Mettono paura le infezioni che colpiscono gli organi dei sensi. Una stomatite che infiamma la bocca, un’irritazione della mucosa nasale, il fastidio sordo (è proprio il caso di dirlo!) di un’otite. Mettono paura perché toccano zone delicate ed essenziali per la sopravvivenza. Sicché, quando succede, l’allarme in famiglia è alto. E si corre a cercare un aiuto, una diagnosi, un farmaco che arrestino il dolore (di chi ce l’ha) e la preoccupazione (di chi è vicino).
“Antibiotico” diventa allora la parola magica, l’invocazione che solo a pronunciarla già ci si sente meglio. E non a caso, perché è con gli antibiotici che la scienza (copiando la natura) ha sconfitto quelle malattie infettive che hanno afflitto l’umanità fin dalle sue origini. Antibiotico per cacciare i microbi intrusi, antibiotico per guarire. Ma è sempre così?
Negli oltre settant’anni trascorsi dalla scoperta del primo di questi farmaci, la penicillina di Alexander Fleming, i medici ne hanno scoperte tante di meraviglie (e non meraviglie) sugli antibiotici e sanno bene, oggi, che usarli è una scelta da non prendere alla leggera, specialmente quando esistono “voci” che confondono le idee, come è accaduto recentemente per il trattamento dell’otite media acuta.
La malattia è sostanzialmente benigna. Ma, trattandosi di una condizione di origine batterica, è difficile pensare di rinunciare all’antibiotico. È difficile, ma non impossibile, tanto più che l’indirizzo attuale di molti pediatri è quello di aspettare 24-48 ore, visto che spesso l’otite regredisce da sola. Si è osservato, infatti, che il trattamento antibiotico non dà molti benefici in più rispetto al non trattamento o al trattamento con solo antidolorifico: non accelera in modo significativo la guarigione, non riduce i sintomi e non previene le ricadute. E, per di più, aumenta la frequenza di vomito e diarrea. Abbastanza per scegliere di rinunciarvi, almeno in prima battuta.
Certo, è necessario fare delle distinzioni: in caso di otite media acuta ricorrente (cioè se il bambino ha avuto più di tre episodi in sei mesi o più di quattro in un anno) o di otorrea (cioè di fuoriuscita di pus dall’orecchio), ma anche di altre malattie infettive gravi concomitanti (come una bronchite) o di condizioni cliniche di particolare vulnerabilità, l’antibiotico si preferisce darlo, senza troppe esitazioni. Ma al momento della malattia, non prima. In altri termini: i dati dicono che per migliorare il quadro clinico in un solo bambino bisogna trattarne 19, ma poiché non esiste un modo sicuro per riconoscere quel bambino, è chiaro che si preferisce dare l’antibiotico a tutti.
Ma quella che proprio molti pediatri non ritengono sensata è l’ipotesi di una terapia antibiotica preventiva, cioè di una terapia prolungata, somministrata a basse dosi a bambini sani, che copra tutto l’inverno. Da una parte questa terapia non sembra prevenire granché, e dall’altra è invece capace di assicurare al bambino un bello scombussolamento della flora batterica “buona”, aumentando così la sua vulnerabilità ad altre condizioni non meno gravi di quella che vorremmo prevenire.
Le terapie preventive sono cose molto delicate, da usarsi con cautela, dopo un’attenta valutazione di vantaggi e svantaggi in ogni singolo caso. E gli antibiotici non sono caramelle, anche se troppo spesso si tende a dimenticare che l’uso sfrenato di terapie antibatteriche (a volte anche per malattie che batteriche non sono, come talvolta avviene per l’influenza) ha dei pesanti effetti collaterali sia sul singolo che sulla comunità. Per questo, pensare di proporre una terapia antibiotica a lungo termine senza operare troppi distinguo, per di più attraverso le pagine di un giornale non specialistico, fa rabbrividire molti pediatri, che temono la diffusione di un allarme ingiustificato tra i tanti genitori dei tanti bambini sofferenti di otite. Degli effetti dannosi dovuti all’abuso di antibiotici abbiamo parlato qui.
Tornando all’otite media acuta, se lo scopo della terapia antibiotica non può essere quello di accorciare la malattia e di prevenire le ricadute, viene da chiedersi perché a volte la si pratica. La risposta è che si devono evitare delle complicanze rarissime, ma decisamente pericolose, come l’estensione dell’infiammazione agli organi vicini e in particolare la mastoidite. E situazioni meno pericolose ma fastidiose e invalidanti, come la perforazione del timpano e la sordità transitoria. Condizioni che però il pediatra può evitare proprio grazie a quella finestra di 24-48 ore di osservazione.
Quanto alla prevenzione, per l’otite media acuta la realtà è molto più triste di come vorremmo raccontarla. Sciarpe, berretti, cappelli e paraorecchie possono poco. Farmaci, nemmeno a parlarle. Ci sarebbe solo una cosa di una certa comprovata efficacia. È semplice da attuare e del tutto priva di effetti collaterali, come piace ai pediatri: si tratta di una bella soffiata di naso.
pediatra e giornalista, ha esercitato per quarant’anni come pediatra di famiglia nel Servizio Sanitario Nazionale e ha fondato nel 2001 il bimestrale per i genitori «Un Pediatra Per Amico», che ha diretto per 16 anni. Attualmente è un pediatra libero professionista.