Non sempre le medicine che prendiamo sono necessarie. Sull’onda di “Slow food”, nasce il movimento “Slow medicine“, sostenitore di una medicina giusta perché uguale per tutti, sobria e sostenibile perché contraria allo spreco e all’uso irrispettoso delle risorse disponibili.
Nel 1976 Henry Gadsden, a capo della Merck, una delle maggiori industrie farmaceutiche, affermava: “Il mio sogno è quello di fare farmaci per persone sane”. Per quanto sembri paradossale, dobbiamo riconoscere che l’obiettivo è stato raggiunto. I numeri parlano chiaro: solo l’11% dei 3.000 trattamenti medici presenti nella banca dati Clinical Evidence risulta di dimostrata efficacia e, secondo l’OMS, i trattamenti la cui efficacia non è dimostrata incidono tra il 20 e il 40% della spesa sanitaria. Quindi per essere “curati” non è necessario essere malati, è sufficiente pensare di esserlo: e in questo c’è sempre chi ci dà una mano.
Qualche anno fa sui giornali è rimbalzata una notizia apparsa sull’autorevole rivista Journal of Clinical Psychiatry: finalmente è possibile non soffrire più in caso di perdita di una persona cara, è disponibile la “pillola antilutto”. Perché perdere tempo ed energia a piangere, quando si può ritrovare il buon umore con una pastiglia?! In un attimo quella che per secoli è stata la normale reazione di fronte alla morte diventa una patologia, con tanto di sintomi da curare. E, nello stesso modo, se la timidezza si trasforma in “disturbo da ansia sociale”, qualsiasi altra modulazione dell’umore è a rischio d’inquadramento clinico. Se le prescrizioni di farmaci e trattamenti terapeutici per bambini e adolescenti troppo nervosi, troppo sensibili, troppo intelligenti sono in clamoroso aumento, è necessario che ognuno si prenda le proprie responsabilità: i medici a cui i pazienti si rivolgono devono riportare i loro dubbi e le loro preoccupazioni in un contesto di normalità.
Per arginare e combattere questi fenomeni di consumo intorno alle malattie, per contrastare la convinzione che fare di più sia sempre meglio, che il nuovo sia sempre da preferire al vecchio, sull’onda di Slow food, nasce il movimento Slow medicine: una rete di persone, gruppi e istituzioni che vogliono dare nuove basi alla medicina e che hanno dato forma alla loro “filosofia” pubblicando un libro firmato da Giorgio Bert, Andrea Gardini e Silvana Quadrino (Slow Medicine, Sperling&Kupfer 2013).
Così come Slow food si è fatto sostenitore di un’alimentazione attenta e consapevole, così Slow Medicine si fa promotore di una medicina libera dalle pressioni commerciali e attenta ai bisogni dei pazienti, giusta perché uguale per tutti, sobria perché contraria allo spreco e sostenibile perché consente un utilizzo rispettoso delle risorse disponibili, delle persone e dell’ambiente. La scelta slow è un’esortazione rivolta a tutta la comunità, medici, pazienti e istituzioni, è un caloroso invito a esercitare la capacità di scegliere, discernere, informarsi e valutare senza finire nelle gabbie dei bisogni indotti dal mercato.
È semplice: smettere di fare ai medici richieste ingiustificate. È stato stimato che nei prossimi quaranta anni la spesa sanitaria raddoppierà mettendo in crisi il nostro Sistema Sanitario. Sappiamo che moltissime delle prestazioni richieste o dei farmaci prescritti sono inutili. Allora perché il medico li prescrive? Forse perché la relazione di fiducia tra medico e paziente si è interrotta, e senza la fiducia una relazione di cura non esiste. Così, il paziente che chiede al medico quello che pensa gli serva e si sente rispondere di no, cercherà un altro medico che accontenti le sue richieste e farà quello che aveva in mente di fare… a spese dell’intera collettività. Sembra che la cosa che più interessa i pazienti sia la prescrizione di farmaci, esami e terapie. Allora, per una medicina sobria, giusta e sostenibile anche i pazienti devono fare la loro parte.