«A scuola mangia tutto, senza fare storie! Solo a casa è un disastro… non mangia niente!». Perché? I motivi possono essere molteplici, ma certamente mangiare in compagnia aiuta; spesso però non si tratta solo di questo.
Sovente i bambini a casa mangiano da soli, mentre un adulto li osserva, magari dopo aver cucinato appositamente per loro. E anche quando si cena tutti insieme in famiglia, si tengono gli occhi ben puntati sui più piccoli: «Tieni bene la forchetta!»; «Ti imbocco, se no non finisci più!»; «Mastica bene…»; «Ma non hai sete?!».
Capita di frequente che i bambini non possano fare pause, scegliere cosa mangiare o in quale ordine, assaporare o scartare.
Perché i bambini mangiano prima dei grandi? Forse alcune mamme preferiscono non far pranzare troppo tardi i propri figli, e alcuni nonni, per non rischiare di distrarsi, mangiano dopo aver organizzato il pasto del nipotino, «così lui è a posto e noi siamo tranquilli».
Ma questo “isolamento” può mettere in difficoltà i bambini: seduti sul seggiolone con uno, se non due adulti che li osservano, potrebbero sentirsi sotto esame, e non c’è nulla che sappia chiudere lo stomaco meglio dell’ansia!
A scuola, oltre a essere in buona compagnia, i bambini sono meno osservati e probabilmente più rilassati: procedono con il loro ritmo, un boccone finisce sul tavolo e lo riprendono, danno una sbirciata alla pasta prima di mangiarla, perché la maestra, per fortuna, ha altro da fare…
Detto questo, mangiare con qualcuno che ama mangiare e sa farlo egregiamente non può che essere educativo.
Ritornando alla cena anticipata per il bambino, forse il papà potrebbe fargli compagnia e interagire poi col resto della famiglia durante il pasto: di certo lui non necessita di un modello per l’impugnatura della forchetta o di buone strategie per portare cibo e acqua alla bocca! Gran parte dell’apprendimento, difatti, avviene per imitazione: tra l’eseguire un comando e osservare il proprio papà inforcare un fusillo e portarlo alla bocca non c’è paragone di efficacia. Mangiare insieme (magari anche a colazione), e parlare a tavola, si può quindi rivelare piacevole, educativo e utile per diminuire i livelli di stress e ansia da prestazione, oltre a favorire l’autonomia.
A volte i bambini si scoraggiano per la grande quantità di cibo che vedono nel piatto: offriamo loro piccole porzioni, così da lasciare spazio per un bis o un tris (una misura che tra l’altro viene suggerita anche per minimizzare il rischio di soffocamento).
Dai 2 anni e mezzo, e a volte anche prima, i bambini sono in grado di servirsi il cibo nel piatto da soli: presentiamo in tavola ciò che abbiamo cucinato su un piatto da portata, dal quale tutti possano attingere. In questo modo i bambini potranno decidere la quantità di cibo, evitando ciò che non desiderano (ad esempio i cubetti di carota che abbiamo messo nella pasta). La regola è molto semplice: «Prendi ciò che ti va di mangiare. Se non sei sicuro che ti piaccia, mettine poco nel piatto e assaggia».
Un altro suggerimento utile è di variare molto gli alimenti, perché non possiamo prevedere come si svilupperanno i gusti dei bambini. A fronte dell’affermazione infantile: «No! Non mi piace!», proviamo a rispondere: «Magari ora ti piace! Sai, i gusti crescono con noi. Non è detto che ciò che non ci piaceva ieri non ci piaccia neanche oggi. Assaggia e poi decidi!».
Durante la preparazione del pranzo coinvolgiamo i bambini e, se possibile, facciamolo già a partire dalla spesa. Poi c’è il momento dell’apertura delle confezioni, il lavaggio della verdura o la sgranatura dei piselli, la cottura e il condimento; il bambino prenderà confidenza con il cibo, ne conoscerà aspetto, nomenclatura, possibili manipolazioni e cotture. Insomma, parliamo di cibo, mentre lo guardiamo, tocchiamo e trattiamo: ciò che si conosce fa meno paura.
Spesso la diffidenza dei piccoli verso i piatti complessi – riso alle verdure, lasagne, minestre – nasce dal non capire cosa ci sia all’interno. Troppi gusti, colori, consistenze! La semplicità vince sempre. Si potrebbe, ad esempio, preparare il riso in bianco lasciando le verdure a parte, così da permettere al bambino di assaggiare tutto separatamente e decidere in un secondo momento se mescolare tra loro gli ingredienti, educando in questo modo alla varietà di gusti e consistenze.
Il pasto è un momento di incontro, di scambio e condivisione. Preparare la tavola significa predisporre il setting, cioè l’ambiente per incontrarsi. Facciamolo quindi sempre con cura e rigorosamente insieme ai bambini. Se possibile, organizziamo uno spazio accessibile ai bambini – su una credenza o su parte del mobilio esistente –, in cui riporre, ad altezza adeguata, ciò che occorre per preparare la tavola: tovaglia, piatti, bicchieri, tovaglioli, posate e tutto il necessario.
Le stoviglie pensate per l’infanzia non sono indispensabili. Un bicchiere in plastica, con coperchio e beccuccio, impedirà al bambino di imparare a maneggiare un bicchiere vero, portarlo alla bocca con prudenza, senza bagnarsi, perché l’acqua non potrà essere versata accidentalmente da un bicchiere “speciale”. Lo stesso vale per un piatto in plastica: dal momento che non può rompersi, non potrà insegnare al bambino la grazia necessaria a maneggiare i piatti veri, né la fragilità degli oggetti e, di conseguenza, non potrà educarlo a manipolare con cura. Da ultimo, i rebbi della forchetta in plastica sono meno efficaci, e ciò complica la gestualità necessaria. Quindi sì a ceramica, vetro e metallo.
Sarà accortezza del genitore proporre misure che siano adeguate alle mani dei bambini: bicchierini piccoli in vetro robusto, manipolabili e trasparenti per vedere il livello dell’acqua, piattini della frutta e posate da dolce (nei mercatini dell’antiquariato si possono trovare quelle in argento, belle e leggere), piccole brocche (come quelle da quartino di vino).
Per quanto riguarda il bavaglino, dai 15 mesi di età possiamo sceglierne uno con l’elastico: i bambini sapranno infilarlo e sfilarlo autonomamente. Poniamo inoltre un gancio per prendere e riporre in autonomia il bavaglino per il pasto, a un’altezza facilmente raggiungibile per il bambino. Dopo i 30-36 mesi si potrà passare all’uso del tovagliolo.
Se il pasto prevede una minestra, ai bambini non ancora pienamente autonomi possiamo offrire due cucchiai: uno sarà gestito dal genitore e l’altro sarà a disposizione del bambino, che lo porterà alla bocca ogni volta che vorrà o tenterà di farlo osservando e imitando il genitore. Lasciamo sempre che sia il bambino a dettare il ritmo, anche quando si mostra necessario imboccarlo.
formatrice, pedagogista e autrice, progetta e coordina servizi per la prima infanzia e svolge corsi di formazione per insegnanti e genitori sulla pedagogia montessoriana. Autrice del libro Qui abita un bambino edito da Uppa Edizioni, cura la rubrica "Tra il dire e il fare" su Uppa.