Bambini che corrono tra i tavoli e lanciano il cibo al ristorante, urlano al supermercato, disturbano in aereo, rispondono in maniera sgarbata agli sconosciuti. Probabilmente ci sarà capitato di osservare da vicino scene simili. Cosa abbiamo pensato di questi bambini? E dei loro genitori?
«Che maleducati!» è quanto di solito viene in mente a chi si sente infastidito da tali comportamenti. L’aggettivo, rivolto ai piccoli come rimprovero, si riferisce anche agli adulti, responsabili di una “cattiva” educazione. Le reazioni possono essere diverse: c’è chi sbuffa, chi si rivolge ai genitori, chi direttamente ai piccoli, chi richiama l’attenzione del personale. La cronaca ci racconta di locali che vietano l’ingresso ai bambini, del ristoratore che inventa lo sconto “bambini educati” e di quello che minaccia di far lavare i piatti agli indisciplinati. Scelte differenti che accendono discussioni, creando spesso fazioni opposte tra adulti con figli e senza, tra genitori che pensano sia giusto dare delle regole e genitori che difendono l’assoluta libertà dei piccoli.
«I bambini dovrebbero essere visti ma non sentiti» recitava un vecchio detto che oggi ci appare assai poco rispettoso dei più piccoli, ma riflette le aspettative sociali di un tempo: i bambini dovevano fare bella figura senza interferire con la vita degli adulti. Attraverso l’educazione familiare e scolastica venivano trasmesse le “buone maniere”, una rigida collezione di precetti a cui bisognava conformarsi nelle relazioni sociali, per uscire velocemente dallo stadio infantile e diventare adulti. Nel tempo molto è cambiato e la pedagogia moderna si è caratterizzata per la “scoperta del bambino”, un profondo ripensamento sia degli obiettivi sia dei metodi e dei contenuti dell’educazione. Il bambino viene riconosciuto come soggetto attivo della relazione educativa e l’infanzia diventa un periodo fondamentale per la crescita, con sue caratteristiche specifiche da conoscere e valorizzare. E le buone maniere? Inutili retaggi del passato?
Salutare, dire «grazie», «prego», «scusa», chiedere permesso, se proposti come buone abitudini, possono aiutare il bambino a scoprire e fare proprie le regole del vivere sociale. Comprendere che esiste un “altro”, con bisogni e desideri diversi dai nostri, esercitare il rispetto e la gentilezza, imparare ad avere pazienza, ad aspettare il proprio turno sono comportamenti che si interiorizzano con la pratica quotidiana. Il bambino, nelle prime fasi della sua vita fisiologicamente “concentrato” su sé stesso, si apre pian piano al mondo e impara a vivere insieme agli altri: con il forte desiderio di imitare tutto ciò che vede, segue l’esempio degli adulti di riferimento.
Le buone abitudini, quando sono condivise in famiglia, assumono quindi un grande valore educativo. Se la mamma di Giulia abbassa la voce quando entra in biblioteca, per non disturbare, la piccola sarà naturalmente portata a fare altrettanto. Se il papà di Marco, al ristorante, porge il piatto al cameriere ringraziandolo con un sorriso, il bambino vorrà imitarlo. Ovviamente vale anche il contrario! Tali abitudini assumono una connotazione morale, aiutando il piccolo a distinguere e interiorizzare un modo “giusto” o “sbagliato” di comportarsi. Con il tempo, e il progressivo affinamento del pensiero critico, questi stessi insegnamenti morali verranno rivisti, elaborati, messi in discussione.
Le regole della cosiddetta buona educazione si apprendono anche nella relazione con i coetanei: le comunità infantili rappresentano contesti ricchi di opportunità per allenare le abilità sociali attraverso il gioco e le interazioni spontanee con altri bimbi.
In un locale pubblico, un bimbo fa “il diavolo a quattro” infastidendo tutti i presenti. I genitori continuano indisturbati le loro faccende e, anzi, si arrabbiano se qualcuno fa notare che dovrebbero trovare il modo di intervenire. È una scena che si vede spesso, ma non ci autorizza a fare di tutta l’erba un fascio. Tante altre volte, infatti, davanti ai nostri occhi abbiamo una mamma stanca che, in fila alla posta, allatta un neonato e tenta al contempo di calmare il grandicello più “pestifero”; o un nonno che non vorrebbe comprare le caramelle alla nipotina, ma non sa come consolarla quando esplode in lacrime alla cassa del supermercato. Il “mestiere di educare” non è semplice, ma diventa ancor più complesso quando siamo da soli ad affrontare le difficoltà: quanti genitori si sentono in colpa o inadeguati di fronte al comportamento dei loro bambini! In situazioni del genere sarebbe bello che gli adulti facessero la loro parte offrendo il proprio aiuto, con delicatezza, senza giudizi o consigli non richiesti: rivolgere un sorriso, dare la precedenza alle famiglie in fila, raccontare una storia divertente con cui intrattenere il bambino… sono piccoli gesti che possono fare la differenza.
Buone abitudini, esempio degli adulti e giochi con i coetanei: sembra facile! Come mai allora vediamo spesso bambini “incapaci” di rispettare le regole di convivenza sociale? È utile tenere presente che:
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione e accompagnamento alla morte e all’esperienza della perdita, si occupa di famiglie adottive e lavora come formatrice per gli operatori di nidi e scuole dell’infanzia nella provincia di Messina. È stata vicedirettrice di Uppa magazine dal 2018 e dal 2022 ne è diventata direttrice.