«Dovrà dormire con noi nel lettone?», oppure, «Quando dormirà da solo nel suo lettino?»: sono alcune delle domande che i genitori in genere si pongono riguardo al sonno dei propri figli. Diciamo subito che non c’è una ricetta, perché ogni bambino ha le sue preferenze, i suoi bisogni e i suoi tempi, ma può essere utile conoscere alcune strategie per gestire al meglio il momento del sonno e favorire al contempo il benessere di tutti.
Alcuni bambini amano condividere il sonno con mamma e papà perché così si sentono al sicuro e riposano serenamente, così come alcuni genitori dormono bene stretti ai propri piccoli. Al contrario, altri bambini e genitori, pur condividendo la stessa stanza, patiscono il “sovraffollamento” e preferiscono uno spazio proprio. In ogni caso, tutti i bambini imparano ad addormentarsi e a dormire in autonomia e nel proprio lettino, ma con tempi e modalità diverse; una conquista che viene facilitata se si rispettano e tutelano i bisogni di tutti, senza forzature.
Una mamma racconta: «La sera non andiamo a dormire prima delle 22.30. Prima una storia sul divano, poi si gioca un po’ in camera, una canzone in braccio mentre lo cullo, poi devo coricarmi al suo fianco finché non si addormenta. È così da mesi. Il risultato è che non ho più tempo per mio marito, perché mi addormento nel lettino stremata». Un’altra riferisce: «Nostra figlia ha 3 anni e dalla nascita dorme con noi nel lettone. Non sta ferma un attimo durante la notte, si sveglia di continuo, noi non abbiamo spazio e dormiamo malissimo. Spesso finisce che mio marito, distrutto, conclude la notte sul divano».
Comunque venga gestito, il momento del riposo dovrebbe risultare sereno e favorire il benessere di tutti, ricordando però che sono i genitori ad avere la possibilità di proporre soluzioni e abitudini fin dalla nascita del bambino.
Le parole chiave sono flessibilità, adattamento e osservazione. Non è detto che ciò che si rivela utile una sera per accompagnare il bambino al sonno sia necessario ogni volta: le soluzioni cambiano con la crescita. Inoltre, non esistono abitudini giuste o sbagliate a priori; ciò che funziona per un bambino potrebbe non essere utile per un altro. Dormire nella propria stanza o a fianco dei genitori, dormire nel lettone, addormentarsi in braccio o con una ninnananna, senza contatto fisico oppure poppando, stando abbracciati stretti o tenendosi per mano: sono solo alcune delle più comuni strategie, ma saranno il bambino e i genitori a stabilire di quanta vicinanza necessitano.
Proviamo a delineare una strategia che non forzi i tempi del bambino. Pietro di solito si addormenta in braccio, poppando, cullato dalla voce della mamma, ma potrebbe essere pronto a fare un passo in avanti sulla strada dell’autonomia. Una sera, dopo aver creato le condizioni ambientali favorevoli (luci basse e riduzione degli stimoli uditivi e visivi), la mamma potrebbe invitarlo a raggiungere il suo letto nella cameretta, e dopo averlo salutato dolcemente, potrebbe lasciare la stanza, rimanendo però nelle vicinanze per controllare la reazione del piccolo. Se Pietro non richiede attenzioni, significa che la situazione non lo mette a disagio e che forse, anche solo per quella sera, è disposto ad addormentarsi in autonomia. Se invece non è pronto, richiamerà l’attenzione del genitore, che potrebbe aiutare il piccolo in modo graduale, ad esempio dicendogli: «Mi fermo un po’ qui». Se ciò non bastasse, il genitore può:
L’aiuto è necessario dove occorre, e se il bambino chiede aiuto, il genitore dovrebbe rispondere con “dosi” e modalità appropriate. Quando il piccolo si dimostra pronto a un distacco, non dovrebbe essere ostacolato, né dovrebbe essergli negata la vicinanza fisica se lo richiede. Crescendo, Pietro sarà appagato dalla sola vicinanza emotiva, perché sereno e sicuro di sé.
Alcune situazioni possono far regredire il bambino rispetto all’autonomia acquisita nella gestione del sonno. Un nuovo lavoro della mamma, uno scatto nello sviluppo psicomotorio, la nascita di un fratello o l’inizio della scuola sono alcuni tra i più frequenti “scombussolamenti” che il piccolo cercherà di riequilibrare con la conferma dell’amore dei genitori: «Mamma, papà, mi amate comunque, vero?». In questi casi, se il bambino percepisce una carenza (anche solo immaginaria), cercherà di “recuperare” in qualche modo per tutelare il proprio benessere, ad esempio di notte, chiedendo una maggior vicinanza dei genitori.
Ciascuno di noi vive dei micro-risvegli notturni: l’adulto li gestisce in autonomia, mentre il bambino deve imparare a farlo. La consolazione che viene offerta fin dalla gravidanza, e poi con la nascita, dall’odore, dal calore, dal respiro del genitore, lentamente passa nelle mani del bambino. Prima e meglio si risponde al bisogno, prima questo sarà soddisfatto e scomparirà. Come? Per alcuni genitori è meno faticoso accogliere il bambino nel proprio letto, per altri, invece, lo è alzarsi (anche più volte) e raggiungere il piccolo. In entrambi i casi, ciò che non turba il bambino non può essere dannoso. Il malessere del bambino, al contrario, dimostra la sua immaturità: in questo caso occorre rallentare, facendo un passo verso di lui e rispondendo a quell’umiltà che Maria Montessori tanto si augurava per l’adulto educante.
Come per la concentrazione, l’apprendimento e il benessere emotivo, anche per il sonno la parola chiave è ordine. Distinguiamo quattro tipologie:
formatrice, pedagogista e autrice, progetta e coordina servizi per la prima infanzia e svolge corsi di formazione per insegnanti e genitori sulla pedagogia montessoriana. Autrice del libro Qui abita un bambino edito da Uppa Edizioni, cura la rubrica "Tra il dire e il fare" su Uppa.