Si comincia già durante la gravidanza, quando amici e parenti invitano scherzosamente i futuri genitori a dormire “finché possono”. «Dorme la notte?» è invece tra le più frequenti domande rivolte alla coppia dopo il parto.
Non stupisce dunque che molte mamme e papà, alle prese con notti insonni e lunghe giornate da affrontare, o preoccupati che i propri figli possano sviluppare problemi del sonno, si rivolgano a figure professionali qualificate chiedendo consigli e metodi su come addormentare un neonato.
In questo articolo faremo un po’ di chiarezza in merito e vedremo come favorire il sonno del neonato e anche quello dei genitori.
L’offerta di metodi e servizi legati al sonno dei piccoli da parte di figure professionali variegate (tate, puericultrici, consulenti del sonno), in risposta a una richiesta crescente di aiuto e consigli per far addormentare un neonato, parte dal presupposto che i genitori debbano imparare specifiche strategie per insegnare al bambino come addormentarsi.
L’arrivo di un figlio, le aspettative che si avevano prima della sua nascita, e che magari ora si scontrano con una realtà diversa da quella immaginata, le tante e differenti opinioni di amici, parenti e conoscenti su come educare i bambini al sonno, sono tutti fattori che possono provocare un senso di inadeguatezza e smarrimento nei neo-genitori, i quali finiscono per delegare a figure esterne “più esperte” le scelte su come far addormentare il neonato e come gestirne i frequenti risvegli.
Inoltre, il desiderio naturale di “fare la cosa giusta” nell’interesse dei propri figli può portare a un eccessivo controllo (il bambino deve mangiare e dormire abbastanza, il suo sviluppo deve rispettare una sorta di tabella di marcia…). Si cerca, cioè, di applicare in maniera pedissequa istruzioni e manuali, di stare attenti al più piccolo campanello d’allarme, dimenticando un aspetto fondamentale: l’importanza dell’ascolto del bambino e della relazione che si costruisce con esso giorno dopo giorno, notte dopo notte.
Saper cogliere i segnali con cui il neonato comunica i propri bisogni, e riporre fiducia nella sua capacità di esprimerli, sono i primi passi per rispondere in maniera adeguata e costruire una relazione soddisfacente con lui fin dai primi giorni di vita.
Non occorre, insomma, seguire un manuale per “insegnare a dormire”. Però ci si può chiedere: come far addormentare il neonato che sembra svegliarsi di continuo e non volerne sapere di restare a letto?
Per rispondere a questa domanda occorre tener conto dell’evoluzione della fisiologia del sonno e di un altro bisogno irrinunciabile del bambino, quello delle cure prossimali, ovvero del contatto fisico e della vicinanza con chi si prende cura di lui.
Il sonno dei bambini differisce da quello dei grandi. Un ciclo di sonno nel neonato dura 50-60 minuti, mentre nell’adulto è di circa 90. Inoltre, nel neonato, sono più lunghe e frequenti le fasi REM, ovvero quelle di sonno più leggero. Ecco perché il piccolo si sveglia più frequentemente, almeno fino ai 3 anni di vita.
Nei primi 3 mesi, la fase REM occupa il 50% del sonno complessivo, e viene raggiunto solo il primo dei tre stadi di sonno profondo. Gli intervalli di sonno notturno, che si erano allungati spontaneamente rispetto all’immediato post parto, si riducono di nuovo proprio intorno ai 3 mesi. I frequenti risvegli del neonato non sono un inconveniente da correggere, ma un fattore protettivo fondamentale. Il piccolo ha infatti bisogno di rimanere in uno stato di sonno superficiale per potersi svegliare prontamente in caso di ostruzione delle vie aeree, dal momento che il suo sistema respiratorio non si è ancora sviluppato completamente.
La sincronizzazione del sonno tra mamma e bambino inizia già in gravidanza, quando anche i risvegli della donna si fanno più frequenti. Successivamente, dormire vicini e allattare mantiene questa sincronia, oltre a favorire una maggiore ossigenazione, un ritmo più regolare del respiro, la termoregolazione a contatto con il corpo della mamma e la risposta al bisogno di cure prossimali.
Gli ormoni stimolati dall’allattamento (ossitocina e prolattina) favoriscono inoltre il rilassamento e il sonno sia del neonato sia della mamma, per cui far addormentare il neonato dopo la poppata mantenendolo al seno è la strategia più veloce e più semplice per le donne che allattano, e consente anche a loro di riposare con maggiore serenità.
Dormire accanto al bambino, se allattato, permette di gestire al meglio i frequenti risvegli notturni: il seno è subito disponibile, ciò permette sia a lui sia alla mamma di scivolare di nuovo e più facilmente nel sonno. La condivisione del letto, poi, favorisce l’allattamento e il riposo, evitando anche il rischio che la mamma, colta dalla stanchezza, si possa addormentare con il neonato in braccio in luoghi non sicuri (ad esempio una poltrona o un divano).
Anche le mamme che non allattano, i papà o le altre figure di accudimento possono rispondere al bisogno di sicurezza, contatto e protezione del bambino e accompagnarlo dolcemente al sonno. Possono ad esempio cercare di far addormentare il neonato in braccio, cullandolo o portandolo in fascia.
Un neonato che manda un segnale di richiamo e viene ascoltato e accudito sperimenta sicurezza e fiducia, fondamentali per la creazione di una base sicura. Il contatto consente inoltre di attivare nel suo corpo il rilascio di ossitocina, provocando una risposta fisica definita di “calma e connessione”: si abbassano la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca e il cortisolo (l’ormone dello stress).
Nel caso di neonati non allattati al seno è invece sconsigliata la condivisione del letto con i genitori. Questo perché la minore sincronizzazione nel sonno e la mancanza di fattori “protettivi”, quali le posizioni che spontaneamente si assumono in allattamento e l’effetto stesso della suzione, aumentano il rischio di SIDS (Sindrome della morte improvvisa del lattante). A ciò si può dunque ovviare tenendo il bambino nella stessa stanza, magari in un side-bed separato, in posizione supina, alzandosi per cullarlo o nutrirlo durante i risvegli, che solitamente sono meno frequenti rispetto ai bambini allattati al seno.
Nei casi in cui si desideri far dormire il neonato in culla o nel lettino, magari approfittando nelle ore diurne di un po’ di tempo per dedicarsi ad altro, è comunque possibile far addormentare il neonato in braccio o in fascia e poi trasferirlo. Occorre però imparare a riconoscere la differenza tra il sonno REM, durante il quale è più facile che il neonato si svegli alla minima variazione, e il sonno profondo, che consente una maggiore libertà di azione ai genitori.
Prima del sonno profondo, il bambino attraversa una fase di sonno leggera che dura circa 20 minuti (ciò accade anche dopo i primi 3 mesi, ovvero quando il sonno raggiunge anche gli altri due livelli più profondi). Eventuali spostamenti andrebbero quindi rimandati al termine di questo momento vulnerabile di sonno. È inoltre utile mantenere per un po’ il contatto corporeo con il bambino – basta anche una mano sul suo petto – per rendere meno brusca la transizione e non rischiare che si svegli.
È comunque consigliabile, anche nelle ore diurne, tenere il neonato nella stanza in cui si trovano i genitori, mantenendo la normale esposizione alla luce (utile per la regolarizzazione dei ritmi circadiani, ovvero la sincronizzazione delle nostre funzioni fisiologiche e dei nostri comportamenti con i cicli luce-oscurità causati dalla rotazione della Terra) e i rumori della famiglia, che lo fanno sentire sicuro e protetto.
Se è vero che i risvegli sono fisiologici nei primi 3 anni di vita, e che il sonno non è un comportamento che possiamo apprendere o insegnare, è pur vero che alcuni neonati fanno più fatica di altri e richiedono un maggiore impegno da parte delle figure di riferimento nell’essere rassicurati e accompagnati nel dormire. Vediamo perché.
Alla luce di quanto detto finora, è dunque improprio definire “problemi del sonno” i frequenti risvegli notturni o il sonno leggero e apparentemente agitato caratteristico delle fasi REM nel bambino.
Il sonno dei piccoli, inoltre, andrebbe valutato nella totalità delle 24 ore. Ad esempio, un neonato che non dorme di giorno (durante le ore diurne si accontenta di un paio di pisolini da una ventina di minuti l’uno) ma che dorme la notte per molte ore (pur risvegliandosi frequentemente), soddisfa probabilmente il suo fabbisogno di sonno. Analogamente, un neonato che dorme molte ore di giorno e fa la sua pausa di sonno più lunga a inizio serata, quando ancora i genitori non sono a letto, avrà già dormito a sufficienza prima ancora che inizi il riposo degli adulti, che si troveranno quindi di fronte a una lunga notte svegli. Questo significa che, in merito alla quantità di sonno complessiva, non esiste un numero di ore definito uguale per tutti, bensì troviamo un’altissima variabilità soggettiva.
Nel momento in cui il neonato vive una situazione che il suo corpo segnala come pericolosa per la sopravvivenza (come ad esempio la separazione dalla madre), e che necessita quindi di uno stato di veglia e di allerta, si attiva in lui un meccanismo di protesta-disperazione che serve a richiedere l’intervento di chi si prende cura di lui. Di fronte a pianti frequenti, irritabilità e difficoltà a riposare, è opportuno quindi chiedersi perché il neonato non dorme e rispondere al suo richiamo, espressione di un disagio che gli impedisce di lasciarsi andare al sonno.
Se il contatto e le cure prossimali non sono sufficienti a calmarlo, una prima verifica da fare riguarda l’alimentazione: il piccolo si nutre a sufficienza? Così come l’eccessiva sonnolenza, anche l’irrequietezza e la tendenza a trascorrere molto tempo al seno, crollando nel sonno per pochi minuti e svegliandosi piangendo per ricominciare a poppare, potrebbe essere indice di una difficoltà nell’estrarre correttamente il latte, soprattutto se il neonato non dorme di giorno (se questo comportamento al seno si verifica la sera, nelle ore precedenti la messa a letto, ciò può dipendere da un’altra motivazione di cui parleremo più avanti).
Una IBCLC (Consulente Professionale per l’Allattamento Materno) può quindi fornire un valido aiuto per eventuali problematiche di posizionamento, attacco e/o suzione, prevenendo così possibili ripercussioni sulla crescita del bambino e sulla produzione di latte.
Una gravidanza o un parto difficili, inoltre, possono influire negativamente anche sul complesso equilibrio ormonale ed emotivo che consente l’avvio ottimale dell’attaccamento nell’immediato post parto, rendendo più faticosa la sintonizzazione affettiva tra mamma e figlio.
Nei casi in cui i comportamenti sopra descritti (irrequietezza, difficoltà ad addormentarsi, pianto, poppate ravvicinate…) si verifichino nel tardo pomeriggio o la sera, nelle ore precedenti la messa a letto, è possibile che il bambino stia esprimendo stanchezza e stia lasciando andare la tensione dovuta ai tanti stimoli acquisiti durante la giornata. A volte a questo pianto si accompagnano contrazioni del pancino e si può pensare che si tratti delle tanto temute coliche. In realtà è il pianto a causare la contrazione dei muscoli del torchio addominale e l’emissione di aria, non il contrario.
In alcuni periodi di crescita o situazioni contingenti, a rendere il sonno più agitato possono contribuire altri piccoli fastidi (dentizione, raffreddore) o cambiamenti nei ritmi abituali (vacanze, inserimento al nido, nuove acquisizioni motorie o linguistiche, il tentativo di “recuperare” di notte una riduzione del contatto diurno con la mamma).
Accudire un neonato è stancante, specialmente in assenza di sostegno e aiuti esterni, e la mancanza di sonno prolungata nel tempo può mettere a dura prova la lucidità e la serenità anche dei genitori più amorevoli. La stanchezza e la tensione che ne derivano vengono involontariamente trasferite sul neonato, generando un circolo vizioso.
Vediamo allora di seguito cosa fare se il neonato non dorme per recuperare serenità e riposo per tutta la famiglia.
Ridimensionato il fenomeno dei problemi del sonno neonatali, e appurato che le ore di sonno per un neonato si considerano nelle 24 ore e non sono uguali per tutti, resta la difficoltà concreta di trovarsi di fronte a un neonato che non dorme e che chiede a gran voce l’intervento delle figure di accudimento.
Quali sono dunque i migliori metodi per far addormentare un neonato? È utile ricordare che ogni bambino ha le sue specificità (come specifica è anche ogni relazione che si instaura tra il piccolo e le figure di accudimento) e che dunque non esistono metodi universali né soluzioni valide in ogni momento e per ogni situazione: quello che funziona con la mamma può non andare bene col papà o con la nonna.
«Solo con te fa così tante storie per addormentarsi!», viene rimproverato ad alcune mamme. Oppure: «Quando è con te prende sonno solo se lo attacchi al seno, invece quando non ci sei si addormenta anche nel passeggino o nel lettino». Ma quelle appena descritte non sono affatto anomalie, bensì situazioni assolutamente normali, in cui non ci troviamo di fronte a “capricci” del bambino. Il piccolo comunica il suo bisogno e la mamma può offrire la risposta più naturale per soddisfarlo allattandolo o tenendolo a contatto, ma in sua assenza, con il tempo, imparerà ad adattarsi a soluzioni diverse e interlocutori diversi in base al contesto, e lo farà tanto più serenamente quanto più sarà stato accolto e rassicurato fin dalle prime esperienze relazionali.
Sono fortemente sconsigliati i metodi per far addormentare il neonato che prevedono, ad esempio, di lasciar piangere il bambino per un tempo man mano crescente prima di intervenire, affinché “si abitui”: lasciare soli i bambini nel momento dell’addormentamento o nella gestione dei risvegli notturni fa sì che smettano di chiamare l’adulto (per cui il metodo sembra funzionare, e i bambini sembrano “dormire di più”), ma in realtà non elimina il bisogno di conforto né diminuisce effettivamente i risvegli. Il bambino rinuncia a chiamare perché nessuno risponde al suo pianto, ma i livelli di cortisolo si mantengono elevati nel suo corpo, con conseguenze potenzialmente dannose sia sul piano psicologico sia su quello fisico.
Per ovviare ai danni di tali metodologie, alcuni propongono metodi “più dolci” per far addormentare un neonato. Si tratta però spesso di schemi o rituali prescrittivi che poco hanno a che fare con la fisiologia del piccolo, e che si pongono come obiettivo la risoluzione di quei “problemi del sonno” che, come abbiamo visto, non sono in realtà tali.
Anche l’utilizzo di sostanze ritenute innocue, come la melatonina, andrebbe limitato a situazioni in cui vengono prescritte per una specifica necessità terapeutica. Proprio in riferimento alla melatonina, trattandosi di un integratore, sono stati fatti pochi studi sui bambini piccoli. Inoltre, il suo utilizzo tende a crescere nel tempo (ne serve una quantità sempre maggiore affinché abbia effetto).
Nella maggior parte dei casi, non c’è davvero nulla da “risolvere” se non la stanchezza accumulata dai genitori, che spesso hanno poco sostegno.
L’accudimento di un neonato richiede tantissime energie, ed è normale dunque delegare e chiedere aiuto quanto più possibile per ciò che riguarda altre questioni: ad esempio, avere un aiuto per le faccende domestiche durante il giorno, al fine di poter riposare assieme al bambino senza dover pensare ad altro.
Per favorire il passaggio del bambino dalla veglia al sonno, possono venire in aiuto alcuni accorgimenti che istintivamente vediamo adottare dalle mamme indipendentemente dalla cultura di appartenenza:
Può essere utile precedere il momento del sonno con un’attività piacevole o rilassante per mamma e bambino, ad esempio un bagno caldo. È invece preferibile evitare possibili fonti di agitazione o sovrastimolazione, come l’esposizione a schermi televisivi o tablet.
Con la crescita e il rispetto dei loro tempi, tutti i bambini dormiranno più a lungo e si addormenteranno da soli. Nell’attesa che questo avvenga, la fiducia nella loro competenza di saper comunicare i propri bisogni può consentire ai genitori di accoglierli e sperimentare nuove modalità per favorire un miglior riposo per tutti, giorno dopo giorno e notte dopo notte.