Molto spesso i miei articoli per Uppa hanno preso le mosse da una lettera che qualche genitore mi ha scritto. Quasi sempre si trattava di una mamma che, dopo avermi illustrato delle osservazioni su qualche avvenimento (magari ricorrente) riguardante i suoi bambini, mi esponeva un problema, chiedendomi poi un parere. Questa volta, invece, la lettera la scrivo io, chiedendo a voi, lettori di Uppa, dei pareri.
…vi scrivo per chiedervi delle valutazioni e dei pareri. Sono il nonno di due nipotini, di cinque anni appena compiuti il lui, e di quasi sei anni la lei, tra loro cugini.
Ieri, io e mia moglie, nonna dei medesimi nipotini, abbiamo deciso di portarli a fare “un’avventura” (come dicono loro): un giro sulla mongolfiera, che qui a Torino hanno installato quasi al centro della città. Non è un viaggio vero e proprio in mongolfiera, ma una salita fin verso i centocinquanta metri e una ridiscesa a terra, agganciati a un cavo avvolgibile. Dei nostri amici avevano detto che il panorama da lassù era molto bello: la città, i tetti, le torri, i fiumi, la collina e il giro di montagne tutto intorno. Per rendere ancora più “avventurosa” l’impresa, abbiamo preso il tram, che per loro è già una “grande avventura” di per sé, abituati come sono a spostarsi in auto o, tuttalpiù, sul sellino della bicicletta dei genitori.
All’andata il tram, ultramoderno, era molto affollato. Una signora, gentilissima, s’è alzata offrendo ai due bambini il suo posto. «Ma no, ma no, Signora! Grazie. Non è il caso…», ho detto io. E quella, con un largo, bonario sorriso: «Non si preoccupi: va bene così. Anch’io ho dei nipotini…», con un ammiccamento d’intesa. Ringrazio ancora. I bambini prendono la cosa come del tutto normale, senza farci caso. Il mio «Dite grazie alla signora» si confonde col vociare dei passeggeri.
La salita in mongolfiera, con gli ondeggiamenti per il venticello e per gli spostamenti delle persone nel cesto a forma di anello, è stata emozionante ed entusiasmante per tutti. Al ritorno abbiamo preso un altro tram mezzo vuoto, di quelli vecchi e rumorosi che piacciono di più ai nipotini per il frastuono e gli scossoni. Tutti eccitati si sono fiondati sui sedili a guardar fuori. Strada facendo, il tram s’è riempito, fin quando è salita una signora impacciata, con un gran borsone e un bambino intorno ai sei anni. Una ragazza si è alzata per cederle il posto, e la signora ha chiesto al bambino: «Ti vuoi sedere?». E quello, senza neppure rispondere, si è fiondato a occupare il sedile.
Domando: ma siamo tutti impazziti? Non ci accorgiamo che rischiamo di allevare degli egoisti assoluti, che pensano che a loro sia tutto dovuto e nulla richiesto? Che non vengono sensibilizzati agli altri e al vivere civile solidale? Ricordo che, quando eravamo bambini noi, era del tutto ovvio e naturale che stessimo noi in piedi e che cedessimo il posto a tutte le persone anziane, soprattutto alle donne. Per noi erano “anziani” già quelli di una quarantina d’anni…
La solidarietà questi nostri bambini a volte la manifestano, ma solo verso i loro pari. Che sia perché i pari spesso la pretendono e gli adulti non più? I bambini sembrano avere in mente che la società, tutta, sia al loro totale ed esclusivo servizio. Che futuri adulti ne verranno fuori? Stiamo allevando dei narcisetti fragilissimi, incapaci di vivere e di gestire la pur minima frustrazione?
Io credo che sia giusto che i bambini sappiano di avere il diritto di essere al mondo e di essere al centro del loro mondo, ma che non sia per niente giusto che credano di essere, sempre e comunque, il centro del mondo, l’unico centro del mondo. Importanti per mamma e papà, per nonno e nonna, per i maestri e per molti adulti; ma non i principini dispotici del mondo.
Questi piccoli episodi evidenziano un grande problema, che potremmo definire così:
il nuovo modo di considerare il bambino come un essere da riconoscere nel suo proprio valore e da rispettare non solo nei suoi propri diritti, ma anche nelle sue proprie esigenze e nei suoi propri desideri, contiene dei grandi pericoli ed espone a dei grandissimi rischi, sui quali nella nostra cultura ci è difficile pensare e operare.
Per esempio: un diritto o un bisogno, o un desiderio del bambino, se entra in conflitto con un diritto, un bisogno o un desiderio dell’adulto (magari di un genitore), deve essere considerato più importante? O ugualmente importante? O meno importante? Una volta, in modo preconcetto, era dato per scontato che quello che riguardava il bambino fosse regolarmente meno importante, fino ad essere quasi sempre pressoché irrilevante. Ma ora, invece, sembrerebbe che sia dato per scontato che debba essere sempre e comunque prevalente, in quanto sistematicamente più importante. Ma è giusto? E, soprattutto: è sensato?
La questione ne comprende altre. Noi tutti sappiamo che i bambini hanno sempre le competenze a misura del loro stato di crescita. Cioè: sempre sono in grado di qualche cosa, in armonia con il loro livello di sviluppo. Ma è difficile stabilire se e quanto, in quel dato momento, quel bambino lì è in grado di rispondere senza troppi costi personali alla richiesta che noi adulti gli facciamo. Sarebbe necessario che noi adulti (soprattutto noi genitori o comunque noi educatori) fossimo sempre e comunque pienamente in contatto con l’esperienza che il bambino di cui ci occupiamo sta facendo.
Mantenere momento per momento un pieno contatto con l’esperienza che il bambino va facendo e riuscire a stabilire momento per momento che cosa egli è in grado o non è in grado di fare, che cosa possiamo chiedergli e che cosa non possiamo chiedergli sono imprese molto difficili, su cui anche noi, che siamo “gli esperti”, spesso non ci troviamo d’accordo, arrivando a dare risposte anche molto differenti.
E voi, cosa ne pensate?