«Se fai il bravo ti compro un giocattolo»; «Se mangi tutto puoi vedere i cartoni»; «Se finisci i compiti avrai delle caramelle». Per far sì che il bambino si comporti nel modo desiderato, spesso l’adulto gli promette in cambio un premio. Genitori, nonni, insegnanti… a tutti sarà capitato almeno una volta di provare questo sistema, utilizzato soprattutto in quelle situazioni in cui il piccolo fatica a “ubbidire”.
Al contrario della punizione, il premio sembra essere, a prima vista, un incentivo positivo, che non danneggia né il bambino né la relazione educativa. Ma è sempre così?
Luca non vuole riordinare i suoi giochi. «Se sistemi ti darò il budino al cioccolato», gli dice suo papà. Il piccolo è molto goloso, ed ecco che in pochi minuti nella sua stanza ogni gioco torna al suo posto. Attraverso il premio, il papà di Luca ha ottenuto (momentaneamente) il suo scopo. Ma cosa avrà imparato suo figlio? «Se faccio quello che vogliono i grandi, ottengo qualcosa in cambio», è ciò che pensa il bambino. Appare dunque evidente che il suo è un comportamento manipolato, un’azione che non proviene liberamente dall’animo del bambino: Luca non ha compreso perché sia necessario e utile riordinare, ma lo fa solo per ottenere la ricompensa. Il premio ha influenzato quindi solo il suo comportamento esteriore, e questo significa che probabilmente la situazione si ripeterà: Luca continuerà a non riordinare o potrebbe chiedere una ricompensa per farlo.
Utilizzare premi per condizionare il comportamento, oltre a essere poco rispettoso nei confronti della personalità e della volontà del bambino, non permette lo sviluppo dell’autodisciplina perché nega la possibilità di responsabilizzarsi sul proprio comportamento. Inoltre, a lungo andare, questo sistema diventa controproducente anche per l’adulto e per la relazione educativa. Il premio, infatti, è uno strumento di potere molto rischioso, che può modificare la relazione all’insegna del ricatto; un concetto riassumibile nella frase «Io ti do se tu mi dai».
Come avranno sperimentato in molti, più si utilizza il sistema dei premi e più la situazione si complica: compaiono i capricci, il nervosismo si accumula, il piccolo diventa sempre più “ingestibile”. Il bambino troppo premiato in realtà è frustrato, perché non può esprimere liberamente la propria volontà, e può diventare un “tiranno” perché capisce che può gestire il comportamento dei grandi che si occupano di lui compiacendoli. Come ha scritto Paolo Roccato sulle pagine di Uppa: «Poche cose sono così angoscianti per un bambino come il constatare che l’adulto a cui è affidato rappresenti una specie di fragile marionetta in suo potere».
Spesso siamo abituati a pensare che promettere delle ricompense sia un buon modo per motivare il bambino verso una certa attività. Su questa idea è basato, ad esempio, il nostro sistema scolastico, nel quale il voto rappresenta il premio (o la punizione) per l’alunno. In realtà, diversi studi sottolineano quello che gli inglesi definiscono overjustification effect (in italiano “effetto di giustificazione eccessiva”), ovvero che l’aggiunta di una motivazione estrinseca (un premio), a un’attività per la quale siamo già motivati intrinsecamente, riduce la forza della motivazione. Nel caso della scuola, la motivazione interna è rappresentata da quella meravigliosa sete di conoscenza che appartiene all’essere umano fin dalla nascita. E invece gli interessi profondi di un bambino verso le cose del mondo (la sua voglia di esplorare, sperimentare, conoscere) rischiano di “spegnersi” quando il piccolo entra a far parte del sistema scolastico, dove spesso si riduce a studiare solo per ottenere un buon voto.
Quando facciamo qualcosa perché ci piace, ci interessa, ci appassiona, siamo intrinsecamente motivati, e già questo ci sprona a far le cose al meglio e volentieri. Lo stesso accade nel bambino, ed è quindi importante che l’adulto gli offra l’opportunità di sviluppare i propri interessi ed esercitare la propria volontà, anche quando quest’ultima non coincide con la propria.
Riprendiamo l’esempio fatto in precedenza. Affinché il nostro Luca impari a riordinare, e dunque a dare valore alle cose, averne cura, agire in maniera autonoma e competente nello spazio, e così via, è necessario un percorso graduale: dall’osservazione, già nei primi anni di vita, del genitore che mette a posto le cose (e che dà quindi il buon esempio) al coinvolgimento graduale («Lo facciamo insieme?»), fino al raggiungimento della propria autonomia nel compiere l’azione. Seguendo questo percorso può succedere che alcuni giorni la stanza di Luca non sia in ordine, e in questi casi sarà importante lasciare che ciò accada senza intervenire, affinché il bambino possa accorgersi delle conseguenze delle sue azioni; succederà nel momento in cui dirà, ad esempio, «non trovo più la mia macchinina» o «non ho più spazio per muovermi».
Facciamo un altro esempio: Luca si diverte tanto ad andare all’asilo, ma da un po’ di tempo la mattina protesta perché non vuole uscire di casa. Possiamo tentare di convincerlo promettendogli un pacchetto di figurine all’uscita da scuola oppure prenderci il tempo necessario per capire cosa ci sia dietro quella protesta, osservandolo e cercando di comprendere i suoi bisogni. Anche vivere insieme al bambino le emozioni “difficili” – come i momenti di rabbia, tristezza, gelosia, frustrazione per un “no” – è importante per la crescita e per la relazione educativa, piuttosto che “sedare” le manifestazioni che ci irritano o ci spaventano («Ti do la caramella così smetti di piangere»). Utilizzare i premi, così come le punizioni, può sembrare una scorciatoia semplice e veloce, ma in realtà si avvicina più all’idea di ammaestrare (il famoso “bastone e carota”) che a quella di educare.
Quanto espresso fin qui è un invito a comprendere che utilizzare i premi per modificare il comportamento del bambino non ha molto successo a lungo temine e implica dei rischi educativi. Ciò non toglie che si possano trovare altri modi per gratificare o incoraggiare il piccolo in alcune circostanze, ad esempio quando ha affrontato o deve affrontare un compito difficile e impegnativo. Un gesto d’amore, un dono, o meglio ancora un’esperienza speciale da vivere insieme, offerti dall’adulto in modo spontaneo e non per condizionare la volontà del bambino, trasmettono al piccolo una maggiore fiducia in sé stesso e, sollecitando l’attenzione e la comunicazione empatica con “l’altro”, rinforzano e alimentano il legame con l’adulto.
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione e accompagnamento alla morte e all’esperienza della perdita, si occupa di famiglie adottive e lavora come formatrice per gli operatori di nidi e scuole dell’infanzia nella provincia di Messina. È stata vicedirettrice di Uppa magazine dal 2018 e dal 2022 ne è diventata direttrice.