Il ruolo paterno è cambiato nel tempo: non più autoritario, oggi il modello vincente è quello del padre evolutivo, che si confronta con la madre, accompagna il figlio nella crescita, ma è capace di dire “no”.
Viviamo un momento storico e sociale del tutto nuovo e ricco di potenzialità interessanti per la figura del padre. Fino al secolo scorso il padre era una figura fondamentalmente assente dal percorso di crescita dei figli e il cui ruolo educativo si giocava sostanzialmente attraverso i comandi e le punizioni (chi non ricorda la tipica frase materna che calmava istantaneamente gli animi: «Se non la smettete, stasera lo dico a papà!»). I bambini avevano paura del padre che, con le sue sgridate e i suoi castighi, suscitava sensi di colpa e, spesso, lontananza affettiva.
Ma il tempo del padre-padrone è finito, l’autoritarismo ha perso legittimità e interesse: ci siamo interrogati su come recuperare relazioni sincere, intime con i nostri figli, nell’intento di crescere bambini più sereni. Oggi i padri ci sono, sono presenti nella vita dei figli e sono alla ricerca di un modo propriamente “paterno” per aiutarli a crescere.
Si è passati, però, da un estremo all’altro. Trascorsa l’epoca del padre siamo passati all’epoca del figlio, caratterizzata da un eccesso di cura, di ansia, di preoccupazione rispetto al benessere e, fondamentalmente, da una rinuncia da parte dei genitori al loro ruolo educativo, in particolare quello paterno. I bambini spesso danno comandi agli adulti, sono caricati della responsabilità di decisioni che non dovrebbero spettare loro («Dove hai voglia di andare questo weekend?»; «Quale nome vuoi dare al tuo fratellino?»; «Preferisci mangiare davanti alla TV?»). Si cerca con mille spiegazioni di motivare le regole e i no, nella convinzione che sia possibile far capire a un bambino di 5 anni, con argomenti certamente razionali, perché non può vedere soddisfatti subito i propri desideri.
La funzione materna, al di là di chi la adempie, è indispensabile per vivere: i cuccioli umani hanno bisogno di un accudimento decisamente maggiore rispetto a qualsiasi altra specie. Per questo, lungo tutto il primo anno, ma anche per buona parte dell’infanzia, il codice materno gioca un ruolo predominante: nutre, si prende cura, custodisce, protegge. Il paterno in questa fase iniziale non ha un ruolo definito, e spesso questo può scatenare crisi di coppia. Crescendo, però, serve che il ruolo del codice materno diminuisca e man mano cresca quello paterno, che da un lato è l’elemento che separa la madre dal figlio, dall’altro ciò che consente ai figli di diventare grandi, di imparare a stare al mondo, ad affrontare le difficoltà, a gestire i desideri, a tirar fuori le proprie risorse.
Non necessariamente i codici coincidono con il maschile e il femminile biologico: oggi il ruolo paterno è spesso giocato dalla donna, e i padri sembrano “mammi”. Se le donne però hanno per molti aspetti, con i cambiamenti sociali e culturali del secolo scorso, ridefinito la loro identità, questo non è avvenuto per gli uomini. Rispetto al loro essere padri spesso non hanno ancora individuato una possibilità alternativa di interpretare il proprio ruolo, che non rimandi al padre-padrone e non si appiattisca nella dedizione e nella cura.
Padri e madri si sono resi conto che l’epoca del figlio in realtà non aiuta i bambini a crescere meglio, anzi suscita problematiche, ansie, grande disorientamento e spesso angoscia e “malattie educative” (come l’obesità, i disturbi dell’attenzione, le difficoltà relazionali e sociali, l’aumento dell’enuresi in età preadolescenziale, ecc.) che non si erano mai presentante con tale frequenza e in età non tipiche.
Un esempio tra tanti: Carlo di 12 anni. Giorgio, il padre, è riuscito a opporsi e a resistere all’ansia del controllo di Anna che assillava il figlio sui compiti. «Li hai fatti? Sei sicuro? Aspetta, controlliamo… ecco, non hai fatto il disegno! E adesso è troppo tardi! Questa volta te lo faccio io, ma non si ripeta più! Già settimana scorsa…». Urla, lamentele, liti, e il rendimento scolastico di Carlo in caduta libera. Giorgio ha proposto un’organizzazione e si è assunto la gestione dei compiti del figlio: ora Carlo li fa da solo, sotto la supervisione del padre che imposta con lui la settimana di studio e verifica saltuariamente, lasciando che Carlo si assuma la responsabilità delle proprie dimenticanze e dei fallimenti, che sono sempre di meno! La differenza tra i ruoli paterno e materno è, alla fine, ciò che genera il conflitto necessario al bambino e alla bambina per crescere, ecco perché entrambi sono necessari e fondamentali in un percorso educativo.
Il nuovo padre evolutivo è in primis un compagno che aiuta la madre a liberarsi dalla tirannia del materno come unico codice valido per crescere i bambini. Tiene aperto il conflitto tra le due dimensioni necessarie alla crescita e, soprattutto, sa proteggere ma anche dispiacere. Spesso i padri di oggi faticano ad accettare un ruolo di contenimento, di argine, che chiaramente provoca conflitti con i figli; vogliono essere amici. Ma se non si mantiene una giusta distanza dai figli, che non è affettiva ma educativa, non si riesce a consegnare un’eredità, a donare il segreto prezioso del vivere, a sostenere quell’elemento conflittuale che permette ai figli di tirar fuori tutte
le loro risorse e di farcela. Ecco alcuni dispositivi operativi del padre evolutivo e della coppia educativa:
È il padre che accompagna nelle scoperte, che recupera i figli quando cadono, che li rimette in piedi. Il suo compito autentico sta nel mettersi accanto: «Non ti impedisco di fare da solo, di metterti alla prova, di rischiare per testare le tue potenzialità, e nei tuoi tentativi ti sto vicino, sono dalla tua parte, ti mostro che fallire è umano e possibile, ma che è anche altrettanto possibile provare a farcela». Il padre evolutivo è testimone di coraggio e del desiderio della vita.
Senza il “no” del padre, l’adolescente rischia di scivolare nel pantano del “senza limite”. Ha bisogno di un riscontro da parte dell’adulto che, anche se gli darà una risposta che non gli piace, comunque gli permetterà di rallentare la corsa verso l’insidioso universo del “tutto è possibile”, dove serve “l’ennesimo oggetto, l’ennesima novità” per soddisfare l’inevitabile vuoto che il crescere fa sperimentare. Soprattutto se si sta percorrendo la strada dell’adolescenza.
Alcune forme di depressione giovanile, di noncuranza nei confronti della crescita, sono riconducibili proprio a un deficit di resistenza da parte del padre. Tenere vivo l’interesse e il desiderio di crescere richiede un padre, anche simbolico, che permetta di congedarsi dall’infanzia. Per poter uscire da questa sorta di vortice compulsivo, l’adolescente ha bisogno della resistenza del padre, per vedere oltre, saltare lo steccato e trovare la propria strada.
Per il padre dire “no” comporta “lasciarsi utilizzare” senza il timore di perdere la posizione di padre ideale, che non sbaglia e ha una soluzione per tutto. Il “no” resistente è una competenza necessaria per esercitare il ruolo di padre, una competenza “di servizio”, in funzione dell’altro, evolutiva. Il compito paterno è prevalentemente regolativo. Il “no” della resistenza è lo strumento da privilegiare per esercitarlo.
Le analisi svolte confermano che il nesso tra “fare famiglia”, “vivere la famiglia” e lavorare non è prerogativa esclusivamente femminile. Anche il padre sembra darsi da fare per combinare le attività di cura, ma soprattutto di gioco e svago dei figli, con quelle associate al lavoro produttivo. La natura collaborativa del padre non sembra essere influenzata dall’avere un figlio unico o due figli. Il coinvolgimento del padre, quando c’è, si manifesta subito, fin dalla nascita del primo figlio. Anche per il padre l’impegno lavorativo intenso ostacola la conciliazione tra lavoro e cura dei figli. Quest’ultima appare sacrificata proprio da quei padri che più di altri investono nella realizzazione professionale, perlomeno in termini di tempo trascorso sul lavoro in assenza dei figli.
Il ruolo del padre è tuttavia secondario rispetto a quello svolto dalla madre che, soprattutto nelle attività di supporto alla vita scolastica, la fa da padrona. Si conferma quindi una divisione di genere del lavoro familiare ancora sbilanciata a sfavore delle donne, sebbene tale asimmetria appaia a tinte sfumate.