Perché, non appena abbiamo finito di leggere un libro che ci ha coinvolto, sentiamo la necessità di consigliarne la lettura a qualcun altro? La mia sensazione è che non sia per generosità che lo facciamo: in realtà assecondiamo un’istanza di egoismo senza pari. Quella lettura ha cambiato una parte di noi, anche se non sappiamo quale. Guardiamo il libro chiuso appoggiato sul tavolo, leggermente più gonfio di quando lo abbiamo comprato. Possiamo aspettare fino a domani o a dopodomani, ma poi dovremo riporlo: il suo tempo è finito, e di conseguenza anche un po’ del nostro. L’unica maniera per superare quest’angoscia di separazione è suggerirne la lettura a un’altra persona.
Soltanto che quest’ultima ci chiederà fatalmente: «Di che parla?» Nel caso de La prima vera bugia di Marina Mander, se vogliamo comportarci in modo sufficientemente onesto, non possiamo rispondere soltanto: «Di un bambino» oppure «Di un bambino e della sua mamma». Dobbiamo, nostro malgrado, rivelare qual è la prima vera bugia che il piccolo protagonista si trova a dire. Luca ha dieci anni e vive sull’orlo del disincanto, nella situazione di mancanza e di incombente infelicità comune a tanti bambini delle nostre città. Il padre non esiste e lui solo sa quanto è pesante questa mutilazione («è come portare un cappotto senza maniche», dice lui; «morto un padre se ne fa un altro», gli dice la mamma); vive con la mamma, alla quale non è facile appoggiarsi, visto che la donna è palesemente infelice, passando da un uomo all’altro, oltre che dall’alcol ai farmaci. Fuori di casa c’è un mondo distante, dimentico, insensibile: il nulla.
Un giorno Luca si rende conto che la mamma sta dormendo un po’ troppo. Non si sveglia, non c’è niente da fare. Passa un giorno, ne passano due, ma la mamma non si sveglia. A questo punto, per non doversi sentire in colpa, ma soprattutto per non dover finire in un orfanotrofio, sceglie la strada più difficile: quella di far finta di niente e continuare ad affrontare, come può saper fare un bambino – sia pur così precocemente maturato come lui – i giorni e le notti a venire come se la mamma fosse ancora presente. La sua battaglia comprende il vestirsi, l’andare a scuola, i compiti, il frigorifero vuoto, i giorni che passano e la camera dove la mamma continua a non svegliarsi…
A questo punto l’amico ci interrompe, scuotendo il capo e agitando la mano nel gesto di fermarci.
«No, grazie. È terribile. Non voglio leggerlo.»
«Ascoltami. Hai presente La vita è bella, il film di Benigni? Per consentire al piccolo Giosuè, oltre che a se stesso, di affrontare e sopportare la realtà spaventosa e irrazionale del campo di sterminio, Guido lo convince che si tratta di un gioco a premi con un carrarmato in palio. Ebbene, La prima vera bugia contiene la stessa prodigiosa leggerezza e la stessa commovente ironia. E soprattutto non è un libro sull’elaborazione del lutto nei bambini: questo aspetto resta sullo sfondo; è il linguaggio il vero protagonista della storia. Sono le parole divertenti e piene di freschezza del monologo di Luca, dove continuano a vivere le frasi buffe, le espressioni originali, i giochi verbali condivisi dalla mamma e dal bambino. Le parole esistono, hanno una sostanza, continuano a vivere anche dopo il silenzio.»
«E va bene, mi hai convinto. Lo leggo.»
pediatra, esercita la professione di pediatra di famiglia a Padova. È presidente dell’Associazione Culturale Pediatri di Venezia e collabora come volontario con la onlus “Rafiki - Pediatri per l’Africa”.