L’allattamento esclusivo, gli studi lo confermano, è il più grande investimento di salute per la donna e il suo bambino. Ci sono però alcune situazioni in cui potrebbe essere richiesto, per un tempo più o meno breve, il supporto di un’integrazione di latte. Quando si presenta uno scenario di questo tipo, la scelta sul tipo di integrazione da offrire dovrebbe ricadere in primis sul latte materno (somministrazione di latte spremuto manualmente o tirato tramite l’ausilio di un tiralatte), in alternativa sul latte materno donato, reperibile nelle apposite banche e, laddove queste opzioni non fossero possibili, sulla formula artificiale. In quest’ultimo caso, si configurerà quello che comunemente viene definito “allattamento misto” (in gergo tecnico, “allattamento complementare”).
Poiché l’allattamento al seno andrebbe protetto, promosso e sostenuto, è importante sottolineare che tutte le volte in cui si renda necessaria un’integrazione, questa non può mai prescindere da un’attenta valutazione medica e sarebbe opportuno avvalersi del supporto di una figura professionale esperta in materia, che possa accompagnare la neomamma e il suo piccolo nel loro percorso.
Spesso le motivazioni che inducono le donne a pensare di dover ricorrere a un’integrazione sono più presunte che reali, talvolta legate a un’informazione parziale e frammentaria rispetto all’argomento, altre alla mancanza di un sostegno durante il periodo perinatale e post parto, quando l’equilibrio personale è ancora più instabile. La mancanza di sostegno, infatti, non consente alla donna di affrontare serenamente e con adeguati strumenti le difficoltà che possono presentarsi durante l’allattamento.
«Sarò in grado di nutrire adeguatamente il mio bambino?», è una domanda che di frequente si fanno le neomamme. L’ascolto empatico da parte del partner, delle persone care e dei professionisti, la capacità di rassicurare, osservare, sostenere e offrire possibili soluzioni alla insufficiente produzione di latte, presunta o reale che sia, risultano dunque aspetti fondamentali.
E se ciò non bastasse? Ecco che si può ricorrere all’allattamento misto, ovvero all’integrazione. Vediamo in quali casi questa soluzione è preferibile se non addirittura indispensabile:
Le situazioni sopra citate possono destare grandi preoccupazioni e ansie nei genitori, tra cui quella di non poter più tornare all’allattamento esclusivo. Altra domanda che ci si pone, infatti, è: l’allattamento misto fino a quando va perseguito? Visto che il percorso dell’allattamento misto non è standardizzabile (ogni bambino è a sé, ha bisogni e risposte specifiche in merito ogni evento, compreso questo), l’unica risposta possibile è che si può proseguire con l’allattamento misto fino a quando sarà necessario!
Questo per dire che chi ci guiderà saranno i due attori protagonisti di questa storia: il bambino e la sua mamma. Quest’ultima, grazie a una pronta e attenta lettura dei bisogni del suo piccolo, unitamente all’interpretazione di segnali diretti (incremento ponderale, buon grado di idratazione) e indiretti (evacuazioni, diuresi e in generale benessere), sostenuta da professionisti esperti in allattamento, sceglierà come orientarsi.
Le modalità per utilizzare l’allattamento misto sono molteplici. Quella che comunemente (ed erroneamente) viene ritenuta la più immediata è l’alternanza di una poppata al seno e una di formula. In realtà l’allattamento misto alternato non è una strategia efficace, soprattutto se si vuole continuare a mantenere la produzione materna di latte. Intervalli troppo lunghi tra una poppata al seno e l’altra, infatti, oltre al rischio di ingorghi, comportano l’accumulo di una sostanza chiamata FIL (Fattore Inibente la Lattazione) che porta al cervello il messaggio di una produzione eccessiva di latte rispetto alla richiesta effettiva, con il risultato finale di una riduzione della produzione stessa e il rischio di compromissione dell’allattamento.
Una strategia efficace e rispettosa dell’allattamento potrebbe essere invece quella di offrire sempre il seno prima, a richiesta, tutte le volte che il bambino mostra segnali di fame, e successivamente proporre l’integrazione in piccole quantità, onde evitare che l’eccessivo riempimento gastrico comporti una minore richiesta del seno da parte del bambino.
Come orientarsi rispetto a dosi e quantità durante l’allattamento misto? Anche in questo caso, non si può prescindere da un’attenta osservazione del bambino e dalla lettura dei suoi segnali di fame e sazietà. Se dopo l’offerta del seno il bambino si stacca spontaneamente e mostra ancora segnali di fame, si possono proporre poche decine di ml di formula dopo ogni poppata; ricordiamo però che è bene proporre questa integrazione solo dopo aver fatto il tentativo di offrire entrambi i seni.
Per quanto riguarda la modalità con cui offrire le integrazioni, lo strumento che salta subito in mente è il biberon. A tal proposito è bene sottolineare che esistono tanti validi ausili alternativi, il cui utilizzo non va a interferire in modo eccessivo con l’allattamento, e sono:
Se la scelta dovesse invece ricadere sul biberon, teniamo presente che anche in questo caso, con dei piccoli accorgimenti, questo ausilio può essere utilizzato in maniera rispettosa dell’allattamento. Come? Proprio come se offrissimo il seno! La mamma terrà il bambino molto vicino al proprio corpo (volendo anche pelle a pelle), cercando il contatto visivo e rispettando i suoi segnali di fame e sazietà. Ecco di seguito alcuni suggerimenti “pratici”:
È molto importante inoltre cambiare lato, anche più volte nel corso della poppata, per garantire una stimolazione equilibrata e armonica e concedere piccole pause durante la suzione, proprio per far sperimentare al bambino una poppata con modalità quanto più vicina a quella che si realizzerebbe al seno. Il rischio infatti è quello di un’offerta “subita passivamente”, piuttosto che una richiesta attiva. Per evitare questa eventualità, inoltre, non si dovrebbe mai consentire al bambino piccolo di tenere autonomamente il biberon, tantomeno in qualche modo “bloccarglielo” (azione pericolosa in quanto implica l’impossibilità di gestire adeguatamente il flusso di latte).
Per quanto riguarda la scelta della formula, nonostante sul mercato siano presenti numerose marche, la loro composizione deve obbligatoriamente attenersi a degli standard definiti; sono dunque tutte equivalenti dal punto di vista nutrizionale, tant’è che non vi sono prove scientifiche che evidenzino benefici o svantaggi di una formula rispetto a un’altra. La differenza consiste nella possibilità di scegliere la formula liquida, pronta all’uso ma più cara, o quella in polvere da ricostituire. Ricordiamo sempre che la formula in polvere non è sterile, per cui dobbiamo mettere in atto tutte quelle accortezze per minimizzare i potenziali rischi (ne parliamo in questo articolo).
Come sempre, sarà bene scegliere un luogo accogliente (comodità e sicurezza sono le parole d’ordine) per nutrire il proprio bambino e godersi questo momento di intimità. Ricordiamo poi che qualunque sia il quantitativo di formula da offrire (variabile in relazione all’età, al peso eccetera), piuttosto che integrare grandi quantitativi in poche poppate, è più opportuno fare il contrario: dilazionare la quantità giornaliera in un numero maggiore di poppate, col risultato che ogni razione sarà più esigua; in questo modo si eviterà l’effetto “abbiocco post-prandiale” e sarà più facile eventualmente tornare all’allattamento esclusivo.
Tra i problemi associati all’utilizzo di formula artificiale, la fa da padrone il binomio “allattamento misto e stitichezza del neonato o lattante”. Ciò può dipendere dalla composizione della formula stessa, che risulta difficile da digerire, o dalle differenze in termini di microbioma intestinale di ogni bambino. In ogni caso il risultato è lo stesso: la funzionalità intestinale non riesce a essere espletata in maniera ottimale. Questo si traduce in un minor numero di evacuazioni, che risultano anche più difficoltose, e bambini che più frequentemente manifestano “disturbi” gastrointestinali.
Si può far fronte a tale inconveniente massaggiando quotidianamente l’addome del bambino, con movimenti circolari e in senso orario, in modo tale da sostenere e stimolare la peristalsi (il lavoro di rimescolamento del contenuto enterico da parte dei muscoli intestinali) e agevolare lo svuotamento del contenuto.
Altro problema a cui si può andare incontro durante l’allattamento misto è quello della compromissione della produzione di latte. Ciò accade soprattutto se la formula viene offerta prima del seno e se si seguono schemi rigidi che, non tenendo conto della specificità di ogni singolo bambino, prevedono l’offerta di quantitativi standard, da aumentare magari repentinamente. A tal proposito occorre sottolineare come il rischio di compromissione della produzione di latte sia elevato se l’integrazione viene fatta troppo precocemente rispetto all’avvio della produzione stessa e se la donna non è adeguatamente accompagnata, sostenuta e informata. Troppo spesso, infatti, nell’immediato post-partum arriva la proposta dell’integrazione senza che ve ne sia una reale necessità, ipotizzando che il quantitativo di latte dei primi giorni sia insufficiente. Occorre invece ricordare quanto siano preziosi quei pochi ml di “oro liquido”, ovvero il colostro, che rappresenta un concentrato di nutrienti e di fattori protettivi in grado di soddisfare pienamente i bisogni nutrizionali e immunitari del neonato.
Una delle difficoltà maggiori che si possono incontrare in corso di allattamento misto è il rifiuto del seno da parte del bambino o una sorta di sua “confusione”. Potrebbe succedere infatti che il piccolo replichi al seno la suzione con le stesse modalità che utilizza per la tettarella. Ricordiamo a tal proposito che lo stimolo sensoriale che il bambino riceve nel cavo orale è diverso: la tettarella è di una consistenza più dura rispetto al seno. Ecco perché è molto importante proporre il biberon con accorgimenti tali da minimizzare le differenze e rendere le due modalità quanto più vicine l’una all’altra.
In ultimo, ma non per importanza, tra i problemi più comuni legati all’allattamento misto vi è il rischio di una sovra-alimentazione. Troppo spesso infatti si offre più di quello che il bambino richiede e vengono ignorati i suoi segnali di sazietà; un atteggiamento, quello dell’adulto, che contiene in sé un significato profondo, non immediatamente esplicito. È come se dicessimo ai nostri bambini: «Sono io a sapere quanto devi mangiare. Il tuo sentire, la tua percezione di sazietà, poco conta». Si fa ancora fatica, purtroppo, ad abbandonare l’idea che l’utilizzo della formula preveda l’attinenza a uno schema standard: l’offerta di un quantitativo prestabilito da incrementare di un tot al giorno e da riproporre indiscutibilmente non prima delle tre ore circa. Il risultato è un beverone molto carico che il bambino “deve” terminare, spesso in un tempo prestabilito dall’adulto. Questo approccio andrebbe decisamente rivisitato in favore di un maggiore ascolto dei segnali che il nostro bambino è in grado di esprimere. Quando si tratta di allattamento, ciò risulta molto più chiaro, perché il concetto di “allattamento a richiesta” è ormai ben consolidato e validato, per l’alimentazione con formula artificiale o l’allattamento misto, invece, bisogna ancora lavorarci su.
Osservare, ascoltare, accogliere i bisogni del bambino e rispondere in modo pronto e adeguato, significa fare un passo indietro rispetto alle idee spesso troppo pretestuose e pretenziose di noi adulti e alle convinzioni fondate su basi scientifiche incerte o nulle.
Offrire latte al bambino, che sia attraverso il seno, con formula o in modalità di allattamento misto, rappresenta il primo gesto di cura che ciascun genitore mette in atto nei confronti del proprio figlio, e sarebbe bello se si spostasse l’attenzione dal concetto di alimentazione sensu stricto a quello di nutrimento inteso nel suo senso più profondo. E questo si può fare solo rimettendo al centro il vero protagonista di questa vicenda: il nostro bambino.
Medico pediatra, IBCLC (Consulente Professionale in Allattamento Materno), insegnante di Massaggio infantile AIMI ed educatrice perinatale MIPA, lavora presso il Policlinico Universitario “G. Martino” di Messina.