La gravidanza, il parto e il puerperio, come conferma anche l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere (Fondazione ONDA), rappresentano un fattore di alto rischio per l’insorgenza di disturbi affettivi. Come mai un periodo così importante e spesso a lungo atteso della vita si associa così frequentemente a un disagio psicologico?
L’enorme portata e velocità delle trasformazioni corporee, ormonali ed emotive a cui la donna va incontro, rende il periodo che ruota intorno alla nascita estremamente complesso, di estrema vulnerabilità. Per poter integrare il ruolo di madre nella propria vita si rende necessario ricercare un nuovo equilibrio, ridefinendo in modo a volte profondo la propria identità. La responsabilità nei confronti della vita nascente, prima ospitata nel proprio grembo, si fa dopo il parto più concreta e totalizzante, portando con sé un carico inatteso di richieste e incombenze pratiche legate all’accudimento. In assenza di aiuti, è molto difficile trovare uno spazio per l’ascolto di sé e la condivisione dei propri vissuti con il partner o con le altre persone care. Ci si sente soli, ed è frequente provare un vissuto di perdita derivante dalla rinuncia ad alcuni aspetti di sé legati ai ruoli di donna, figlia, compagna o lavoratrice.
Lo psichiatra e psicoanalista statunitense Daniel Stern, fra i principali studiosi nel campo dello sviluppo psicologico infantile, fa riferimento a questo periodo di confusione e cambiamento identitario parlando di nascita psicologica della madre, che deve trovare uno spazio mentale sia per il bambino appena partorito che per i nuovi aspetti di sé.
Nella maggior parte dei casi si tratta di un vissuto transitorio, un baby blues (dall’inglese “blues”, malinconia), che lascerà il posto a una nuova consapevolezza e a nuovi equilibri pratici ed emotivi.
Vediamo più nel dettaglio cos’è il baby blues e quali sono invece i campanelli di allarme che possono far pensare a una depressione perinatale (termine che si riferisce ai disturbi dell’umore con esordio in gravidanza o nel post-parto), che richiede un intervento specialistico.
Con il termine baby blues o maternity blues si fa riferimento a un malessere transitorio che la maggior parte delle donne (8,5 su 10) sperimenta subito dopo la nascita di un figlio. Questa espressione, coniata dal pediatra e psicoanalista Donald Winnicott, ci aiuta a distinguere questa condizione fisiologica di malinconia, che tende a risolversi spontaneamente, da uno stato di depressione più profondo e duraturo.
Le brusche variazioni ormonali che seguono il parto, i repentini cambiamenti che coinvolgono il corpo e lo sconvolgimento della propria vita quotidiana necessitano di tempo per essere elaborati, rendendo la transizione tra la gravidanza, il parto e l’immediato dopo-parto estremamente delicata sul piano emotivo.
Per rendersi conto della complessità del lavoro di rielaborazione personale che la donna compie nel diventare madre, possiamo fare nuovamente riferimento alle osservazioni di Daniel Stern. Come osserva Stern, molte donne, nel nostro contesto culturale, sperimentano una nuova organizzazione degli stati emotivi legati all’esercizio della maternità, da lui definita «costellazione materna», che orienta desideri, timori, aspettative e comportamenti diventando (per un periodo di durata variabile) la loro preoccupazione principale. La costellazione materna può essere descritta attraverso quattro temi centrali, a cui sono correlati specifici compiti funzionali alla sopravvivenza del bambino:
Comprensibilmente, queste preoccupazioni e questo lavoro di crescita personale, possono associarsi a emozioni forti, ambivalenti. Tornando dunque al baby blues, per capire meglio di cosa si tratta e imparare a riconoscerlo, andiamo ora ad approfondire i principali segnali e le caratteristiche fondamentali.
Quali sono le caratteristiche del baby blues? Come anticipato, una delle caratteristiche che ci aiutano a differenziare il baby blues da un disagio patologico è la sua natura transitoria. Se abbiamo un dubbio, possiamo quindi domandarci: quanto dura?
Il baby blues ha generalmente esordio dopo 3-4 giorni dal parto, ovvero poco dopo il rientro a casa per chi sceglie di partorire in ospedale o in clinica, e termina spontaneamente al massimo entro due settimane. Se la durata si prolunga oltre i 10-14 giorni, possiamo sospettare che si tratti di un malessere di altro tipo, per cui è consigliabile richiedere un approfondimento diagnostico.
I sintomi del baby blues sono del resto piuttosto simili a quelli di una lieve depressione:
Si tratta tuttavia di segnali di lieve entità: il baby blues non comporta compromissioni nella vita quotidiana o nella capacità di prendersi cura del proprio bambino.
Una volta riequilibrato il proprio assetto ormonale e prese le misure con i cambiamenti fisici e psicologici in atto, il baby blues passa da sé senza conseguenze psicologiche a lungo termine.
Quali sono le soluzioni per il baby blues? Innanzitutto è importante ricordare che provare emozioni ambivalenti in un periodo così delicato della vita non è indice di patologia.
La narrazione prevalente nella nostra cultura tende a idealizzare la maternità, ignorando o minimizzando le difficoltà e le emozioni negative che vi si accompagnano e non lasciando spazio per la loro espressione.
Accogliere il proprio sentire e le proprie emozioni senza sentirsi “sbagliati” o in difetto è invece fondamentale, sia per affrontare al meglio i momenti più difficili, sia per entrare in una dimensione di ascolto, utile anche per sintonizzarsi con le emozioni e i bisogni del bambino appena nato. Al contrario, reprimere, nascondere o peggio condannare le proprie emozioni, come tendiamo inconsapevolmente a fare per rispondere alle aspettative culturali, non ne consente l’elaborazione e la comprensione, favorendo l’insorgere di un disagio.
Più che parlare di rimedi per il baby blues, dunque, potremmo concentrarci sui bisogni da cui prende origine, attivandoci come comunità per offrire un diverso sostegno ai neo-genitori, in modo da attutire quel senso di solitudine e di inadeguatezza così diffuso e investire nella tutela delle famiglie nascenti, alla base della salute e del benessere futuro.
Vediamo allora alcuni fattori protettivi importanti, che possono aiutare le madri e le famiglie “neonate” a far fronte ai cambiamenti in corso:
In nessun caso è invece di aiuto separare la mamma dal proprio bambino, se non è lei a richiederlo. Piuttosto che distrarre il bambino mentre la mamma sbriga le altre incombenze, meglio allora offrirle un aiuto pratico o portare un pasto pronto, in modo da non ostacolare la creazione di quel legame simbiotico, fondamentale per l’avvio dell’allattamento e della relazione di attaccamento, che passa attraverso il contatto corporeo e lo scambio comunicativo precoce e ininterrotto. Anche in caso di baby blues, anziché sostituirsi alla mamma nell’accudimento con il rischio di alimentare la sua sensazione di inadeguatezza, meglio sostenerla e affiancarla in modo da rinforzare il suo senso di autoefficacia genitoriale e il legame emotivo con il neonato.
Ricevere aiuto e sostegno è di fondamentale importanza anche per poter dedicare del tempo all’ascolto e alla cura di sé e della coppia, non trovandosi così a dover rispondere ai bisogni totalizzanti e impellenti del proprio bambino senza aver trovato uno spazio di accoglienza per i propri (vale naturalmente anche per i neo-papà). La reticenza nel parlare del proprio stato emotivo e nel chiedere aiuto, dovuta in gran parte alla narrazione culturale sopra descritta e alla paura del giudizio, suggerisce la necessità di non limitare gli interventi alla cura di chi soffre in modo conclamato di un disagio psicologico come la depressione perinatale, ma di occuparsi maggiormente di prevenzione, anche attraverso l’ascolto, la condivisione e il rispetto.
Se si sospetta un disagio più profondo, e il malessere non diminuisce con il passare dei giorni, può essere utile sapere che alcune strutture ospedaliere offrono un servizio di psicologia ambulatoriale che si occupa di criticità nel periodo perinatale, o che è possibile rivolgersi privatamente a psicologi con una formazione specifica.
Vediamo intanto quali sono i segnali da non sottovalutare.
Quali differenze tra depressione post-parto e baby blues? Le principali differenze tra depressione post parto e baby blues non sono legate al tipo di emozioni vissute, quanto piuttosto alla persistenza nel tempo e all’intensità della sintomatologia, che in caso di depressione può comportare un certo grado di compromissione delle attività quotidiane. I campanelli di allarme sono quindi i seguenti:
Appartenendo a una cultura in cui il disagio psicologico è ancora oggetto di giudizio (ne è esempio l’abitudine diffusa a riferirsi al disagio come fosse descrittivo di chi lo vive, per cui una persona che soffre di depressione viene etichettata come “depressa”), ritengo importante sottolineare che le cause della depressione perinatale non sono attribuibili a colpe, mancanze o fragilità materne. Eppure, spesso sono le donne stesse che soffrono di depressione perinatale a non ritenere di avere il diritto di sentirsi tristi, infelici o depresse in un momento in cui dovrebbero provare felicità e appagamento (Guedeney lo descrive come “paradosso della madre depressa”), per cui giudicano il proprio vissuto in termini morali, come indice del loro essere “cattive madri”, immeritevoli del proprio bambino.
Come abbiamo visto, il periodo che ruota intorno alla nascita è estremamente critico, e il modo in cui ognuno di noi affronta dei cambiamenti così profondi può dipendere da una molteplicità di fattori, che possono concorrere e interagire.
Al timore del giudizio si aggiunge la tendenza a sminuire o normalizzare il dolore da parte di familiari, amici e talora professionisti, purtroppo molto diffusa. Chi soffre di depressione si sente spesso consigliare di “farsi forza” perché “ci siamo passati tutti”. Il rischio di questo atteggiamento è una forte sottovalutazione della sofferenza psicologica e delle sue conseguenze, che spiega anche la frequente sottostima della diffusione di questa condizione (che coinvolge oltre una donna su quattro, secondo la revisione sistematica condotta da Al-Abri nel 2023).
Indipendentemente dalle sue cause, rivolgersi tempestivamente a un professionista per una valutazione e un supporto psicologico è fondamentale per evitare conseguenze per la salute e il benessere di tutta la famiglia. Basti pensare che, secondo le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) del Regno Unito, la metà delle morti dovute alla salute mentale potrebbe essere evitata attraverso un miglioramento della presa in carico.
Aspettare che la depressione passi da sé può essere molto rischioso. Se sospetti di soffrirne, chiedi subito un aiuto competente, e valuta la possibilità di intraprendere un percorso di psicoterapia.