Sfido chiunque a trovare un asilo nido dove non si tema il “morsicatore”. Spesso le educatrici non sanno come comportarsi: sanno che il mordere per un bambino piccolo è qualcosa di normale, ma non sanno cosa fare quando devono consegnare ai genitori un bambino marchiato. Eh sì, perché una delle caratteristiche principali per cui il morso spaventa tanto è che lascia il segno. Bambini e bambine si portano un bell’orologio per giorni, il segno dei dentini rimane e questo spesso spaventa.
Capita che i genitori dei morsicati si arrabbino, perché considerano il proprio bambino vittima di qualche lupetto famelico; i genitori del morsicatore, al contrario, vivono un profondo senso di colpa e talvolta usano metodi non tradizionali per tentare di far smettere il proprio bambino. È importante aiutare genitori ed educatori a comprendere questo fenomeno fisiologico, passeggero, sicuramente relativo a una precisa fase dello sviluppo del bambino.
Diciamo subito che non tutti i bambini mordono e non tutti con la stessa intensità o frequenza. Un bambino o una bambina entro l’anno di età morde per conoscere. Già a partire dai 6-8 mesi un bambino tende a portare tutto alla bocca, esplora il mondo attraverso questo organo di senso fondamentale.
Durante l’allattamento utilizza la bocca per far entrare il cibo, quindi per superare il disagio dovuto alla fame e riconciliarsi con il mondo, con la mamma che soddisfa questo suo bisogno. È proprio per questa caratteristica che la bocca è l’organo più importante, per un neonato e un lattante, per esplorare e conoscere. Questo mettere in bocca tutto tendenzialmente riguarda anche i coetanei: immaginiamo bambini che si assaggiano a vicenda, si sperimentano, provano a vedere l’effetto che fa. Dopo l’anno il piccolo incomincia a capire che il mordere può essere una modalità comunicativa con l’altro: «Lasciami stare»; «Non mi dare fastidio»; «Dammi quell’oggetto che è mio».
Più il bambino cresce, più il morso viene utilizzato quando c’è frustrazione, disagio, insoddisfazione. Solo dopo i 2-3 anni diventa un modo per esprimere deliberatamente le proprie emozioni – come la rabbia – e quindi può essere utilizzato per intimidire i coetanei.
Sono questi “inquinamenti” che non consentono di collocare il morso di un bambino dentro una cornice corretta.
La domanda che abitualmente viene posta da educatori e genitori è: «Ma come mi devo comportare? È giusto punire o devo lasciar fare?».
Innanzitutto è importante poter partire dalla considerazione che i bambini e le bambine hanno il diritto di sperimentare, esplorare, trovare accordi tra di loro. Per far questo hanno bisogno di adulti (genitori, educatori, nonni) che non li giudichino ma che siano presenti e rispettosi. Adulti non giudicanti significa adulti capaci di osservare le dinamiche infantili dando loro il giusto spazio e intervenendo solo se si intravede una difficoltà reale. Noi adulti spesso pecchiamo di interventismo; nel momento in cui vediamo un bambino che alza una mano nei confronti dell’altro lo fermiamo, senza aspettare di vedere che cosa realmente il bambino sta facendo e privando l’altro dell’opportunità di dire la sua, di difendersi o restituire.
Carichiamo spesso di eccessivo moralismo il nostro agire educativo impedendo ai bambini di fare esperienza. In realtà i bambini sono competenti nelle loro relazioni, sanno negoziare anche se non sanno ancora parlare, hanno capacità empatiche a partire da piccolissimi. Dobbiamo solo fidarci di loro.
Per gestire i bambini che mordono ci sono dei comportamenti che vanno evitati e altri che sarebbe opportuno poter assumere, vediamo quali.
Il mordere è un’attività fisiologica del bambino, ma vi sono alcuni casi in cui il piccolo esprime un disagio forte che va tenuto in considerazione. Dopo i 24-30 mesi il mordere frequentemente e apparentemente senza motivo può essere il campanello d’allarme che qualcosa non funziona. Potrebbe essere il segnale di un disagio: la nascita di un fratellino che fa sentire il piccolo messo da parte, un trasloco dove il cambiamento degli ambienti disorienta il bambino, la separazione dei genitori, un lutto in famiglia.
Potrebbe anche essere dettato da un comportamento genitoriale eccessivamente rigido, eccessivamente autoritario o da una richiesta di essere sempre felice e all’altezza delle situazioni.
È importante poter osservare il bambino a 360 gradi in vari ambiti e capire se c’è il bisogno di qualche attenzione speciale. Ovviamente in questi casi è assolutamente necessario il confronto con i genitori ed eventualmente ci si può rivolgere a una figura di supporto.
Formatrice e consulente educativa nell’area prima infanzia, adolescenza e genitorialità, fa parte dello staff del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione di conflitti di Piacenza, è vicedirettrice della rivista «Conflitti» e fino al 2020 presidente del CESI (Centro Solidarietà Immigrati, associazione di mediatori linguistico-culturali) di Udine. È scrittrice di numerosi saggi e libri di narrativa per ragazzi e adulti. È anche un’insegnante di yoga.