Ho due splendidi bambini di cinque e due anni. Ultimamente la grande va in crisi al momento del distacco se la lascio in un ambiente “nuovo”. E sì che è andata al nido dai sei mesi d’età senza mai crisi. Neppure alla materna ha avuto problemi, neanche quando è nato il fratellino, a parte qualche piccolo episodio sporadico.
Ora, finita la scuola, l’ho iscritta a diverse proposte estive, per colmare il vuoto fino a settembre e per proporle attività stimolanti nelle tre settimane prima di andare in montagna tutti insieme; poi starà dalla nonna. La scorsa settimana: piscina. C’è andata tutto l’inverno per il corso di nuoto, ma niente: al terzo giorno ho dovuto andare a prenderla per “mal di pancia e di testa”. Non ne voleva più sapere, diceva che le fanno fare giochi troppo da grandi e che non conosce nessuno, così si isola.
Questa settimana frequenta un agriturismo, dove sono molto bravi: dividono i bambini in gruppi di coetanei e li coinvolgono nella cura degli animali. Ieri mattina: scenata e pianti. L’ho lasciata là. Quando sono andata a prenderla dopo pranzo era tranquilla. Si era inserita nel gruppo, però stamattina la storia s’è ripetuta. Non capisco perché, una volta conosciuto l’ambiente e le persone, continui a soffrire tanto al momento del distacco… per poi divertirsi!
Credo che quelle di sua figlia siano espressioni di “ansia da separazione”, ma questa è solo una parte di quanto sembra accaderle. Sembra, infatti, che sua figlia stia vivendo, in questo periodo, una (normalissima!) crisi di riavvicinamento, che attiva angoscia nei momenti di distacco (in questo articolo parliamo invece dell’ansia da separazione verso le figure di accudimento che si manifesta intorno ai 6 mesi)
Le crisi di riavvicinamento sono fenomeni del tutto normali, molto importanti, purtroppo quasi sempre misconosciuti, che, paradossalmente, sono connessi al fatto che i bambini in quel momento stanno andando avanti nel processo naturale di crescita. Sembra che stiano tornando indietro, ma così non è. Tornano a essere “mammoni”, proprio perché sanno, molto meglio e per molti ambiti della vita, di essere diventati grandi rispetto ai tempi precedenti.
Questa consapevolezza di essere, relativamente a prima, “ormai grandi” produce una forte ansietà: «Accidenti! Adesso che sono grande, ce la farò? Che ne sarà di me? Perderò tutto? Potrò ancora ricevere sicurezza, coccole, amore, riconoscimenti da mamma e papà, come quando ero piccola (o piccolo)? O adesso dovrò arrangiarmi del tutto da sola? D’ora in poi dovrò considerare perduti papà e mamma come mie risorse?».
Proprio per poter tornare a procedere verso il futuro con tutte le competenze, abilità e capacità acquisite, il bambino ha, in questi momenti, assoluto bisogno di sperimentare che può anche essere “piccolo” come prima e può ancora contare sulla comprensione e sul sostegno affettuoso dei genitori, ricevendo ancora attenzioni, coccole e tenerezza.
Ma i genitori di solito reagiscono spazientiti, irritati, arrabbiati, sprezzanti: «Ma come! Hai sempre fatto di tutto, e adesso che sei grande ti metti a far la lagna?! Vergognati!». Niente è più deleterio in quei momenti, perché il bambino ha bisogno di rassicurarsi (spesso basta una settimana intensiva di coccole e attenzioni), per poi ripartire di slancio più di prima.
Si tratta di una fase evolutiva, che passa, anche rapidamente, se si danno adeguate risposte ai bisogni di rassicurazione che il bambino segnala. Sua figlia, del resto, lo dice chiaramente che, in questo momento, ha bisogno di essere trattata più “da piccola”: le fanno fare giochi “troppo da grandi”, e “non conosce nessuno”. Esprime come può e come sa il bisogno di rassicurazione, di ricaricare le batterie affettive. Se lei la rassicura coi fatti (pretendendo meno, coccolandola di più, standole più vicino) e con le parole, queste richieste rapidamente diminuiranno o cesseranno, magari per ripresentarsi brevemente di tanto in tanto.
Quello delle crisi di riavvicinamento è un modello fondamentale di reazione che attiviamo, in tutte le età della vita, di fronte alle situazioni in cui sentiamo la necessità di progredire nei percorsi di realizzazione di noi stessi: i nostri bisogni di rassicurazione balzano in primo piano per l’esigenza di integrarli con i nostri bisogni evolutivi.
Se invece, magari con l’illusoria intenzione di aiutarla, si intestardisse a spingerla ancor più ad affrontare le situazioni “nuove” (che, come lei nota, magari non hanno nulla di nuovo, se non il modo di essere percepite), lei farebbe correre a sua figlia il serio rischio di “fissarsi” su una immagine di sé come incapace, spaventata, ansiosa, che rifugge le situazioni “da grandi” in quanto sentite come sproporzionate. Un bel guaio, soprattutto per il futuro.
Conviene, a questo punto, fare una precisazione: questi non sono capricci, ma espressione di bisogni reali, ancorché transitori, cui è necessario dare risposte dirette.
Ricordo una bambina iper-attivata dai genitori in tantissime iniziative (sport, musica, gruppi…), che un giorno esclamò: «Ma i bambini non vanno mai in vacanza?!». Sentiva gli impegni cui i genitori cercavano di interessarla come fossero obblighi scolastici: magari divertenti, ma soprattutto obblighi, compiti. Attenzione, quindi: se la spinge troppo, ottiene l’effetto contrario e la bambina si aggrapperà sempre più a lei, perché si sentirà:
I bambini che sono stressati da un “iperdosaggio” di attività stimolanti hanno bisogno (come noi adulti) anche di prendersela con calma. Sua figlia si trova spinta a fare tre settimane di vacanza in tre ambienti differenti: forse davvero la vita le sta apparendo come una cosa che pretende troppo da lei.
Coccoli, dunque, sua figlia, che ha davanti a sé l’esempio del fratellino, cui vengono riservate coccole e accudimenti. Ne riservi anche a lei un po’, e la vedrà ripartire con entusiasmo verso il mondo esterno.