Una mamma esasperata scrive che ogni sera l’andare a nanna diventa una battaglia con pianti e urla, perché la figlia di 2 anni non vuole mai smettere di giocare. Si addormenta solo quando crolla esausta.
Un’altra non sa più che fare col figlio di 4 anni: in casa si oppone a ogni regola, mentre fuori sa essere bene educato. Sembra che disubbidisca apposta solo ai genitori. Un maestro chiede suggerimenti per ammansire tre bambini che non accettano alcuna disciplina e impediscono le attività in classe.
Un pediatra è irritato con i genitori che non riescono a dare la medicina al bambino «perché lui non la vuole».
Tutti questi problemi sono variazioni sul tema: che cosa può facilitare (e che cosa può ostacolare) l’interiorizzazione delle norme nei bambini?
Già da neonati i bambini hanno sete di conoscere le leggi del mondo fisico, relazionale e sociale. Nella nostra cultura si è progressivamente fatta strada la concezione del bambino come soggetto da conoscere e da rispettare sempre, fin dai primi momenti di vita. È una cosa buona, che ha profondamente migliorato il rapporto genitori-figli.
Però rispettare il bambino non significa sottomettersi a lui, né depauperarlo dell’insegnamento e della trasmissione delle regole necessarie per il vivere civile. Non basta sancire e far rispettare le regole, lasciando che rimangano condizionamenti esterni. Bisogna che siano apprese e interiorizzate, perché il bambino impari a cavarsela.
Nei momenti di “veglia vigile”, già i neonati osservano attenti tutto quello che accade intorno a loro, per capire come funziona il mondo. Giorno dopo giorno, con la crescita, questo tipo di osservazioni si fa sempre più fitto e sistematico verso il mondo intero: fisico, vegetale e animale, ma – soprattutto – umano. Questa rete di acquisizioni tra loro integrate è fondamentale per strutturare e consolidare l’apprendimento sul “come si fa a…”: a ottenere le cose desiderabili; a eliminare le cose sgradevoli; a entrare in contatto con gli altri, o a interromperlo senza gravi conseguenze sul rapporto; a padroneggiare gli eventi; ad acquisire potere nelle relazioni; a gestire i conflitti interni; a non farsi sopraffare; a far la pace; a consolarsi; e così via, per ogni situazione reale o ipotetica.
Questa è la prima e fondamentale via attraverso cui i bambini conoscono e interiorizzano le norme sociali della cultura in cui sono nati. Le norme così apprese saranno vissute come naturali, ovvie, di base, universali, assolute.
Molto tempo dopo, in un lungo processo che spesso parte dall’adolescenza, l’ex-bambino potrà scorgere che quelle norme non sono poi così naturali, universali e assolute, ma che sono relative alla cultura in cui è nato e si è interiormente formato.
Potrà però riconoscerne il valore sociale pratico, in quanto regole necessarie per il vivere civile e per una socialità basata sul riconoscimento reciproco, su equità, giustizia, solidarietà, efficienza e adeguatezza. Purtroppo, l’auspicabile scoperta che tutte le norme, anche le più fondamentali o meravigliose, sono relative e quindi fragili e quindi preziose non sarà raggiunta da tutti, né sempre, né per tutte le regole. Così, norme fondamentali potranno essere violate perché misconosciute nella fragilità del fondamento che le rende preziose.
L’apprendimento del “come si fa a…” si attiva in ogni occasione in cui ci si prospetta qualcosa di nuovo; ma quanto più si è piccoli, tanto più forti e sistematiche saranno sia l’attivazione, sia l’interiorizzazione delle norme.
In quell’assiduo, sistematico, immane processo di apprendimenti, il bambino va sperimentando sia la realtà fisica, sia gli atteggiamenti e le risposte dei grandi, assumendo atteggiamenti provocatori per provocare, appunto, risposte chiarificatrici, sia fisiche, sia verbali, sia comportamentali.
Per esempio, mentre fa il gesto di battere il martello sul tavolo o quando fa un capriccio, lancia uno sguardo agli adulti presenti, per vedere cosa pensano e cosa fanno, cioè per imparare cosa è raccomandabile, cosa è permesso e cosa è proibito.
Bisogna cogliere quei gesti provocatori: è quello il momento in cui il bambino chiede che gli venga insegnata una regola. Sgridarlo e basta vuol dire perdere una preziosa occasione.
È un momento conoscitivo che rimarrà per sempre come base per ogni successivo momento esecutivo di adesione o ribellione alle norme. Questi test, che il bambino sistematicamente fa, sono equivalenti a domande, quali: «Che conseguenze devo aspettarmi quando…»; «Cosa succede se…»; «Come devo fare per…»; «Come si fa a…»; «Cosa succede se non faccio questo?»…
Bisogna che noi adulti non fraintendiamo il significato di domanda che certi comportamenti possono avere. A ogni domanda si deve dare risposta.
Un bambino di 2 anni e mezzo vuole essere preso in braccio. Il papà gli dice: «Cammina ancora un po’: ci siamo quasi.» Il bambino, guardandolo di sottecchi, piagnucola: «Ho male ai piedi», e il papà, prendendolo in braccio: «Sei stufo di camminare, ma non hai male ai piedi. Conviene non dire bugie, se no gli altri non ti credono più anche quando dici la verità.» Il bambino resta pensoso. Poi, tra sé e sé:
«Non lo faccio più». È accaduta una cosa importante per quel bambino: nel clima di buon rapporto col papà (per lui il massimo esperto della vita), ha potuto riconoscere una norma fondamentale per le relazioni umane e interiorizzarla.
A questo punto è semplice individuare i principali fattori che facilitano l’interiorizzazione delle norme: il nostro comportamento rispettoso nei loro confronti; la chiarificazione sulla sensatezza e comprensibilità delle norme che poniamo; la nostra coerenza nel prospettare le norme e nell’esigerne il rispetto. Ma più importanti di tutti sono la nostra disponibilità ad assumerci il ruolo di autorità che sancisce e trasmette le norme; e l’equilibrio fra rigore delle norme e intelligenza del perdono, sempre uniti a un realistico incoraggiamento.
In sostanza, per facilitare l’interiorizzazione e la strutturazione di atteggiamenti etici (individuali, relazionali e sociali), prima di tutto dobbiamo averli interiorizzati noi. Poche cose sono diseducative come l’ipocrisia e la finzione. Per svelare le falsificazioni ideologiche, Marx diceva: «Guardate quello che fanno, non quello che dicono». I bambini guardano, senza bisogno di esortazioni filosofiche. Si tratta prima di tutto di un processo conoscitivo.