Non troppo tempo fa si è combattuta una guerra commerciale, condotta a colpi di costosissimi paginoni sui principali quotidiani, fra due note marche di baby food. La questione dibattuta era il cibo per i bambini e la sua sicurezza: è davvero meglio il baby food perché non contiene pesticidi? In più occasioni si sono spese parole a favore di questo tipo di prodotti, ma non ci sono evidenze scientifiche che li facciano ritenere migliori di una sana dieta mediterranea.
Alla fine le posizioni si sono polarizzate fra i sostenitori del cibo speciale, prodotto solo per i bambini piccoli, e i sostenitori di una linea che potremmo definire così: cibo gustoso, sicuro e sano per tutti. Uppa e l’Associazione Culturale Pediatri sono per quest’ultima opzione. A questo proposito, Medico e Bambino, la più diffusa e autorevole fra le riviste pediatriche italiane, riporta un editoriale del pediatra Giorgio Tamburlini, in cui si spiega come la faccenda sia molto più complessa di quanto la pubblicità commerciale vorrebbe farci credere.
L’esposizione ai pesticidi deriva solo in parte dalla presenza di queste sostanze negli alimenti; ci sono pesticidi anche nell’aria che respiriamo, nella polvere presente negli ambienti in cui viviamo, e si usano pesticidi per la coltivazione delle piante in casa e in giardino; perciò se ne ritrovano tracce nel sangue anche di chi sceglie di alimentarsi con prodotti derivanti da agricoltura organica (è questa la giusta definizione, perché il termine “biologico” può generare confusione).
Certamente l’uso di questi alimenti minimizza o azzera l’ingestione di prodotti antiparassitari, ma, a onor del vero, anche i cibi industriali non organici devono rispondere a normative europee molto severe sotto questo aspetto. Tuttavia, occorre anche considerare che una parte di questi alimenti potrebbe venire da Paesi esterni all’Unione Europea, in cui la legislazione è meno restrittiva.
La maggiore suscettibilità dei bambini alle sostanze potenzialmente tossiche è concentrata nella vita intrauterina, nel periodo neonatale e nei primi mesi di vita: periodi tutti precedenti allo svezzamento (l’età del baby food) o all’alimentazione complementare a richiesta (che è quella che noi preferiamo, l’epoca cioè in cui il bambino comincia a mangiare quello che si mangia in famiglia).
Alla gravidanza non si sfugge e all’allattamento al seno proprio non vorremmo rinunciare, anche se sappiamo che dove l’inquinamento è più elevato si possono trovare tracce di inquinanti nel liquido amniotico e persino nel latte materno. E allora come si fa? Non c’è che una strada, ed è quella di puntare la nostra attenzione sulla tutela dell’ambiente e del cibo di tutti: meno inquinanti per tutti, meno esposizione del feto in gravidanza e del neonato allattato al seno.
Quanto alle campagne pubblicitarie, ognuno, si sa, tira l’acqua al proprio mulino e non ci meravigliamo affatto che una ditta vanti la maggiore sicurezza di questo o quello dei suoi prodotti; ma da qui a dire che quei prodotti sono veramente migliori di altri ce ne corre: i dosaggi e i paragoni si fanno scegliendo le sostanze che si vogliono cercare e su cui si vuole attrarre l’attenzione dei consumatori.
Senza contare che è anche capitato che si esageri nel paventare effetti nocivi di questa o quell’altra sostanza, come è accaduto per esempio a proposito del metilmercurio, sulla presenza del quale si è lanciato un allarme che ha provocato una diminuzione del consumo di determinati tipi di pesce, anche se poi una ricerca ha dimostrato che la presenza di tale sostanza in questi pesci, pescati nell’alto Adriatico, non aveva alcuna influenza sullo sviluppo neurologico dei bambini.
Un’ottima misura per la tutela dell’ambiente è anche la diffusione crescente fra le famiglie dell’acquisto di prodotti alimentari da produttori qualificati, in zone vicine a quelle in cui si risiede (gruppi di acquisto, diffusione dei cosiddetti farmer’s market, in cui i produttori locali vendono direttamente ai consumatori): non solo si riduce il trasporto degli alimenti, con indubbi vantaggi per l’economia e l’ecologia, ma si favorisce un rapporto diretto e fiduciario fra consumatori e produttori che è già di per sé una garanzia ben più concreta della scelta di “alimenti speciali”.
Che se poi di food vogliamo parlare, non è il baby food quello su cui dovremmo concentrarci, ma piuttosto il junk food, il cibo spazzatura, economico e spesso anche appetibile, ma dannoso per la scarsa qualità dei suoi componenti. Perciò possiamo dire che l’obiettivo dei pediatri, e di Uppa che è un po’ la voce dei pediatri italiani che parla alle famiglie, non è quello di promuovere una marca di biscotti o di semolino anziché un’altra, ma quello di indurre quanti più genitori possibile ad adottare stili alimentari e di vita sostenibili.
Se raggiungessimo, anche in minima parte, questo obiettivo, ci potremmo ritenere più che soddisfatti. Con buona pace delle industrie che producono alimenti più o meno speciali e delle guerre commerciali che si fanno l’una con l’altra.
pediatra e giornalista, ha esercitato per quarant’anni come pediatra di famiglia nel Servizio Sanitario Nazionale e ha fondato nel 2001 il bimestrale per i genitori «Un Pediatra Per Amico», che ha diretto per 16 anni. Attualmente è un pediatra libero professionista.