Colestasi gravidica: sintomi, cause e trattamento

È una condizione che colpisce circa il 2% delle gestanti e che si manifesta con sintomi ben precisi, tra cui il prurito

Immagine per l'autore: Ilaria Lemmi
Ilaria Lemmi , ostetrica
donna con colestasi gravidica si tocca la pancia

La colestasi gravidica è una complicazione che si manifesta soprattutto nel secondo o nel terzo trimestre di gravidanza e può risultare pericolosa per la salute del nascituro. 
I dati ci indicano che questa malattia è presente nel 2% delle gravidanze, con una particolare incidenza nelle aree dell’America Latina, dell’India e del Pakistan.

In questo articolo approfondiremo non solo i sintomi della colestasi gravidica e le cause, ma anche quali sono i rischi per il bambino.

Colestasi gravidica: i sintomi

Il sintomo tipico della colestasi gravidica è la presenza di prurito senza manifestazioni di arrossamento o altre lesioni sulla pelle. Ha delle caratteristiche particolari:

  • è generalizzato;
  • tende a peggiorare nel corso della notte, andando a incidere in modo negativo sulla qualità del sonno e comportando difficoltà nell’addormentamento;
  • spesso coinvolge anche i palmi delle mani e la pianta dei piedi. [1]

Altri sintomi della colestasi gravidica sono la presenza di ittero, l’emissione di urine scure o la presenza di grasso nelle feci. Tuttavia si tratta di manifestazioni rare, osservabili nelle situazioni più complesse. 

Cause della colestasi gravidica

Non sono ancora note le cause della colestasi gravidica, ma si presuppone che possa essere provocata da un affaticamento del fegato materno dovuto all’aumento dell’attività di quest’ultimo. 

Durante la gravidanza tutti gli organi sono sottoposti a un maggiore carico di lavoro per rispondere alle esigenze della vita che si sta formando in utero. Proprio per supportare l’aumentata attività, molti di questi vengono fisiologicamente irrorati da una maggior quantità di sangue. L’apporto di sangue al fegato aumenta, ma non così tanto come in altri organi. 

Esistono alcuni fattori di rischio che aumentano la probabilità di sviluppare la colestasi gravidica, ovvero:

  • precedente gravidanza con colestasi gravidica;
  • gravidanza gemellare;
  • fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione (FIVET);
  • pregressa colestasi durante l’utilizzo di contraccettivi ormonali.

L’incidenza di questa malattia aumenta, come detto, nelle donne con origini indiane, pakistane o latinoamericane e, in generale, durante i mesi invernali. 

Diagnosi e trattamento della colestasi gravidica

La diagnosi per la colestasi gravidica si esegue sulla base dei segni clinici (prurito) e sulla valutazione degli esami del sangue, che andranno a indagare la funzionalità epatica della donna. Più nello specifico, l’aumento di:

  • transaminasi, enzimi che intervengono nella trasformazione di un aminoacido in un altro;
  • gamma GT, enzimi che si occupano di trasportare aminoacidi;
  • acido colico (il più importante degli acidi biliari prodotti dal fegato) e bilirubina (contenuta nella bile, si forma in seguito alla degradazione dei globuli rossi invecchiati).

L’ultimo dato è quello più importante da tenere in considerazione (si considerano patologici valori a digiuno superiori a 10 micromoli/dl).

È sufficiente il sospetto della malattia per attivare un percorso terapeutico e di sorveglianza che permette di prevenire possibili complicanze.
Quando è presente prurito inspiegato in associazione a valori di acidi biliari normali è sempre bene ripetere gli esami dopo due settimane per avere un’ulteriore conferma.

In base ai valori degli acidi biliari la colestasi gravidica si divide in:

  • lieve (tra 10 e 39 micromoli/dl);
  • severa (uguali o superiori a 40 micromoli/dl).

Nei casi di sospetta colestasi è sempre bene fare degli approfondimenti, a volte anche in regime di ricovero, per avere chiara la situazione e accertarsi che i sintomi non siano da attribuire ad altre patologie con insorgenza simile, ovvero:

  • patologie dermatologiche, come eczema, dermatite gravidica, eruzione polimorfa della gravidanza (​​una dermatosi, a partenza addominale, che si risolve spontaneamente dopo il parto);
  • patologie epatiche, come epatiti, infezioni da citomegalovirus e da Epstein-Barr virus, epatiti autoimmuni;
  • calcolosi biliari e altre patologie ostetriche come la preeclampsia

La terapia per la colestasi gravidica è volta soprattutto a ridurre i fastidi legati al prurito, con cure locali sulla pelle, e ad abbassare la concentrazione di acidi biliari con cure farmacologiche. Non esistono invece prove che serva indurre il parto prima delle 37 settimane; il trattamento deve essere impostato proprio per prevenire le complicanze e permettere la nascita del bambino al termine di gravidanza.
Dopo il parto, in circa quattro settimane si assiste alla remissione dei sintomi e alla normalizzazione dei valori del sangue.

Colestasi gravidica: rischi per mamma e feto

L’accumulo di acidi biliari nel sangue materno rappresenta un rischio importante per il bambino. La colestasi gravidica si associa infatti a una maggior incidenza di:

  • parto pretermine (condizione che può presentarsi sia spontaneamente sia come conseguenza di un’induzione necessaria);
  • liquido amniotico tinto di meconio;
  • sofferenza fetale alla nascita, complicanza rara del travaglio che si verifica quando il feto non ha ricevuto ossigeno a sufficienza;
  • morte intrauterina (incidenza di circa lo 0,6%).

In caso di sospetta colestasi gravidica, la gestante dovrà essere presa in carico dal punto nascita prescelto, dove verrà eseguito il monitoraggio del benessere fetale e materno mediante controlli settimanali.
Soprattutto per le gestanti con colestasi sarà molto importante monitorare i movimenti fetali e recarsi in Pronto Soccorso in caso si percepiscano cambiamenti. 

In base ai valori degli esami di laboratorio e all’epoca gestazionale verrà poi valutata l’eventualità di una induzione del parto dopo la 37^ settimana di gravidanza.

A sei settimane dal parto sarà necessario per la mamma un controllo che confermi la normalizzazione degli esami del sangue. In questa occasione verrà anche spiegato il rischio di ricorrenza della colestasi nelle gravidanze successive (40-90%) ed eventualmente sarà programmata una contraccezione non ormonale per le donne interessate. 

Immagine per l'autore: Ilaria Lemmi
Ilaria Lemmi

Ostetrica, si è occupata a lungo di cooperazione internazionale e di progetti sostegno alle salute delle donne migranti. Dal 2007 al 2009 fa parte del pool di ostetriche che danno vita al Centro nascita “Margherita” dell’Azienda Universitaria di Firenze che si occupa del travaglio e del parto fisiologici a esclusiva conduzione ostetrica. Dal 2014 lavora nell’Ospedale Santa Maria Annunziata nel reparto di Ostetricia e in sala parto.

Note
[1] Victoria Geenes, Catherine Williamson Intrahepatic cholestasis of pregnancy «World J Gastroenterol», maggio, 2009 May 7;15(17): 2049-66
Bibliografia
  • Organo Ufficiale dell’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani, Gyneco AOGOI, «aogoi.it», maggio, 2020.
  • Royal College of Obstetricians and Gynaecologists, Obstetric Cholestasis, «rcog.org.uk», aprile 2011.
  • R F Burrows, O Clavisi, E Burrows, Interventions for treating cholestasis in pregnancy, «Cochrane Database Syst Rev», 2001;(4).
Articolo pubblicato il 25/03/2022 e aggiornato il 18/04/2024

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