Alla nascita, i neonati possiedono già alcune capacità percettive, sia pure a uno stadio iniziale: possono individuare degli oggetti con lo sguardo e prestano attenzione ai suoni, prevedendo che anticipino qualcosa da osservare. In questo caso il loro ritmo cardiaco decelera, indicando un aumento dell’attenzione, ma se lo stesso stimolo sonoro si ripete più volte (per esempio se la stessa persona chiama ripetutamente il piccolo per nome), tale risposta fisiologica si attenua, poiché si instaura una forma rudimentale di apprendimento: l’assuefazione.
Per adattarsi all’ambiente di vita, un bambino piccolo non deve soltanto essere in grado di recepire diversi messaggi sensoriali, deve anche elaborarli e integrarli tra loro per costruire un’immagine composita della realtà. Già a pochi giorni di vita i neonati sanno seguire visivamente un suono, come quello di un campanellino che si muove nello spazio: ciò indica un’integrazione visivo-uditiva e la capacità di collegare movimenti a percezioni sensoriali.
Più avanti, tra i 4 e i 6 mesi, i lattanti dimostrano di conoscere in maniera piuttosto complessa alcuni aspetti della realtà; per esempio, hanno la percezione di oggetti nascosti e si rappresentano i rapporti tra oggetti nello spazio tridimensionale. Immaginiamo di mostrare a un bambino piccolo una palla e di porla poi sul pavimento, dietro a una tavoletta che la nasconde. Se abbassiamo la tavoletta, questa si arresterà a metà percorso perché bloccata dalla palla. Se però facciamo scomparire la palla senza che il neonato se ne accorga, la tavoletta non incontrerà alcun ostacolo e potremo abbassarla fino al pavimento. Quest’ultima situazione sorprende i lattanti, perché si aspettano che la palla sia ancora al suo posto e fermi la discesa della tavoletta. La capacità di comprendere che qualcosa non cessa di esistere solo perché scompare alla vista è un aspetto fondamentale dello sviluppo della mente infantile ed è definito dagli psicologi con l’espressione “permanenza dell’oggetto”.
Si tratta di una capacità che matura rapidamente nel corso dei primi mesi di vita. Se un’automobilina viene nascosta dietro uno schermo, e poi viene fatto uscire un camioncino, i bambini reagiscono in modo diverso a seconda dell’età: i più piccoli, di 5-6 mesi, continuano a seguire con gli occhi il secondo oggetto, attratti dal suo movimento, e sembrano non fare caso alla scomparsa dell’automobilina; quelli di 12-15 mesi, invece, cercano l’automobilina dietro lo schermo, mostrando di essere consapevoli della sua scomparsa.
I bambini più piccoli, insomma, per stabilire l’identità degli oggetti seguono regole puramente “spaziali”: si basano sulla loro posizione (se si tratta di oggetti fermi) o sulla loro traiettoria (se si tratta di oggetti in movimento), senza tenere conto né dell’aspetto dell’oggetto né del fatto che possa essere nascosto. In una fase più matura si rendono conto di essere in presenza di due oggetti diversi: la regola “spaziale” viene soppiantata dalla regola “figurativa”. Con il passare dei mesi i bambini diventano quindi in grado di pensare a oggetti – e ad azioni – che si trovano al di fuori del loro campo visivo, rappresentandoseli mentalmente.
Ma se i bambini possiedono così precocemente la nozione di permanenza dell’oggetto, perché si osservano di frequente dei comportamenti cosiddetti “perseverativi”? Facciamo un esempio: quando un oggetto viene nascosto più volte nello stesso posto e poi in un posto nuovo, i bambini piccoli tendono a fissare quest’ultimo ma continuano a cercare l’oggetto nel luogo in cui era stato nascosto più spesso. Una spiegazione plausibile è che abbiano già una rudimentale capacità di rappresentarsi mentalmente l’oggetto, grazie alla memoria di lavoro, ma siano “vittime” dell’immaturità della loro corteccia frontale, che deve ancora svilupparsi in maniera adeguata. Si tratta di un’ipotesi in linea con le osservazioni cliniche condotte negli adulti con traumi alla corteccia frontale che impediscono un pieno esercizio delle sue funzioni. Queste persone adottano lo stesso tipo di “comportamento perseverante” tipico dei lattanti: continuano a ripetere le medesime azioni di risposta e non sono in grado di modificare il proprio repertorio motorio-comportamentale.
In età prescolare i bambini possiedono numerose altre capacità. È stato dimostrato, per esempio, che già a 2-3 anni sanno distinguere tra entità diverse in base al numero: se si mostrano loro varie figure basate su serie di due (due pesci, due mele, due triangoli…), tendono ad annoiarsi (o ad abituarsi), e ciò si traduce in un ridotto tempo di osservazione. Se però a questo punto mostriamo loro due nuove figure, una con due gatti e l’altra con tre, i bambini guarderanno più a lungo la seconda, il che è indice di rinnovata attenzione (lo stesso si verifica se le serie iniziali sono di tre e si passa poi a una figura di due). In sostanza, i bambini hanno il senso del numero.
I bambini di 2 anni, inoltre, riconoscono la progressione numerica fino al 4 o al 5, come dimostra questo piccolo esperimento: al bambino vengono mostrati due vassoi, uno con due scatolette e l’altro con una sola scatoletta. Quello con due scatolette è “vincente” e dà diritto a un premio. Se successivamente mostriamo di nuovo i due vassoi, questa volta con tre scatolette su uno e quattro sull’altro, oppure quattro e cinque, i bambini sceglieranno sempre il vassoio con più scatolette, per ricevere il premio (anche nel caso in cui le scatolette più numerose siano più piccole di quelle meno numerose). L’esperimento evidenzia che già a quest’età i bambini, pur non sapendo contare o definire verbalmente 3, 4 e 5, sono in grado di comprendere i valori numerici.
In poche parole, non è necessaria la presenza di un linguaggio sviluppato per supportare il pensiero numerico e, più in generale, la mente del bambino “funziona” già prima di iniziare a parlare.
professore emerito di Psicobiologia presso l’Università Sapienza di Roma, ha lavorato in numerosi istituti di ricerca internazionali. Dal 1976 al 2002 ha diretto l'Istituto di psicobiologia e psicofarmacologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche. È autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche, di saggi professionali, didattici e di divulgazione.