In uno dei primi numeri del 2015, abbiamo approfondito la tematica tutta attuale del rapporto tra bambini e tecnologia digitale. Smartphone, cellulari, tablet e chissà quali altri dispositivi saranno tra le mani della generazione touchscreen. Vincenzo Calia, pediatra di famiglia, intervista Paola Cosolo Marangon, consulente e educatrice del Centro Psicopedagogico di Piacenza.
Partiamo con una domanda diretta, oggi queste tecnologie nell’educazione dei bambini sono un male o un bene?
Per quanto possa sembrare strano, questa è una domanda difficile. Sicuramente le nuove tecnologie non vanno demonizzate. Potrei dire che sono un bene se siamo consapevoli di come utilizzarle e se il genitore educativo è un genitore che facilita, con norme e regole, il corretto avvicinarsi alle nuove tecnologie, aiutando dunque i piccoli a entrare in confidenza con esse, sempre tenendo presente il loro sviluppo e le diverse possibilità e bisogni che caratterizzano ogni età.
Ogni giorno nel mio ambulatorio arrivano famiglie con telefoni, tablet, e spessissimo, anche in caso di bambini di sette, otto o dieci mesi, vedo che i genitori utilizzano questi strumenti per distrarre i propri figli, per farli stare buoni o far loro aprire la bocca per farsi visitare. Una volta tutto questo si faceva mettendosi in rapporto con il piccolo. Questo uso così precoce e compiaciuto da parte dei genitori, quasi fieri di vedere come il bambino tocca anche solo con il ditino lo schermo, è un comportamento appropriato?
No, non è assolutamente un rapporto appropriato. Aiutare i bambini ad avvicinarsi alla tecnologia non significa questo. Quello che tu vedi è quello che si può riscontrare anche solo girando per strada, la classica scena del bambino che protesta e si ritrova il babysitter-smartphone a farlo tacere. Il punto è che il fascino di questi oggetti è altissimo perché sono portatori di grandi stimoli.
Il bambino, curioso com’è e attento a tutte le novità e a tutte le cose, è chiaramente capacissimo anche di manovrare questi dispositivi. Non per niente, questi bambini sono parte della cosiddetta generazione touchscreen. Non mi piace pensare al tempo passato con nostalgia, ma mi chiedo come mai non abbiamo la pazienza di far stare tranquillo un bambino utilizzando altre strategie, o anche di lasciarlo manifestare liberamente le sue emozioni del momento, ad esempio piangere.
Mi viene da pensare alla bicicletta: è naturale che a 8 anni un bambino la utilizzi per correre e giocare, ma se mi immagino un bambino di un anno in sella appare chiaro che non è uno strumento appropriato alla sua età. Vale la stessa cosa per la tecnologia digitale? Sono forse necessarie regole basate sull’età, posto che a ogni fase della crescita corrispondono strumenti e utilizzi diversi?
Io dico sempre ai genitori che dare uno smartphone ai ragazzini senza spiegare come e perché si usa è come dar loro le chiavi della macchina senza che questi abbiano la patente. Dalle nostre valutazioni emerge che prima dei 3 anni un bambino non dovrebbe entrare in contatto con i dispositivi tecnologici.
Questo perché in tale fase il bambino sta imparando a entrare in contatto con il mondo e con le dimensioni della vita reale. Metterlo davanti a un dispositivo che crea una finta relazione, posto che nell’utilizzare tali strumenti si attivano al massimo solo due sensi, è una cosa di cui il bambino non ha bisogno. Invece, l’infante ha bisogno di toccare, sentire, ascoltare, manipolare, sporcarsi, arrabbiarsi e, soprattutto, di entrare in relazione.
Fino ai 3 anni, quindi, zero tecnologia. La cosa che mi inquieta è però l’abitudine di alcuni genitori di far addormentare il bambino con la musichetta dello smartphone all’orecchio. Spesso si pensa che ciò vada bene, perché la musica è bella e perché magari funziona, ma tale atteggiamento è fortemente sbagliato. Sarebbe utile ritornare alla ninna nanna o alla favoletta, ristabilendo la relazione tra noi e i nostri figli.
Fino a 3 anni zero schermi, peccato che il genitore arriva a casa e parte del tempo in famiglia si passa sbirciando, guardando o scrivendo sul telefono. Non si dovrebbe dunque passare al divieto di utilizzo anche per i genitori stessi?
Certo sarebbe utile, solo che è difficile vietargli qualcosa. Chi siamo noi per dire a un genitore di non utilizzare i propri dispositivi? Oltretutto, c’è una consapevolezza che forse manca. Il bambino apprende imitando, soprattutto tra i 3 e i 6 anni, e questo è un momento importante perché dovrebbe fare da spia al genitore, consentendogli di imparare ad autoregolamentarsi nell’utilizzo della tecnologia digitale.
Noi adulti, nati prima degli anni Novanta, facciamo parte dell’epoca analogica e dobbiamo ammettere che siamo innamorati pazzamente di questi dispositivi al punto non solo da utilizzarli, ma spesso da farci utilizzare da essi. Dare delle regole diventa perciò fondamentale per aiutare i bambini a capire che questi strumenti non sono un diretto prolungamento del nostro braccio, come purtroppo invece accade.
Qualche consiglio in più sulle regole da adottare?
Prima di tutto sarebbe bene far sì che il primo contatto tra il bambino e lo smartphone avvenisse insieme al genitore. A 6 o 7 anni, il gioco sul tablet insieme a mamma e papà è lecito (ne parliamo anche nel nostro articolo Dieci cose di cui bambine e bambini non hanno bisogno).
Altra cosa importante è l’utilizzo della rete controllato da parte dell’adulto (“parental control”). Inoltre, il bambino deve navigare con regole precise e orari precisi perché la rete è una droga, ne veniamo catturati e non ci rendiamo conto del tempo che passa. Importantissima è la capacità di spegnere i dispositivi, soprattutto di notte. Sta capitando che spesso i ragazzi si sveglino durante la notte per vedere se ci sono messaggi.
In conclusione, parliamo di scuola. Ormai, tutti i ragazzi più grandi hanno i cellulari connessi a Internet, magari per chattare con il compagno di banco come una volta si faceva con il classico biglietto. Come facciamo a governare tutto questo?
È del 2007 una normativa del Ministero dell’Istruzione che vieta l’utilizzo dei cellulari, dicasi lo stesso per smartphone e tablet, durante gli orari di lezione. Tale regola vale sia per gli studenti che per gli insegnanti. Già rispettare la norma sarebbe un buon inizio.
Seconda cosa, bisognerebbe creare maggiore coesione tra il mondo della scuola e quello della famiglia. Ci sono molte resistenze anche da parte dei genitori nel non dare il cellulare ai propri figli perché c’è una mancanza di fiducia nella capacità del bambino di essere autonomo e di autoregolarsi. Questo eccesso di accudimento innesca nel bambino un senso di frustrazione per le ore che passa fuori casa. Si è visto che negli ambienti scolastici in cui le regole vengono rispettate, i bambini riescono ad apprendere molto di più, perché sono concentrati su quello che fanno.
pediatra e giornalista, ha esercitato per quarant’anni come pediatra di famiglia nel Servizio Sanitario Nazionale e ha fondato nel 2001 il bimestrale per i genitori «Un Pediatra Per Amico», che ha diretto per 16 anni. Attualmente è un pediatra libero professionista.