Vi siete mai chiesti quando è stato deciso che l’allattamento debba essere regolamentato dall’esterno da norme, indicazioni, quantità, tempi e via dicendo? Quando allattare (a orari? A richiesta?), per quanto tempo, fino a quando, quali cibi mangiare, dove farlo (ne parliamo in questo articolo), quando smettere di farlo…
Regole, rispetto al modo di crescere i bambini, ce ne sono sempre state: tramandate da mamme e nonne, sostenute dalle loro esperienze e accettate (a volte più, a volte meno) per ammessa inesperienza della mamma. A un certo punto, però, alla voce della generazione precedente si sono unite altre “voci” che forniscono indicazioni, norme, prescrizioni, e che minacciano conseguenze catastrofiche nel malaugurato caso che quelle norme non vengano seguite scrupolosamente. E allora alla domanda «Quando è il momento giusto per dire “basta con il seno”?» finiscono per rispondere troppe voci: quella dei medici, quella degli psicologi, quella delle amiche che ci sono già passate, quella delle mamme-che-sanno-e-scrivono-sui-blog, quella della famiglia…
Ce n’è abbastanza per andare in confusione: una condizione del tutto inadatta a scegliere il comportamento più adeguato.
Proviamo a cominciare dal principio: l’allattamento è fin dal primissimo momento una relazione. Una relazione fra una mamma e un bambino, unici e irripetibili, che imparano a conoscersi attraverso quel contatto così speciale che li unisce dopo che si sono “separati” con il parto. È un contatto favorito da spinte fisiologiche, ormonali, ma non solo: l’aspetto culturale influisce inevitabilmente sui comportamenti materni, così come influiscono gli aspetti emotivi e quelli relazionali. Per questo dobbiamo tenere conto del fatto che l’allattamento, per la mamma di oggi, non è solo una relazione con il suo bambino, ma anche con una realtà esterna che osserva, giudica, consiglia, eccepisce, rimprovera, definisce cosa è bene fare.
Il problema è che spesso le indicazioni su cosa è bene fare finiscono per trasformarsi in indicazioni su cosa è obbligatorio fare. E questo può rendere difficile sviluppare e utilizzare il migliore strumento decisionale di cui un genitore dispone: l’esperienza diretta, la conoscenza del proprio bambino, la consapevolezza di quello che accade nella relazione con lui.
Per quanto riguarda l’allattamento materno, è bene tener presente alcuni punti:
È il “come”, è quello che accade fra mamma e bambino durante l’allattamento, fin dai primi momenti, a fare di quell’esperienza una delle basi solide dello sviluppo affettivo del bambino, e della qualità della relazione fra lui, i genitori e il mondo esterno.
Sospendere l’allattamento può essere una scelta oppure una necessità, legata a problemi o esigenze della mamma, a esigenze del bambino, a situazioni di vario tipo che lo richiedono. In ogni caso, si tratta di una circostanza in cui diventa evidente che la relazione fra mamma e bambino comprende anche momenti in cui le esigenze divergono, in cui alle richieste del bambino bisogna dire di no.
Ma non lo si può imparare solo quando diventa necessario: bisogna averlo maturato prima, nella relazione che si costruisce fra mamma e bambino fin dai primi mesi. Come in ogni relazione, i cambiamenti dovrebbero nascere più dall’evoluzione della relazione stessa che da decisioni imposte o da regole esterne.
Nell’allattamento entra in gioco uno degli aspetti più significativi della relazione: l’incontro tra bisogno e richiesta. Allattare amplifica l’esperienza del dare risposta alle richieste del proprio bambino, che non sono solo di nutrimento ma anche di contatto, consolazione, piacere. Rispondere a queste richieste è gratificante e piacevole anche per la mamma, e ciò rafforza la relazione. Ma l’offerta del seno può anche diventare una modalità di risposta indifferenziata a tutti i segnali di malessere, disagio, bisogni del bambino. Una risposta facile e immediata… se non fosse che proprio facilità e immediatezza possono diventare ostacoli alla ricerca di risposte diverse a quei segnali.
Trovare fin dai primi mesi il modo per differenziare la risposta alle richieste del bambino, per aggiungere all’offerta della tetta altri “modi” di contatto e consolazione, permette al bambino di imparare a “tollerare” la mancanza di una soddisfazione immediata, e alla mamma di imparare una cosa che sarà fondamentale nello sviluppo della sua relazione con il figlio: saper dire di no senza sentirsi cattiva, e senza compromettere la relazione di amore con il suo bambino. Questo consentirà a mamma e bambino di arrivare in modo equilibrato al momento in cui il seno non sarà più necessario, come naturale tappa dell’evoluzione affettiva e della relazione fra loro.
Ma è proprio qui che si innescano gli aspetti legati alla dimensione sociale dell’allattamento, e della genitorialità più in generale: cosa succede se la mamma prova a non dare il seno al bimbo che piange? O, al contrario, cosa accade se la mamma decide di prolungare l’allattamento oltre i tempi che la famiglia, o il contesto sociale di riferimento, considerano “giusti”?
Si va dalla riprovazione più o meno muta all’offerta non richiesta di consigli e pareri, alla previsione di danni irreparabili per la salute e l’equilibrio futuro del bambino, che riguardano la sua stabilità affettiva, il rischio di disturbi alimentari… fino ad arrivare all’orientamento sessuale.
Per il benessere e la serenità dei genitori è importante ripetere che non è così: che non esistono modi giusti o sbagliati nell’affrontare questo momento della crescita del bambino, come non esistono scelte e comportamenti che sicuramente provocheranno dei danni.
Il solo ingrediente indispensabile per decidere nel modo migliore il “come” e il “quando” è già presente e disponibile: è l’esperienza quotidiana della relazione con il proprio bambino. È ascoltando meno le “voci” che provengono dall’esterno, e il più possibile quello che ci dice il comportamento del bambino, la sua reazione all’esperienza iniziale di frustrazione, che si impara a regolare le proposte, a evitare rigidità eccessive, a evitare insomma di trasformare una fase della crescita in un momento di tensione e sofferenza per la mamma, per il bambino e per chi è loro vicino.
psicologa, psicoterapeuta della famiglia e docente di counselling alla Scuola di specializzazione in Pediatria dell’Università di Torino, ha elaborato il metodo del counselling sistemico narrativo, che utilizza nella formazione dei professionisti e negli interventi per lo sviluppo delle competenze genitoriali. Ha fondato la scuola di comunicazione e counselling CHANGE di Torino.