Cinzia è al primo mese di gestazione. Durante un pomeriggio passato con le amiche, a un certo punto sente Francesca – mamma di un bambino di un anno – parlare di cardiotocografia in gravidanza. Incuriosita, contatta il proprio medico per chiedergli informazioni su quel test «dal nome un po’ strano…».
Il medico le spiega che la cardiotocografia, indicata anche con la sigla CTG, è un esame diagnostico utilizzato in gravidanza per monitorare il benessere fetale in prossimità del parto e durante il travaglio. Pur essendo utilizzato come prassi, però, è un esame che presenta alcuni limiti, soprattutto per quanto riguarda la valutazione di eventuali rischi neurologici nelle gravidanze a basso rischio.
Di seguito vediamo cosa permette di vedere la cardiotocografia, quando viene effettuata e come viene effettuata.
Esattamente, cos’è la cardiotocografia? A cosa serve? È un test “no stress”, cioè non invasivo e indolore per la mamma e per il feto, e serve a monitorare il battito cardiaco fetale e le contrazioni uterine per valutare lo stato di benessere del piccolo nelle ultime settimane in prossimità del parto (antepartum) e durante il travaglio (intrapartum). È particolarmente indicato per le gravidanze a rischio di “ipossia”, cioè quando arriva poco ossigeno al feto.
L’uso di uno strumento di valutazione simile alla cardiotocografia risale agli anni Sessanta, con i primi strumenti elettronici (Electronic Fetal Monitoring) per rilevare la frequenza cardiaca fetale e le contrazioni. L’evoluzione moderna è appunto la cardiotocografia.
Ma come funziona esattamente questo esame? La CTG utilizza due sonde (tre nel caso di gravidanze gemellari, per rilevare entrambi i cuori), che vengono appoggiate sull’addome materno. Di queste, una è come una sonda ecografica, che attraverso gli ultrasuoni registra la frequenza cardiaca fetale, l’altra è un sensore, in grado di monitorare le contrazioni uterine. I segnali registrati vengono poi trasmessi a un monitor e trascritti in un tracciato, che serve proprio a evidenziare la presenza o meno di variazioni nelle contrazioni uterine e nella frequenza cardiaca fetale dalla 37^ settimana in poi e durante il travaglio.
È indicata anche prima della 37^ settimana di gestazione nelle situazioni a rischio che richiedono un monitoraggio più attento, ovvero:
Cerchiamo di capire adesso come si esegue la cardiotocografia e se ci si deve preparare in qualche modo a questo esame. Per effettuarla, vengono utilizzati strumenti diagnostici sofisticati, che non comportano né dolore né alcun rischio. L’esame, inoltre, non richiede alcuna particolare preparazione da parte della gestante.
Le sonde, una volta posizionate a livello dell’utero (una all’altezza del feto, per la frequenza cardiaca; una sulla zona corrispondente al fondo dell’utero, per le contrazioni uterine), vengono bloccate con delle fasce. Il risultato dell’esame sarà un tracciato, sul quale saranno visibili due linee:
L’interpretazione del tracciato dipende molto dalla valutazione dell’operatore, con una lettura dei dati variabile a seconda dello specialista. Questo limite però può essere superato grazie alla cardiotocografia computerizzata, ossia il monitor viene collegato ad un computer, al quale sono trasmessi tutti i dati e i valori del battito fetale al minuto, per essere letti. Se ci sono dei valori non rassicuranti vengono segnalati dal programma in tempo reale senza errori di interpretazione. [1]
Le linee guida ACOG (American College Obstetrics and Gynaecologists) indicano tre tipi di tracciato (questa è una delle classificazioni utilizzate ma non l’unica):
Quando si esegue la cardiotocografia? Quando la gravidanza è intorno alla 38^-39^ settimana, su indicazione dello specialista. Ma può essere anticipata anche prima della 37^ settimana, a partire dalla 30^, se ci sono condizioni di rischio, effettuando poi un controllo settimanale fino al travaglio.
Quanto dura il tracciato? Ogni sessione di monitoraggio è di almeno trenta minuti, ma la durata può protrarsi in caso di necessità.
La cardiotocografia è considerata attualmente un esame “gold standard”, cioè molto affidabile nel monitoraggio del benessere fetale, sia nelle situazioni a rischio sia non, ma negli ultimi anni sono state molte le posizioni discordanti sul suo utilizzo indiscriminato e sui suoi limiti. Le principali società scientifiche nazionali e internazionali dell’area ostetrico-ginecologica hanno elaborato delle linee guida sull’uso della cardiotocografia durante il travaglio e hanno più volte sottolineato che servirebbero delle indicazioni più chiare per il monitoraggio prima della 37^ settimana.
La cardiotocografia non si è confermata utile nel ridurre il rischio di morte perinatale e di danno neurologico fetale. Soprattutto nel caso di gravidanze a basso rischio, se contribuisce a ridurre gli episodi di convulsioni non diminuisce però la frequenza di casi di paralisi cerebrale infantile e problemi neurologici [2]
Uno studio del 2008, diventato poi un manuale di riferimento per i professionisti, dimostra come nelle gravidanze a basso rischio e a termine la cardiotocografia non rappresenti uno strumento più efficace rispetto all’auscultazione intermittente con stetoscopio o sonda doppler durante il travaglio. [3]
In generale, gli aspetti su cui, ad oggi, la maggior parte delle società internazionali e i professionisti si trovano in accordo in materia di cardiotocografia sono i seguenti:
L’auscultazione intermittente del battito cardiaco fetale, in casi di gravidanza a basso rischio, aiuta a valutare le prime fasi di travaglio attivo. Quando le contrazioni si fanno più ravvicinate, e nel caso in cui occorra monitorare più attentamente la situazione, si passa alla cardiotocografia.
La fase del travaglio è accompagnata da un carico di stress emotivo e fisico per la mamma – spesso difficile da gestire – e indubbiamente mantenere per molto tempo la stessa posizione supina richiesta dal monitoraggio, non facilita le cose e può aumentare il carico di ansia. La CTG può essere proposta o anche richiesta dalla mamma, ma nella maggior parte dei casi, in realtà, si ricorre a questo esame sia per gravidanze a basso rischio sia ad alto rischio, un po’ per prassi e un po’ per il timore di eventuali contenziosi medico-legali in futuro. Di sicuro, al momento, alternative per essere monitorate in sicurezza durante il travaglio non ci sono, quindi è importante informare al meglio le gestanti su tutto ciò che riguarda la fase del monitoraggio ante ed intrapartum.
Possiamo concludere che la cardiotocografia, con il supporto di altri esami diagnostici, può garantire il monitoraggio corretto del benessere fetale prima e durante il parto, ma da sola presenta molti limiti, che devono essere necessariamente superati e migliorati.