmo interrogarci sugli effetti che i sistemi di rinforzo hanno sull’autostima, sul piacere di fare e sul senso di autoefficacia dei piccoli. Che ansia deve provare un bambino che, nonostante gli sforzi, non riesce a conquistare la tanto desiderata stellina sul tabellone? E quale frustrazione o imbarazzo deve sperimentare la bambina che perde punti, magari di fronte ai compagni?

Ricorrere troppo di frequente a sistemi di ricompensa basati sul rinforzo positivo rischia di crescere bambini incapaci di ricavare soddisfazione o piacere dalle azioni compiute o dai risultati ottenuti a meno di non ricevere una qualche forma di ricompensa o approvazione esterna. La lode, l’adesivo, la stellina d’oro, rischiano così di trasformarsi in armi a doppio taglio, indebolendo pericolosamente il piacere e la motivazione intrinseca dei bambini, minando la fiducia in loro stessi e rendendoli dipendenti dall’approvazione degli adulti.

Ma, allora, quando e come distribuire i rinforzi positivi?

Come abbiamo visto, per quanto apparentemente facile ed efficace, il ricorso continuo e sistematico ai rinforzi positivi non può essere considerato il percorso migliore per guidare consapevolmente i bambini e generare in loro cambiamenti profondi.

A un sistema basato sul rinforzo dovremmo cercare di preferire, ogni qualvolta possibile, un approccio educativo fondato sull’empatia, sul dialogo e sulla presenza.

Un esempio è dato da quelli che lo psicologo Thomas Gordon chiama “messaggi positivi in prima persona”, alternative alla classica lode. Mentre quest’ultima consiste solitamente in un’affermazione e valutazione sull’altro («Sei stata una brava bambina!»), il messaggio in prima persona comunica qualcosa di ciò che il comportamento dell’altra persona ha provocato in noi («Mi ha fatto piacere che tu abbia aiutato a sparecchiare la tavola questa mattina»).

Nei messaggi positivi in prima persona non dovrebbe esserci ambiguità, né un tentativo nascosto di manipolare il bambino, piuttosto l’intento di comunicare in maniera sincera e autentica con lui.

Questo non significa demonizzare in assoluto il ricorso a forme di rinforzo. Non c’è nulla di male nell’elogiare ogni tanto con un semplice «Bravo!» il nostro bambino o nel regalargli qualcosa da lui tanto desiderato nel momento in cui raggiunge un traguardo (ad esempio, in occasione della tanto attesa pagella di fine anno!). Ciò che davvero conta è prestare attenzione alla frequenza con cui ricorriamo a meccanismi di rinforzo (evitando quindi di abusarne) e al messaggio possiamo passare ai nostri bambini. Il nostro obiettivo deve essere infatti quello di aiutarli ad apprezzare ciò che rende intrinsecamente soddisfacente l’adozione di certe condotte o lo svolgimento di determinate attività.

Non sempre è semplice, né tanto meno rapido. Accompagnare i bambini e le bambine in maniera consapevole, attenta e gentile richiede sforzo e impegno, che saranno però pienamente ripagati sul lungo termine.

Immagine per l'autore: Francesca Perica
Francesca Perica

Dopo la laurea in Scienze dell’educazione si specializza nel Metodo Montessori per la prima infanzia presso l’Opera Nazionale Montessori e successivamente con il Centro Nascita Montessori. Nel 2016 fonda “Aiutami a fare da me”, sito che ha lo scopo di divulgare il pensiero di Maria Montessori, e nel 2019 si trasferisce in Germania continuando il suo lavoro di educatrice presso un asilo nido di ispirazione Reggio Children. Collabora con numerose riviste specializzate e sostiene i genitori con percorsi individuali di parent coaching.

Bibliografia
  • Gordon T., Né con le buone né con le cattive, Bari, La meridiana, 2014.
  • Skinner B., Scienza e comportamento, Milano, Franco Angeli, 1971.
Articolo pubblicato il 13/02/2025 e aggiornato il 13/02/2025
Immagine in apertura StefaNikolic / iStock

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