A proposito della pandemia di COVID-19, la malattia dovuta al nuovo Coronavirus, si è parlato spesso di “infodemia”. Con questa parola si indica il caos di informazioni in cui i fatti acclarati e verificati si mescolano alle voci prive di fondamento o ai dati provvisori suscettibili di revisioni anche sostanziali. Il risultato? In un marasma del genere è sempre più difficile orientarsi, perché non si capisce bene a quale delle tante informazioni contraddittorie si possa credere. Vediamo nel dettaglio cosa sta accadendo.
L’effetto infodemia è amplificato dal fatto che questa nuova malattia suscita grande angoscia in tutti noi, perché appare molto contagiosa e gli studi per elaborare terapie e vaccini sono ancora all’inizio del loro lungo percorso. È per questo che i media – quelli tradizionali, come stampa, radio e TV, ma soprattutto quelli più recenti, ovvero siti web e social – sono ormai il regno delle fake news. D’altra parte, la psicologia e la teoria dell’evoluzione hanno da tempo messo in evidenza la naturale predisposizione degli esseri umani al complottismo. La nostra specie si è evoluta in un ambiente pericoloso, nel quale la tendenza a immaginare continuamente l’esistenza di pericoli nascosti poteva salvarci la vita, così come la capacità di intuire nessi causa-effetto. Purtroppo questo meccanismo evolutivo tende a farci sospettare l’esistenza di complotti e losche trame anche quando non ci sono, o a individuare nessi causali anche tra eventi tra loro scollegati. È su questo terreno fertile che le bufale prosperano, e oggi, come sappiamo, la loro diffusione è rapidissima, soprattutto perché non sempre si presta grande attenzione a ciò che si legge e poi si condivide. Esaminiamone insieme alcune e approfittiamo dell’occasione per ribadire qualche importante regola, utile per evitare di amplificare una confusione che, invece di ostacolare l’avanzata del virus, la favorisce (a tal proposito, leggi anche il nostro articolo Bambini e Coronavirus: le domande frequenti)
La risposta è no. Teorie di questo tipo derivano da un diffuso sentimento di paura e sospetto nei riguardi dei progressi della scienza moderna, che viene contrapposta a una rappresentazione idealizzata dei cosiddetti “bei tempi andati”. A seconda delle varianti, ma sempre senza alcun fondamento, il virus della COVID-19 viene presentato come creato appositamente in laboratorio e brevettato, oppure sfuggito incautamente al controllo. Per esempio, si punta il dito su un brevetto del 2015 concesso nel 2018, che però riguardava un altro coronavirus, un patogeno che colpisce il pollo domestico. Altri accusano invece il National Biosafety Laboratory di Wuhan – la città in cui l’attuale pandemia si è manifestata per prima – di aver incautamente diffuso il virus. Non esiste alcuna prova di questa affermazione e, stando alle evidenze scientifiche, si ritiene invece probabile che il virus abbia avuto origine dal commercio di animali selvatici. In altre versioni di questa teoria complottista, lo stesso laboratorio è messo al centro di una serie di immaginarie trame politico-economiche. Come sempre, le prove non esistono e le contraddizioni abbondano.
Sempre nell’ambito della diffusa paura nei riguardi della tecnologia e della scienza moderne, gli organismi geneticamente modificati (OGM) sono spesso stati collegati, per lo più a sproposito, a rischi di vario genere. Una recente tesi, del tutto priva di fondamento scientifico, sostiene che la COVID-19 possa essere stata favorita dalle presunte perturbazioni degli ecosistemi dovute agli OGM, che avrebbero favorito il passaggio del virus dagli animali alla specie umana.
Sulle bacheche dei social, in questi giorni, è stato diffuso un avviso che invitava tutti a ritirare la biancheria e a mettere al riparo gli animali domestici per via della prevista sanificazione notturna tramite elicotteri «come in Cina». Peccato, però, che non si siano registrate sanificazioni eseguite con questo mezzo né in Cina né tantomeno in Italia. In Cina le disinfezioni di massa degli ambienti urbani sono state comuni, ma eseguite con altri mezzi e “da terra”, e lo stesso sta cominciando ad avvenire in Italia, in diversi luoghi, anche se permangono forti dubbi in merito all’utilità e all’impatto ambientale di questa pratica.
Secondo una teoria priva di fondamento, i problemi respiratori dovuti alla COVID-19 sarebbero la conseguenza non della malattia ma degli antinfiammatori adoperati per la terapia. In questo, come in molti altri casi, ogni semplificazione di un discorso complesso e in continua evoluzione è inopportuna. Innanzitutto, è bene specificare che la categoria degli antinfiammatori comprende molecole molto diverse tra loro, con impieghi ed effetti distinti: impossibile mettere tutto nello stesso calderone. Le terapie che sono in corso di sperimentazione per questa malattia comprendono anche degli antinfiammatori, in alcuni casi con risultati promettenti, ma è ancora molto presto per esprimere un giudizio definitivo. Sono stati sollevati dei dubbi relativamente ad alcuni antinfiammatori, come l’ibuprofene, di recente ripresi anche dal Ministro della Salute francese, ma ogni affermazione troppo radicale in questa fase è senz’altro inopportuna. In ogni caso, l’invito del ministro francese è quello di affidarsi ai medici, evitando un pericoloso fai da te nella scelta delle cure.
Per ogni nuova malattia sorgono voci legate a presunte terapie o cure preventive. Nel caso della COVID-19, sono soprattutto presunti metodi per prevenire il contagio a essere chiamati in causa, naturalmente senza alcuna prova. Tra quelli più gettonati, la vitamina C, che ha registrato, in alcuni casi, un boom delle vendite – o la corsa ad accaparrarsi arance, che iniziano a scarseggiare in alcuni supermercati. Tutto ciò nonostante manchi l’evidenza di qualsiasi effetto profilattico di questa vitamina sulla COVID-19. Naturalmente, un’alimentazione sana contribuisce in generale a mantenere l’organismo e il sistema immunitario in buone condizioni, ma non bisogna affidarsi a presunti toccasana per prevenire i contagi, bensì attenersi rigorosamente alle norme di contenimento.
Le raccomandazioni per evitare i contagi, nelle circostanze in cui la necessità imponga di uscire, prescrivono di mantenersi a una distanza di almeno un metro dalle altre persone e di evitare assembramenti, per non essere raggiunti dalle goccioline emesse parlando, tossendo o starnutendo, che sono veicolo del virus. Di recente si è però diffusa la notizia di una ricerca che avrebbe dimostrato la possibilità del contagio anche a più di 4 metri di distanza. La fonte era, però, uno studio condotto su un solo caso e pubblicato su una rivista priva di autorevolezza, peraltro in seguito anche ritirato, quindi decisamente inaffidabile.
Sulla trasmissione del virus per via aerea, vi invitiamo a leggere il nostro approfondimento.
Abbiamo elencato solo alcune tra le più diffuse bufale e fake news su questa malattia, perché passarle in rassegna tutte sarebbe impossibile. Ma come fare per evitare di essere, nostro malgrado, veicolo di cattiva informazione attraverso una condivisione pericolosa e irresponsabile di informazioni scorrette? Proviamo a stilare un piccolo vademecum, che ci aiuterà a fare la nostra parte in una comunicazione responsabile, prendendo spunto dalle regole deontologiche che i giornalisti scientifici seguono:
Divulgatrice scientifica, è socia effettiva e presidente della sezione pugliese del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e membro del direttivo dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM. Scrive per diverse riviste cartacee e online, tra le quali Le Scienze, Mind, Uppa, Focus Scuola, Wired.it, Wonder Why, Scientificast.