Quasi sempre l’ingorgo mammario è la conseguenza di un non adeguato deflusso di latte materno: si arriva all’ingorgo quando la quantità di latte prodotta è superiore alla quantità di latte che il bambino succhia (ne parliamo anche nell’articolo Guida all’allattamento al seno). Il motivo più frequente per cui questo accade è la limitazione imposta al bambino da regole rigide che prevedono poppate a orario e durata imposta rigidamente. In questi casi il bambino non viene attaccato al seno quando mostra i segnali di fame, oppure fa poppate più brevi di quanto vorrebbe: di conseguenza il latte si accumula dentro gli alveoli che si riempiono a dismisura.
Gli alveoli sono dei piccolissimi contenitori di latte, dilatabili fino a un certo punto; quando si gonfiano troppo si lacerano e una buona parte di latte esce e va a finire nei tessuti della mammella che così diventa gonfia, lucida, calda e molto dolente (il meccanismo è simile a quello che si ha quando subiamo una distorsione alla caviglia: anche in questo caso l’articolazione diventa gonfia, lucida, calda e molto dolente).
La mammella diventa talmente gonfia di liquidi anche nell’areola (la parte scura attorno al capezzolo) e nel capezzolo (che spesso non si riesce più a vedere), che per il bambino diventa impossibile ciucciare: è come se dovesse attaccarsi e ciucciare da una palla di gomma dura; non può farcela! Bisogna aiutarlo e anche in fretta; l’ingorgo, difatti, è una vera emergenza nella gestione dell’allattamento perché quanti più alveoli si danneggiano tanto meno latte la mamma potrà produrre in futuro. Per fortuna di alveoli ce ne sono a migliaia, per cui, risolvendo l’ingorgo in fretta, la mamma potrà continuare ad allattare.
Una consulente per l’allattamento americana, K. Jean Cotterman, ci ha insegnato il metodo della “pressione inversa” per sbloccare la situazione: è un metodo veramente infallibile per fare attaccare il bambino al seno ingorgato. [1] La mamma si distende a letto supina e con le dita esercita per parecchi minuti una pressione costante sull’areola attorno al capezzolo, ruotando le dita in tutte le direzioni: in questo modo fa arretrare alla base della mammella tutto il latte che non è più dentro gli alveoli, ma sparso nei tessuti circostanti e fa ammorbidire molto l’areola attorno al capezzolo; dopo qualche minuto di questa “pressione inversa” il bambino può essere subito attaccato al seno, e lo potrà fare facilmente perché non troverà più una palla di gomma dura, ma una zona più morbida con il capezzolo tornato normale e non più stirato e dolente.
Nella fase acuta la mamma può sentirsi meglio utilizzando, tra una poppata e l’altra, impacchi freddi (come si fa per la distorsione della caviglia) per ridurre l’edema e l’infiammazione, può avere bisogno di un anti-infiammatorio come l’ibuprofene e può anche giovarsi di una doccia o di un impacco caldo prima di eseguire la manovra della pressione inversa per attaccare il bambino.
Le poppate devono essere molto frequenti (almeno 8-10 nella 24 ore) e il bambino va lasciato libero di completare la poppata; se nonostante questo la mammella dovesse risultare tesa e dolente, la spremitura manuale in aggiunta alla suzione del bambino può essere d’aiuto. A volte si può verificare che la produzione di latte sia superiore alle richieste del bambino: in questo caso la spremitura manuale è il metodo migliore per evitare l’ingorgo. [2]
pediatra, è responsabile del gruppo nutrizione dell’Associazione Culturale Pediatri e fondatore dei “No Grazie”. È tutor e valutatore per l’iniziativa “Insieme per l’allattamento” dell’UNICEF. È stato direttore di Uppa magazine tra il 2016 e il 2021, è autore di oltre duecento pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali e internazionali e membro del comitato editoriale di «Quaderni ACP».