Generalmente, nella nostra cultura, le madri sono molto più circondate di attenzioni e più sostenute che non i padri nel percorso verso la loro specifica genitorialità. Fin dall’inizio, fin da quando la coppia si accorge di aspettare un bambino, tutti (genitori, famigliari, amiche, amici, parenti, colleghi, negozianti, conoscenti…) si interessano solo a quello che accade alla donna, mentre di solito nessuno si accorge dei cambiamenti e delle esperienze che riguardano l’uomo.
È comprensibile che questo avvenga: è nella donna, a partire dal suo corpo e dalla sua fisiologia, che avvengono i cambiamenti più rilevanti. È lei, fra i due, quella che sarà più impegnata, per motivi biologici oltre che relazionali. Ma ciò non dovrebbe comportare un totale disinteresse per quello che accade all’uomo.
Così, fin dall’inizio, e di solito per parecchi anni, i padri si trovano del tutto soli ad affrontare le trasformazioni che la loro nuova situazione comporta. Non possono contare né sul riconoscimento, né sulla risonanza, né sull’appoggio di nessuno. Intorno al loro diventare e poi essere padri sembra crearsi una sorta di deserto relazionale. Perfino quando raccontano con entusiasmo e partecipazione la loro esperienza di paternità, lo fanno descrivendo, magari inavvertitamente, anche la loro solitudine estrema, come nel bell’articolo di Pietro Briganò.
Come le madri, anch’essi hanno paure, fantasie sul bambino, sogni sul divenire padri, timori di inadeguatezza, bisogni di condivisione e rassicurazione. Anche per loro la nuova condizione di genitore esige radicali cambiamenti nel senso di sé, nello stile di vita, nei ruoli sociali e nelle prospettive personali e di coppia. Ma nessuno, intorno, sembra accorgersene o dargli importanza. Troppo spesso, neppure la compagna.
Questo disinteresse di tutti per la sua paternità in divenire, unita al crollo dell’interesse, soprattutto affettivo e sessuale, della sua compagna verso di lui, lo fa sentire emarginato, cosa che costituisce una condizione di grande svantaggio, che però può trasformarsi in un punto di forza.
Trovandosi defilato, il papà ha il vantaggio di poter mantenere una “visione panoramica” di quel che accade. Può vedere, sì, il bambino, ma anche la realtà. Può vedere la mamma e il rapporto fra mamma e bambino, senza però perdere di vista la realtà esterna a loro. Può, così, essere di sostegno non solo “dall’interno” (dal punto di vista del bambino, della mamma, o del loro rapporto), ma anche “dall’esterno” (dal punto di vista della realtà) e “verso l’esterno” (verso la realtà).
Può, cioè, far presenti anche esigenze altre, rispetto a quelle dei due. Per esempio, può favorire il ritorno della mamma agli aspetti della sua vita e della sua persona che con la maternità rischia di trascurare; può far attenzione che il bambino acquisisca fin dall’inizio il senso delle “regole” relazionali, secondo le sue capacità in crescita. Se riesce a mantenere il senso di sé all’interno della coppia, può diventare “contenitore”, cassa di risonanza e di “bonifica” delle emozioni della compagna e del bambino.
Può, cioè, dare suoi specifici contributi nella condivisione della genitorialità, attivando, sia verso la compagna sia verso il bambino, le funzioni paterne amorevoli di sostegno, che sono soprattutto quelle di incoraggiamento: verso la realtà; verso il recupero dalle frustrazioni; verso l’integrazione del proprio punto di vista con i punti di vista degli altri; verso la tenuta e la perseveranza nello svolgimento dei compiti che la vita esige.
Ulteriore problema è che per i padri, nella nostra cultura, mancano modelli di riferimento. Sarà molto facile che si smarriscano e non sappiano che fare in quella nuova situazione da cui si sentono emarginati. Potranno pensare di non contare più nulla: perduta l’innamorata, tutta dedita al bimbo, perduto ogni ruolo nella coppia e nella famiglia, potranno, seriamente, deprimersi.
Giustamente, tutti sanno che le mamme, dopo la nascita del figlio, poco o tanto passano quasi sempre anche per dei momenti più o meno pesanti di depressione, e in molti si attrezzano ad affrontare questa evenienza, senza drammatizzarla troppo, ma senza neppure trascurarla. Quasi nessuno, invece, considera che anche i padri possono trovarsi a vivere momenti di depressione correlati alla nascita del figlio, per cui, una volta di più, i papà son costretti a vedersela da soli, senza poter contare su aiuti esterni. E qui le strade sono fondamentalmente tre: