Arrivano sempre un po’ di corsa le mamme della terapia intensiva neonatale, si riconoscono per le chiavette che portano attaccate al collo con una cordicella di tela e per le buste piene di barattoli di latte. Le chiavi servono per aprire e chiudere l’armadietto dove depositano i loro oggetti personali, le borse, i cellulari, gli anelli, gli orologi. Gli armadietti sono in una stanzetta riservata, esterna al reparto, attrezzata per trascorrere alla meno peggio le lunghe ore di attesa. Ci sono due divani, un televisore, delle riviste, due tiralatte, un frigorifero per conservare il latte, lo sterilizzatore sempre acceso.
Le nuove arrivate entrano nella stanza con un espressione immobile e cauta, come chi ha paura di farsi altro male, sembrano quasi non ascoltare le istruzioni che vengono date loro dalle infermiere, non fanno domande. Le mamme “anziane” arrivano, sorridono alle altre mamme, scambiano battute spiritose, parlano con tranquillità di gavage, respiratori, apnee e saturimetri, poi iniziano un rituale che si ripete uguale tutti i giorni, più volte al giorno: aprono l’armadietto e si spogliano degli oggetti superflui, indossano un camice verde numerato corrispondente al numero con il quale è contrassegnato il letto del loro bambino, si lavano accuratamente le mani e raggiungono i loro figli.
Stanno con loro trenta minuti e poi escono. Potranno rientrare dopo tre ore, nel frattempo si tirano il latte dietro un separè e sterilizzano i contenitori. All’ora di pranzo vanno a mangiare un boccone alla mensa dell’ospedale, poi tornano, aspettano, e ripetono tutto di nuovo, alcune anche sette volte al giorno. Lo spogliarsi, il prepararsi, il tirarsi il latte, sono gesti che presto acquistano la valenza di una routine, che lasciano il tempo interiore per prepararsi a un luogo dove si entra disarmati, completamente scoperti, dove il tempo trascorre lentamente, dove la realtà è fatta di cullette termiche, sensori acustici, bambini intubati e flebo infilate nella testa.
Dopo qualche giorno il reparto diventa familiare, le altre mamme sono sempre pronte a dire una parola di rassicurazione, a farsi coraggio tra di loro, a sorridere, sembrano serene, a volte scherzano, ridono, parlano di cose normali; hanno bisogno di quella normalità che cercano tutte le mamme, hanno bisogno di parlare di passeggini, pannolini e fasciatoi per non pensare al resto. Ne hanno bisogno perché quando entrano nel reparto e si avvicinano alle cullette termiche in cui sono chiusi i loro bambini, la normalità sembra un sogno lontanissimo.
TIN sta per Terapia Intensiva Neonatale, il reparto ospedaliero dove sono ricoverati i bambini con gravi problemi alla nascita. Spesso si tratta di bambini prematuri, nati alla 28°, 30°, 33° settimana di gestazione, bambini che pesano un chilo, 700 g, in qualche caso anche 500. Le mamme della TIN vengono da lontano, percorrono centinaia di chilometri al giorno per raggiungere l’ospedale, molte sono al primo figlio, quasi tutte sono giovani, inesperte, sanno poco di allattamento, quasi niente, sanno soltanto che i bambini devono essere allattati con il latte materno e allora il tiralatte diventa un alleato, un amico, in qualche caso diventa il bambino (abbiamo parlato di allattamento di un bambino prematuro in questo articolo).
Ilenia ha partorito due gemelle alla 31° settimana di gestazione, per andare e tornare dall’ospedale percorre 240 chilometri al giorno, a volte si tira il latte in macchina, sta qui da un paio di mesi. Bianca ha diciotto anni, è romena, abita in una baracca alla Magliana, senza acqua corrente. Qualche giorno fa nell’accampamento c’è stato un incendio. Il latte lo può tirare soltanto quando sta in ospedale ma nel reparto può stare poco, deve andare a lavorare. Lavora presso un semaforo vicino all’ospedale, lava i vetri delle macchine. Carla ha partorito a 28 settimane, la sua bambina pesa 500 g.
Sono diverse queste mamme, eppure qui sembrano tutte uguali, quando stanno in piedi davanti ai lettini e fissano in silenzio i loro piccolissimi bambini si somigliano tutte. Tutte raccontano di gravidanze problematiche, ospedalizzazioni lunghissime e parti traumatici, eppure sorridono, non si lamentano mai, qui si diventa scaramantici e si vive col fiato sospeso, per la stanchezza non c’è spazio.
Le mamme della TIN vivono alla giornata e, soprattutto, pensano a quello che non deve succedere, così quando non succede niente, quando è tutto nella norma, sono felici. I medici sono sempre cauti, quasi mai si espongono a rassicurare, a consolare, spesso mettono in guardia le madri contro il rischio di gravi complicazioni, ogni momento è potenzialmente pericoloso. Così le mamme non abbassano mai la guardia e gioiscono di ogni minuscolo, impercettibile miglioramento dei loro bambini.
Poi arrivano le dimissioni, con solo qualche giorno di preavviso. Le mamme si preoccupano, non si sentono pronte. Anche le madri esperte, quelle che hanno già altri figli, sono esitanti. È in quel momento che diventano veramente madri di quel bambino. Qualcuna chiede di tenerlo in ospedale qualche altro giorno. Hanno paura. A volte passano mesi tra la nascita del bambino e le dimissioni dall’ospedale, mesi nei quali è stato interamente affidato alle cure del personale, dei medici, delle infermiere, mesi nei quali le madri non potevano neanche prenderlo in braccio quando volevano, nei quali ogni contatto sembrava un pericolo; mesi durante i quali hanno obbedito silenziose alle direttive delle infermiere che stabilivano tutto, anche quanti minuti potevano tenere il bambino al seno.
Ed ora, improvvisamente, è tutto finito, possono andare a casa. Il medico le chiama a colloquio, le informa, fornisce le raccomandazioni necessarie, prescrive vitamine, ferro e quant’altro, e impone l’isolamento: il bambino non dovrà stare a contatto con troppe persone, dovrà essere protetto da tutto e da tutti, più che mai dagli altri bambini: persino i fratelli vanno allontanati.
Quando escono dal reparto con quei microscopici fagotti nelle carrozzine hanno l’espressione di chi sta rubando qualcosa. Camminano con lo sguardo fisso dentro alla carrozzina poi lo alzano velocemente sulle altre mamme, quelle che rimangono, le salutano radiose e impacciate, baciano tutti, lasciano la TIN. La normalità non è più un sogno.