L’idea di fondo che seguita a influenzare l’operatività dei ginecologi è che l’episiotomia sia un intervento utile, spesso necessario e pressoché privo di effetti collaterali. La realtà, purtroppo, è ben diversa, e in questo articolo cercheremo di capire perché.
L’episiotomia è un’operazione chirurgica che consiste nell’incisione del perineo al fine di allargare l’apertura vaginale. Introdotta nella pratica ostetrica dalla metà del Settecento, l’episiotomia viene sempre più utilizzata, tanto da divenire negli anni Ottanta un intervento praticato sulla quasi totalità delle donne al primo parto. Oggi il suo utilizzo si è ridotto ma, in base ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, risulta ancora molto praticata: prendendo in esame i soli parti naturali (esclusi cioè quelli con ventosa o forcipe), la sua incidenza è del 60.4% al nord, del 66.1% al centro e del 79.0% al sud.
La motivazione per il ricorso all’episiotomia è che la pressione esercitata sul perineo possa produrre lacerazioni e stiramenti muscolari tali da predisporre al prolasso uterino e all’incontinenza, oltre a determinare traumi cranici al bambino. Nel corso degli anni Novanta iniziano gli studi per validare o meno questa convinzione, e tra il 2000 e il 2004 vengono pubblicate le prime revisioni: tutto il contrario di quello che si pensava.
Non è vero che questo tipo di intervento sia protettivo, anzi. Non risulta che ci sia nessun miglioramento, né a breve né a lungo termine, per le donne sottoposte all’episiotomia. C’è piuttosto una maggiore incidenza di complicazioni (infezioni, difetti di cicatrizzazione), oltre a una quota importante di dolore perineale e difficoltà nella ripresa dei rapporti sessuali, come spiegheremo più avanti.
Non è vero neanche che l’episiotomia protegga dall’incontinenza e dal prolasso. Anzi, è dimostrato che le donne sottoposte questo intervento hanno una riduzione significativa di tonicità del pavimento pelvico.
Gli studi, oltre a confermare l’inutilità dell’episiotomia per la maggioranza delle situazioni ostetriche, mettono bene in evidenza anche i possibili danni iatrogeni (quelli causati da farmaci e trattamenti medici in generale) e i numerosi effetti collaterali.
«Mi resterà una cicatrice dopo l’episiotomia?», chiede una mamma preoccupata.
La risposta è sì, sia nel caso vengano utilizzati punti di sutura riassorbibili sia non riassorbibili. Se la sutura però viene ben eseguita, ovvero se i margini dei tessuti vengono ben accostati, la cicatrice dell’episiotomia sarà minima (una sottilissima linea più chiara rispetto al resto della cute). Eseguire una buona sutura è molto importante anche per il recupero della funzionalità e della sensibilità dell’area genitale successivamente al parto.
Dagli studi emerge però che è preferibile la lacerazione spontanea del perineo: meno complicanze, minor dolore perineale, migliore cicatrizzazione. Quindi è vero proprio il contrario di quello che finora si è pensato: non praticare l’episiotomia aumenta significativamente la possibilità di avere genitali integri, e che le lacerazioni spontanee guariscono prima e meglio.
La guarigione dopo l’episiotomia richiede tempi lunghi, dal momento che la cicatrice non si secca in fretta (è in una zona intima poco esposta ad aria e luce).
Nell’immediato post partum e durante la prima settimana, la cicatrizzazione potrebbe inoltre essere dolorosa, particolarmente in determinate posizioni (ad esempio quando si sta sedute).
La durata della guarigione dopo l’episiotomia è molto soggettiva ed è dunque difficile indicare tempistiche precise.
Alcuni accorgimenti per favorire questo processo possono riguardare la postura (sedersi ad esempio a “ciambella”, evitando in questo modo di esercitare una pressione diretta sulla cicatrice), o anche asciugare con cura la ferita dopo la doccia, preferibilmente con il phon a bassa temperatura, evitando il contatto con la superficie dell’asciugamano.
Visto che, come detto, dopo l’episiotomia la guarigione è lenta, per i rapporti sessuali è bene non avere fretta e aspettare almeno un mese: se la cicatrice da episiotomia non è completamente guarita, infatti, i rapporti sessuali non farebbero altro che riaccendere il dolore (dispareunia). In ogni caso è sempre bene confrontarsi col proprio ginecologo, che saprà esaminare lo stato della cicatrice e consigliare la donna in merito alla questione.
A tal proposito va comunque sottolineato che nelle donne che hanno subito l’episiotomia c’è un’altissima incidenza di dolore nei rapporti sessuali che dura a lungo, persino sei mesi dopo il parto.
Esistono situazioni in cui è utile ricorrere all’episiotomia? Certamente sì. I tessuti del perineo si distendono fisiologicamente, ma affinché ciò accada occorre un po’ di tempo. Devono infatti avvenire una serie di contrazioni dell’utero; un’attesa che generalmente il bambino sopporta bene. Qualche volta, però, durante questo intervallo, si può manifestare un’improvvisa sofferenza del piccolo, che accade quando la sua testa si trova già a livello del perineo; in questi casi eseguire il taglio permette di anticipare di qualche prezioso minuto la nascita. Quindi l’unica indicazione sopravvissuta ai tanti studi eseguiti risulta essere quella della sofferenza fetale in fase espulsiva avanzata.
L’episiotomia viene oggi definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) «dannosa, tranne in rari casi». Eppure, la percentuale di utilizzo di questa pratica è solo leggermente diminuita nel tempo, con grande variabilità legata all’ospedale e all’operatore.
Sappiamo che è importante l’opinione che ha l’operatore su certe procedure. Una ricerca condotta in Canada, ha confermato che il ricorso all’episiotomia è “operatore-dipendente”, cioè esiste una stretta correlazione tra l’opinione che il ginecologo ha delle procedure necessarie nel corso del travaglio di parto e l’effettivo ricorso all’episiotomia (l’opinione quindi prevale sulle prove di efficacia, che sono il criterio con cui scegliere se ricorrere o meno a un intervento chirurgico).
E ancora, l’Università di Pittsburgh afferma che «il principale predittore del ricorso all’episiotomia è risultato il rapporto di lavoro del medico: le donne assistite da medici in attività libero-professionale hanno registrato un rischio di subire un’episiotomia sette volte superiore rispetto alle donne assistite da medici dipendenti della struttura universitaria».
Come ci salveremo da quest’uso indiscriminato dell’episiotomia, se neppure la richiesta esplicita delle madri permette loro di proteggersi? Ricordo infatti che nessun atto medico può essere praticato prescindendo dalla firma del consenso informato da parte dell’interessato, neanche in caso di terapie o interventi salva-vita. Ma mancando la motivazione scientifica nella gran parte dei casi, come in quello che ho riportato all’inizio, su cosa si dovrebbe informare il paziente?
Evidentemente non è possibile proporre di intervenire non avendo basi scientifiche di necessità. Siamo quindi al limite della violazione del diritto. Ci sono state associazioni che hanno proposto di equiparare le episiotomie inutili alle mutilazioni genitali femminili; altre che si battono per sostenere le donne nel diritto a un parto normale all’interno delle strutture pubbliche (dove normale significa che vengano rispettate le conoscenze scientifiche, e non applicate quindi le tante pratiche riconosciute come inutili e/o dannose). Anche il Parlamento europeo si è pronunciato in questo senso con la Carta dei diritti della partoriente.
Esistono sì oggi il “consenso informato”, il “piano del parto” e altri strumenti per mettere per iscritto la propria volontà, ma nella pratica è veramente difficile riuscire a difendere le proprie convinzioni e a rivendicare i propri diritti, in un momento di debolezza in cui prevalgono il dolore, la paura, la ricattabilità sulla salute propria o, a maggior ragione, del proprio figlio.
È il complesso delle parti molli, cioè muscoli e fasce di tessuto connettivo, coperte dalla cute, che chiudono in basso il bacino. Sta in mezzo tra la radice delle cosce, e ha una forma di losanga. È una zona del corpo ricca di muscoli e di terminazioni nervose, molto importante perché coinvolta nell’attività sessuale e riproduttiva, nella minzione ed evacuazione. La struttura del perineo è molto complessa: infatti esso risulta formato da tre piani di muscoli, ciascuno dei quali forma un diaframma più o meno completo.
Questo termine, derivato dal greco, sta a significare tutto ciò che è causato dal medico o dalle pratiche mediche in generale (farmaci, interventi chirurgici, ecc.) e viene usato soprattutto in senso negativo: perciò si parla di iatrogenesi soprattutto per indicare gli effetti negativi della medicina e degli interventi medici in generale. Il termine però è poco conosciuto e poco considerato a livello di opinione pubblica: l’attenzione da parte dei media si concentra infatti soprattutto sui benefici derivanti dalla medicina oppure, all’opposto, su notizie scandalistiche, spesso basate più su accuse e risentimenti che su fatti accertati (quella che viene chiamata comunemente malasanità).
La prima delle regole che un medico (e la medicina in generale) dovrebbe rispettare è quella sintetizzata dalla famosa frase latina primum non nocere. Il significato di questa antica massima è evidente: ogni atto medico comporta un intervento su un’altra persona; ogni medico, prima ancora di prendere qualunque iniziativa, dovrebbe essere certo che questa non possa arrecare al suo paziente un danno maggiore di quello che gli deriva dal male che si vuole combattere. L’episiotomia eseguita quando non ce n’è la necessità è un esempio molto chiaro di intervento che può provocare un danno iatrogeno.
a cura di Camilla Romano, ostetrica
Avere una buona consapevolezza del perineo, può diminuire il rischio delle lacerazioni spontanee o dovute all’episiotomia. Come qualsiasi altro muscolo del corpo, infatti, il perineo, pur trovandosi in un luogo intimo e protetto, può essere preparato attraverso il massaggio perineale, un esercizio di presa di coscienza che ha lo scopo di elasticizzare e ammorbidire i tessuti perineali. Per approfondire questo argomento, vi consigliamo di seguire il nostro corso preparto online.
Il massaggio perineale viene proposto a partire dalla 30°-32° settimana di gravidanza; nelle donne che hanno già partorito e sono in attesa di un secondo bimbo, talvolta, è possibile iniziare anche qualche settimana prima. Dovrebbe essere eseguito quotidianamente, oppure a giorni alterni e per una durata di 10 minuti. Con la pratica e il tempo, il perineo diventa più elastico e la donna migliora la sua abilità nel rilassare i muscoli e può gradualmente aumentare la pressione verso il basso, in direzione del retto: questo, infatti, la aiuterà a rilassare i muscoli del perineo quando la testa del bimbo premerà sull’organo durante il periodo espulsivo.
nata a Torino, dopo aver lavorato come restauratrice di dipinti, si laurea in Ostetricia nel 1999. Da allora lavora a Firenze, dove promuove una gestione meno invasiva e medicalizzata del parto. Partecipa all’apertura del primo centro nascita italiano, pubblico e a completa gestione ostetrica: la Margherita, dove lavora per sette anni.