L’anticipo scolastico è stato introdotto con la legge 53/2003, che ha stabilito la possibilità di iscrivere alla prima classe della scuola primaria i bambini di 5 anni e mezzo che compiranno i 6 anni entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento. Una possibilità successivamente formalizzata con il decreto legislativo n. 59/2004.
Rimane allora da capire se iscrivere un bambino di cinque anni e mezzo alla scuola primaria sia o meno la scelta giusta da fare.
Generalmente gli elementi che inducono il genitore a prendere questa decisione sono il fatto che il bambino riconosce le lettere o sa già leggere, è “sveglio”, curioso, sa contare, ha una bella chiacchiera e “la sa lunga” su molte cose.
Ma i requisiti che servono per iniziare la scuola hanno poco a che vedere con questi elementi. È invece indispensabile aver raggiunto una certa autonomia, un livello adeguato di attenzione e di concentrazione, una buona maturità cognitiva ed emotiva, oltre che saper rispettare le regole del gruppo.
Un bambino autonomo è capace di tenere a posto i giocattoli, si ricorda dove ha messo le sue cose, sa allacciarsi le scarpe da solo, è in grado di tagliare il cibo con coltello e forchetta, sa vestirsi e svestirsi senza chiedere aiuto. Sono tutti elementi importanti perché a scuola dovrà togliersi e rimettersi la giacca, dovrà cambiarsi le scarpe quando c’è educazione fisica (con poco tempo a disposizione), dovrà rimanere seduto per tutta la durata delle lezioni, avrà del materiale di cui prendersi cura e da non perdere o rovinare, avrà uno zaino da preparare, avrà bisogno che le sue mani siano pronte a usare bene la penna. Dovrà, insomma, dare prova di sufficiente autonomia.
Un bambino che ha raggiunto un adeguato livello di attenzione e di concentrazione dovrebbe essere capace di iniziare un gioco e di concluderlo senza abbandonarlo dopo pochi istanti; dovrebbe saper giocare anche da solo, inventando storie o situazioni senza chiedere continuamente l’intervento di un adulto; dovrebbe partecipare alla gestione della vita domestica, per esempio preparando e sparecchiando la tavola.
Se il bambino riesce a fare queste cose, o altre simili, in autonomia, possiamo immaginare che sarà capace di rimanere concentrato a lungo e questo, una volta seduto al banco di scuola, gli consentirà di svolgere senza difficoltà il compito che gli viene assegnato, sia esso ascoltare una storia, colorare un disegno, copiare dalla lavagna o lavorare con i numeri.
Un bambino che sa raccontare quanto accaduto ieri o l’estate scorsa, che si accorge se gli abbiamo dato una caramella in più o in meno, che distingue chi ha il gelato più grande e chi ne ha uno più piccolo, che è in grado di ascoltare una storia e poi di disegnare – in maniera abbastanza dettagliata – il personaggio che lo ha colpito di più, ha sicuramente le cognizioni di base che gli permetteranno di imparare a leggere, a scrivere e a far di conto senza difficoltà.
Se un bambino reagisce ai no lamentandosi, ma senza esplodere, se il distacco dai genitori non è sempre una tragedia, se di fronte alla frustrazione di un desiderio (per esempio: «Oggi piove e quindi non puoi andare in bicicletta») trova un’alternativa costruttiva, se quando sbaglia prova di nuovo per fare meglio, allora il bambino sarà capace di affrontare l’impegno emotivo richiesto dalla scuola.
Una classe, come dice la psicologa Daniela Lucangeli, è un organismo vivente e ogni bambino che ne fa parte ne determina il clima e la capacità di funzionare in fase di apprendimento ma anche di gioco.
È chiaro quindi che un bambino che sa giocare con gli altri, che sa condividere e collaborare, che rispetta il suo turno, sarà in grado di integrarsi nella classe, di rispettarne le regole e di dare il proprio contributo affinché il gruppo possa apprendere tra i banchi di scuola.
Supponiamo ora che un bambino di 5 anni e mezzo possieda tutti questi requisiti: è il momento di decidere se fargli fare “la primina” oppure no.
Ci sono altri due elementi da prendere in considerazione: il gruppo classe e la perdita di un anno di esperienze.
Alcuni suoi compagni di classe avranno un anno in più rispetto a lui. Il che significa che avranno un anno di esperienze in più e avranno una maggiore dimestichezza con ogni dominio dell’apprendimento. È importante sottolinearlo perché se il nostro bambino di cinque anni e mezzo basa la sua autostima non solo sul fatto che sa fare le cose ma anche sul fatto che è un passo avanti ai suoi coetanei, improvvisamente potrebbe trovarsi ad avere delle difficoltà rispetto agli altri e a non essere più “il più bravo”.
Questa, chiaramente, non è una regola (lo sviluppo globale di un bambino non dipende solo dall’età, ma anche da altri fattori), però rimane una possibilità.
Vale quindi la pena di riflettere se sia il caso di mettere il bambino in una situazione che potrebbe richiedergli uno sforzo maggiore rispetto a quello che gli ci vorrebbe nella stessa situazione, ma posticipata di un anno. Se a un bambino viene imposto uno sforzo eccessivo perderà infatti l’entusiasmo e la motivazione ad apprendere perché lo riterrà troppo difficile.
L’anticipo scolastico comporta necessariamente una privazione: al bambino viene negato un intero anno di gioco, di scoperta del mondo e di fermentazione delle competenze acquisite. Uso l’espressione “fermentazione delle competenze” perché è proprio quello che avviene tra i cinque e i sei anni e mezzo. In questo periodo le esperienze che sono state fatte si trasformano, inizia la fase di astrazione, ed è come se i bambini mescolassero tra loro gli elementi che hanno visto, sentito, provato, scoperto, e li trasformassero mediante una reazione chimica, quale è la fermentazione, per farli diventare un prodotto complesso come il vino o il pane. I bambini, in questa fase, comprendono i nessi tra le esperienze che hanno vissuto e si preparano a formarne di nuovi.
Il consiglio ai genitori che pensano di scegliere l’anticipo scolastico, quindi, è di valutare attentamente tutti gli elementi che abbiamo discusso e di parlarne con le insegnanti della scuola dell’infanzia, con il pediatra ed eventualmente con esperti dello sviluppo e pedagogisti, in modo da avere un quadro della situazione il più chiaro possibile, nell’interesse dello sviluppo del bambino.
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita nell’educazione allo studio di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione ambientale ed extrascolastica e lavora come formatrice per genitori nella provincia di Padova. Dal 2018 scrive per Uppa.